Quando un anno fa recensii su Carmilla la traduzione del primo volume della trilogia tossica di Dale Pendell (1947-2018) fui in seguito bonariamente redarguito per mail da uno dei curatori della principale associazione italiana, con relativo sito internet, dedicata allo studio scientifico delle sostanze psicotrope, per aver contribuito a diffondere e pubblicizzare la lettura di un testo potenzialmente pericoloso. L’approccio totalmente libero e selvaggio, sperimentale e a suo modo sacrale di Pendell a un tema delicato come quello delle “droghe” o, come preferisce definirlo lui stesso, alla “Via venefica”, desta infatti in molti psiconauti esperti una certa prudenziale perplessità. Anche la presa di distanza cautelativa dello stesso editore nell’avvertenza, inserita all’inizio dei volumi (“Questo libro è un’esplorazione della via venefica. Tutte le sostanze delle piante descritte al suo interno agiscono come droghe – e pertanto come veleni – sul corpo umano. […] L’editore e l’autore raccomandano di evitare pratiche pericolose o illegali. […] La voce autoriale che compare al suo interno va considerata una costruzione finzionale. L’inclusione di ricette, preparazioni o dosaggi è espressione di tale voce, e non va in alcun modo considerata una raccomandazione all’uso. L’editore e l’autore declinano ogni responsabilità per eventuali azioni imprudenti o pericolose da parte dei lettori di questo libro”), è da intendersi come un invito ad accogliere il testo, innegabilmente affascinante, dell’hipster statunitense soprattutto come una silloge poetica, una narrazione immaginosa e visionaria, al limite come un grimoire analogo a quelli tramite i quali la goetia rinascimentale tentava di evocare i demoni, ma assolutamente non come un manuale operativo da prendere alla lettera o un trattato affidabile in senso scientifico.
Questo non toglie alla trilogia del Pharmako – farmaco inteso in senso etimologico, come medicina e contemporaneamente veleno – la sua centralità estetica ma anche informativa e “filosofica” nel vasto campo degli scritti sull’esperienza, estatica o infernale che sia, indotta dagli stupefacenti. Pendell è il degno erede contemporaneo degli illustri compagni di viaggio che lo hanno preceduto: Coleridge, De Quincey, Poe, Baudelaire, Rimbaud, Lewin, Benjamin, Artaud, Cocteau, Michaux, Jünger, Huxley, Burroughs, Leary, McKenna, e tutti quelli – grandi o piccoli, importanti o trascurabili, famosi o misconosciuti – che hanno saputo trasformare l’esperienza dell’ebbrezza e dell’estasi dionisiaca in creazione letteraria.
Il primo volume, pubblicato in italiano, come già detto, l’anno scorso, era Pharmako/Gnosis, dedicato alle sostanze volgarmente dette allucinogene, o con termini più precisi psichedeliche perché rivelatrici della psiche o enteogene perché capaci di liberare il divino in noi inducendo esperienze mistiche e spirituali. Sostanze come l’LSD, la mescalina, la psilocibina, il DMT, la ketamina, l’Ayahuasca e le piante sacre che ne contengono gli alcaloidi: cactus come il Peyote e il San Pedro, funghi come l’Amanita muscaria, arbusti come l’Iboga, ecc. Questo secondo volume appena uscito invece è Pharmako/Poeia dedicato agli euforici, agli inebrianti e agli anestetici: sostanze o piante – le alleate, come le chiama affettuosamente Pendell – alcune arbitrariamente e convenzionalmente legali, come la nicotiana tabacum, il saccharomyces cerevisiae, la vitis vinifera, origine rispettivamente del tabacco da fumo, della birra, del vino e dell’Aqua Vitae; altre, per analoga convenzione, illegali come il papaver somniferum, cioè il papavero da oppio, la salvia divinorum, la cannabis sativa; altre infine a metà strada tra legale e illegale come l’etere, l’assenzio, il protossido d’azoto. Il volume finale, che sarà tradotto presumibilmente l’anno prossimo, è invece Pharmako/Dynamis che affronta gli stimolanti e gli eccitanti, anche questi alcuni legali – come la caffeina del tè e del caffè – o diffusi legalmente in paesi per noi esotici, come il khat o il betel; altri illegali come la coca o le anfetamine.
Al di là dell’interesse per il contenuto trattato, è anche e forse soprattutto la forma – in precario equilibrio, magmatico e polimorfo, fra poesia, prosa narrativa, diario, saggistica filosofica o etno-antropologica, grimorio stregonesco, ecc. – a catturare la fantasia del lettore, insieme alle numerose e altrettanto eterogenee immagini che corredano fantasiosamente le pagine: se il tutto rischia di risultare disarmonico si tratta di una disarmonia estremamente armoniosa.
In attesa del terzo volume e invitando il lettore ad abbandonarsi – vigile, guardingo, consapevole ma anche partecipe – al fascino intrigante di questo testo, concludiamo con un esempio della prosa immaginosa, mistica e lirica di Pendell: “Il Creatore ha fatto il Mondo dai veleni. […] Non ha senso chiamare puro quel che è definito come impuro, o si? ‘Tutte le profanazioni intrinsecamente pure’. Tutte le impurità co-create, co-dipendenti del pensiero e del cervello, che vengono volando verso di noi come angeli, o emergono dal loro stesso sorgere: una foglia, un corno, un sogno, una voce che passando ha lasciato cadere una parola. Non stiamo cercando di dire che questi veleni sono belli, ma ‘bello’ è relativo, non un dio. Occhi di veleno, orecchie di veleno, canti di veleno: sogni dentro un sogno. Speriamo di non avere avvelenato il mondo invano”.