Da Cave all’eternità

Reinhard Kleist, Nick Cave: Mercy on Me, Bao Publishing, pp. 322, euro 21,00 stampa

Nick Cave è il più importante cantautore in attività. L’eleganza trasgressiva della sua ricerca sonora e l’altissimo valore letterario dei suoi testi non hanno paragone sulla scena musicale odierna. Narratore d’eccezione, Cave ha sempre coltivato una forte fascinazione nei confronti dei maestri del Southern Gothic statunitense, tanto da scrivere un romanzo, E l’asina vide l’angelo (Arcana editrice, 1991, fuori catalogo), un capolavoro di ricerca formale e grottesco, che è idealmente un tributo personale al genio di William Faulkner.

Reinhardt Kleist, talentuoso fumettista tedesco amante del rock ’n’ roll (al suo attivo una biografia di Johnny Cash e una di Elvis), sceglie di rappresentare la vita di Cave filtrandola attraverso le storie delle sue canzoni. “The Hammer Song”, “Where the Wild Roses Grow”, “And the Ass Saw the Angel”, “The Mercy Seat”, “Higgs Boson Blues”; i capitoli percorrono l’esistenza del musicista dall’infanzia nei sobborghi di Melbourne ai giorni nostri, senza glissare sugli aspetti più oscuri: gli eccessi punk dei Birthday Party, prima band di Cave, l’abuso di stupefacenti, l’alienazione linguistica ed esistenziale del periodo berlinese.

Il tono della “biografia” è svelato nelle prime tavole: il protagonista di una delle canzoni, sanguinante, si rivolge direttamente al suo autore, chiedendogli perché abbia deciso di farlo morire da solo in quel luogo maledetto. Erede della grande tradizione anglosassone della murder ballad, Cave si trova a dover affrontare i suoi demoni, trasfigurati nei personaggi assassinati dalla sua penna macabra. Il mondo lugubre, spietato ma poetico delle canzoni è ricreato e continuamente intrecciato alla realtà, tanto che Cave ha scherzosamente affermato come l’opera di Kleist sia più vicina alla verità di ogni altra biografia.

Con la severità di un’acquaforte e la cupa violenza iconoclasta e rumoristica della new wave, il fumettista tedesco crea una graphic novel d’eccezione, dando forma allo stile biblico-apocalittico del musicista. Com’è per i concerti dei Bad Seeds, la sovrapposizione tra arte e vita è pressoché perfetta, e consegna un prodotto crudo, intenso, toccante. A riprova di ciò, l’ultimo capitolo, dedicato alla notevole “Higgs Boson Blues”, mostra un Nick Cave intrappolato in un’apocalisse quantistica, che si spinge sempre più avanti, fino a gettarsi con la sua macchina dentro la “scintilla della creazione”, oltre la quale troviamo un palcoscenico, una folla di adepti adoranti come in un revival dai tempi della Depressione, e di nuovo lui: l’uomo, il performer, l’autore-creatore di tutto ciò che abbiamo letto fin qui.

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