1936. Che anno è questo per l’Italia, sedotta dall’ispirazione mussoliana rivolta alla conquista dell’Abissinia? Ispirazione? Chiedo venia per l’uso di questo vocabolo, ma non mi vengono in mente altre squisitezze canzonatorie da promulgare in menti antiche a moderne, quando si accerta quotidianamente la condizione comatosa della memoria di un popolo: giammai affaccendarsi in flashback più estesi di qualche misero mese. Come affrontare il “signor problema” attuale (usi, costumi e politiche), ammesso che qualcuno ne sia intenzionato, quando ci si trova davanti a un libro come questo?
Cronache dalla polvere (la colpevole distanza dal soggetto fa sì che ci sembri d’esser proiettati all’interno di un mondo parallelo in stile The Man in the High Castle, copyright Philip K. Dick) brandisce una verità a lungo sopita, racconta i diversi aspetti di quanto accadde nello stato africano, e in quelli limitrofi, partecipe l’esercito italiano comandato da folli legulei.
Il regime comandava, le truppe insieme alle camice nere distruggevano villaggi e genti, non risparmiando donne e bambini. Figurarsi i “negri” considerati al pari di bestie, e anche peggio. I disertori (c’erano, c’erano…), venivano passati per le armi senza pensarci due volte. La guerra tra Regno d’Italia e Impero d’Etiopia comincia nell’ottobre del 1935. Le truppe invadono il territorio etiope da nord, Eritrea, e da sud-est, Somalia. L’uso di iprite, gas asfissianti e lanciafiamme non si risparmia, gli ordini da Roma sono perentori e il generale Graziani reprime la resistenza, le fucilazioni si contano a manciate. Anche la chiesa copta, sospettata di proteggere i ribelli, subisce la repressione, centinaia di monaci, diaconi e civili vengono massacrati.
Dove si legge, in questi giorni, tale barbarie velenosa, tale furia etnica? Cronache dalla polvere è il risultato di un lavoro collettivo, undici autori e autrici (raccolti nello pseudonimo di Zoya Barontini) con altrettanti racconti hanno partecipato al progetto di mosaic novel curato da Jadel Andreetto. Ricordi personali e familiari che portano dove la crudezza storica non dà scampo, a patto che i fantasmi non si rifiutino di apparire là dove vengono convocati, e spinti (se non spintonati) a narrare le proprie storie e tutto quello che videro in quel tempo feroce.
Gli scrittori e le scrittrici, tutti pressoché giovani ma con alle spalle molte pubblicazioni e impegni letterari, prestano il loro ingegno alla narrazione di episodi dove le gesta esposte non mancano di creare imbarazzo e disgusto, pietà e rabbia. Ma le storie sono quelle, quasi sempre taciute o cancellate dalla memoria collettiva. C’è da chiedersi quanto sia rimasto, in epoca recente, nel deposito così definito. Memoria? Quali padri hanno saputo raccontare quel che hanno visto, o sentito rievocare da commilitoni e amici, ai figli nati negli anni Cinquanta del Novecento? Forse, tutt’al più, qualche piccola cronaca infarcita d’esotismo, con sottomano una manciata di cartoline color seppia raffiguranti “bellezze” (l’uso delle virgolette, per inciso, rimanda al pensiero collettivo di quel periodo) africane a seno nudo riesumate da bauli polverosi. Questo è un ricordo personale. Impregnato d’imbarazzo paterno nel cogliermi a sfogliare quelle immagini, di certo dovuto alla nudità esposta e non all’improvvisa emersione di scene sanguinose. Ma lui non era stato in Etiopia, senza plaudire o volgere all’indulgenza, evitiamo troppo spicci fardelli.
I dieci racconti presenti in Cronache dalla polvere sono accompagnati dalle illustrazioni nitidamente visionarie di Alberto Merlin, e da postille dove ogni autore e autrice presentano testimonianze e rievocazioni affiorate dagli album mnemonici di intere famiglie. Prova diretta di quanto i nomi possano ancora rimandare al tempo odierno le cronache che furono, a lungo taciute ma sicuramente infestanti gli animi di molti. Ogni racconto sembra pietosamente togliere dalla croce i personaggi più neri di quel tempo, le storie intime di coloro che furono costretti al viaggio coatto e alle azioni più truculente.
Nessuna redenzione utile, sia chiaro, ma la capacità di questi scrittori è palese: dal repertorio linguistico alla consapevolezza morale di voler scoperchiare un sigillo di piombo rimasto saldo per quasi un secolo. Il dissesto politico di quegli anni nitidamente vili torna alla luce con particolari filmici di grande efficacia, in questo libro si respira tutta la polvere ideologica e razzista che sembra ancora battere duramente contro le nostre coscienze postume. Ma che postume, considerata l’attualità, non resteranno a lungo.