Negli Stati Uniti la pandemia da Coronavirus ha portato ancora una volta alla ribalta uno dei mali endemici di quel Paese, la condizione di inferiorità economica e sociale della comunità afroamericana. Lì i neri sono morti più dei bianchi e di altri gruppi etnici, per ragioni ben precise: difficoltà di accesso alla sanità pubblica o privata, povertà, disuguaglianze, disoccupazione, impossibilità di praticare durante il lockdown il work from home, una maggiore incidenza di patologie quali il diabete e i disturbi cardiovascolari. Dunque, si può ben dire che negli USA – e non solo – il Covid-19 sia una malattia di classe e di appartenenza etnica.
Proprio in piena pandemia è avvenuto un tragico episodio, l’ennesimo di una lunghissima catena di violenze indirizzate contro i neri e le minoranze etniche, le cui immagini in quest’epoca globalizzata hanno immediatamente fatto il giro del mondo: gli ultimi istanti di vita di George Floyd, l’inerme cittadino assassinato senza motivo da un poliziotto bianco su una strada di Minneapolis.
Questi brutali fatti di cronaca rischiano di far obliare il contesto in cui accadono, i processi di lunga durata che li determinano. Accogliamo dunque con interesse un libro che pone tali eventi nell’opportuno quadro storico, seguendoli lungo ampi archi temporali per rintracciarne l’origine, ricostruirne il filo rosso – e mai metafora fu più indicata, poiché di sangue versato si tratta.
Daniele Biacchessi è intellettuale poliedrico – giornalista, scrittore e interprete di teatro di narrazione, regista e produttore cinematografico –, autore di numerosi libri d’inchiesta su tematiche scottanti come terrorismo, mafia e ambiente, di pagine sulla Resistenza, di rock e popular music. Con la prefazione di Roberto Festa e un’adeguata “Bibliografia consigliata”, il volume si configura come un racconto di storia e memoria, lungo un percorso di oltre quattrocento anni costellati da schiavismo, razzismo, xenofobia. Con passo agile e coinvolgente passione, l’autore narra dunque il “sogno” dei neri americani di liberarsi dalle catene del razzismo, dalla segregazione, dalla repressione degli apparati di Stato e dei cittadini che in quegli apparati trovano connivenza e protezione; e della “ragione” che una parte consistente della comunità afroamericana e di quella bianca più progressista ha messo in campo nei secoli nell’inesausta lotta contro le forze regressive dell’estremismo, della reazione, del suprematismo bianco, della destra estrema bigotta e violenta.
La storia prende avvio dalle origini della schiavitù nel continente americano, si dipana dall’era del Ku Klux Klan e dei linciaggi pubblici dei neri ai grandi conflitti razziali, dal primo di Harlem del 1935 alla rivolta di Philadelphia del 1964, ai fatti di Watts del 1965, all’insurrezione di Detroit del 1967, alla sfiorata guerra civile successiva all’uccisione di Martin Luther King, alla morte di Bob Kennedy del 1968, alle sommosse della Kitty Hawk del 1972, di Miami del 1980, di Los Angeles del 1992, di Saint Petersburg del 1997, di Cincinnati del 2001, di Ferguson del 2014, di Baltimora del 2015, sino all’oggi, con le imponenti manifestazioni del movimento “Black Lives Matter” seguite all’omicidio di George Floyd. Sfilano in queste pagine eroi ed eroine come Sojourner Truth, Harriet Tubman, John Henry, Claudette Colvin, Rosa Parks, Malcom X, Martin Luther King, Bob Kennedy, John Lewis and the Big Six, A. Philip Randolph, Angela Davis, e molti intellettuali afroamericani che hanno lucidamente riflettuto sui temi della discriminazione razziale, dei diritti civili negati e della cultura afroamericana.
All’approccio storico si affianca quello socio-culturale, con i temi dell’identità e dell’estetica black: molto suggestivo a tal riguardo il capitolo dedicato a uno studio seminale come Il popolo del blues di LeRoi Jones, alias Amiri Baraka, poiché l’autore considera la nozione di “estetica blues” una componente a pieno titolo del percorso di emancipazione politica e culturale del popolo nero, nella sua evoluzione dagli anni della schiavitù all’era moderna. Non manca naturalmente la storia del concetto di “Black Power”, delle Black Panthers e dei suoi esponenti, del cosiddetto “pregiudizio razzista inconscio”.
Pregevole anche la scelta di inserire lunghi estratti di celebri discorsi e brani di diari e di interviste (Martin Luther King, Malcom X, Angela Davis, Bob Kennedy e altri) che oggettivizzano e concretizzano ancor più il racconto, proiettando il lettore nella temperie politica, sociale e culturale in cui furono pronunciati e scritti. A leggerli oggi, si rimane colpiti dall’universalità e contemporaneità delle istanze di cui sono portatori; in particolare, i discorsi politici di Bob Kennedy risuonano profetici e straordinariamente attuali. La sua uccisione sancì davvero “la fine di un sogno”, e l’autore narra con struggente partecipazione l’ultimo viaggio che fece la salma di questo “generale di un’armata di diseredati” a bordo di un treno nero che sfilò di miglia in miglia dalla Penn Station di New York alla Union Station di Washington davanti ad una nazione annichilita.
Il libro si chiude con una postfazione, in cui l’autore, con piglio diaristico, torna ai drammatici momenti dell’ultima elezione presidenziale americana, con lo scontro selvaggio tra i due candidati, Donald Trump e Joe Biden, a cui segue una sintesi dei disastrosi interventi legislativi operati da Trump durante la sua presidenza. Sono pagine interessanti, anche perché Biacchessi lancia una critica al vetriolo al modo in cui l’informazione televisiva e la stampa italiane seguirono le vicende, caratterizzato da superficialità, faciloneria e “dall’atteggiamento sempre condiscendente con il potere in carica”.
Dunque, una lettura illuminante, soprattutto per coloro che considerano distanti e remote queste vicende, reputandole un problema solo americano. È un errore grave: come ci avverte Spike Lee, “il razzismo è in tutto il mondo”, ed è stolto e pericoloso chiudere gli occhi davanti alle sue tante manifestazioni che ritroviamo nelle nostre strade, nelle nostre case, nelle nostre menti.