Chiunque abbia letto l’appassionante saggio di Sergio Luzzatto La mummia della repubblica. Storia di Mazzini imbalsamato, 1872-1946 (Rizzoli, 2001; Einaudi, 2011), dedicato alle vicende postume della salma mummificata di Giuseppe Mazzini, già conosce il nome di Paolo Gorini. Nato a Pavia nel 1813 e morto nel 1881 a Lodi, dove ancora si trova ed è visitabile, presso l’Ospedale vecchio, il macabro e affascinante museo che raccoglie i risultati delle sue scoperte sulla conservazione delle sostanze organiche, Gorini fu scienziato e matematico in sintonia con il pensiero positivista e massonico, patriota risorgimentale in ottimi rapporti con Giuseppe Garibaldi e intimo amico di molti letterati della Scapigliatura, oltre che inveterato bon vivant e grande estimatore delle bellezze femminili, ma fu soprattutto “il Pietrificatore”.
Le formule “segrete” dei preparati goriniani (la ricetta a base di bicloruro di mercurio e muriato di calce è stata recuperata e resa pubblica solo nel 2005), iniettati dall’arteria femorale del cadavere esangue, permettevano la totale essiccazione del corpo intero o di sue parti, consentendone una conservazione praticamente indefinita. Accanto all’alchimista Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, e di quel Federico Ruysch immortalato da Giacomo Leopardi nelle sue Operette morali, Gorini assurge al soglio di demiurgo anatomico, inventore tra l’altro del forno crematorio, secondo le norme igieniche illuministiche derivate dall’editto napoleonico di Saint Cloud, di foscoliana memoria, e dalle indicazioni più materialistiche dei philosophes dell’Encyclopédie.
Il “lavoro” che rese famoso il Pietrificatore fu ovviamente la preparazione della salma di Mazzini anche se, come sempre volle puntualizzare lo scienziato, essendo il decesso del patriota avvenuto già da due giorni all’arrivo di Gorini a Pisa, non si trattò di una vera e propria pietrificazione, ma solo di una “disinfezione” per arrestare il processo di decomposizione. Il corpo restò comunque a lungo in condizioni relativamente floride, così ci racconta Luzzatto, tanto che poté essere estratto dal sepolcro di Staglieno, a Genova, dove riposava dal 1872 ed esposto pubblicamente in occasione dei festeggiamenti per la fondazione della Repubblica, il 23 giugno del 1946, restando visibile agli omaggi della folla per una settimana, in una sorta di – parole di Luzzatto – “Piazzale Loreto a rovescio”.
Di questo curioso personaggio, Paolo Gorini, detto anche Il Mago, dai suoi concittadini, ci parla con dovizia di particolari e un profluvio di lugubri immagini scattate dal fotografo Carlo Vannini, il volume edito da Logos e inserito nella collana Bizzarro Bazar, curata da Ivan Cenzi – gestore di un omonimo blog dedicato al macabro e al perturbante – che propone oltre a questa, altre inquietanti escursioni fotografiche – accompagnate da dettagliati apparati saggistici bilingui, italiano e inglese – nel regno umbratile degli ossari e degli istituti anatomici: ricordiamo Sua Maestà Anatomica, dedicato al Museo di anatomia patologica Morgagni di Padova; La Veglia eterna, sulle Catacombe del Museo dei Cappuccini di Palermo; De Profundis, sul cimitero delle Fontanelle di Napoli; Mors Pretiosa, sulla cripta dei Cappuccini e Santa Maria dell’Orazione e Morte a Roma, e San Bernardino alle Ossa a Milano. Se esiste un voyerismo del sesso, nondimeno esiste anche un voyerismo della morte.
Gorini fu non solo amico personale di scrittori ma anche ispiratore e persino personaggio della letteratura scapigliata: suggerì la famosa poesia di Arrigo Boito “Lezione di anatomia”; servì da modello per Martino nel romanzo Vita di Alberto Pisani (1870) di Carlo Dossi e per Gulz, l’anatomista del racconto “Un corpo” (1870) di Camillo Boito. Nelle sue Note azzurre Carlo Dossi così ce lo rappresenta – forse calcando un po’ la mano – “Cadaveri e cadaverini – covate di cagnolini – teste imbalsamate su busti di gesso: il cuore della fanciulla, della durezza dell’agata; il glande del giovinetto; la mano aristocraticissima (…) Gli amori di Gorini tra i morti. (…) Gorini convisse coi soli morti per dei mesi di seguito. (…) tenea nella sua stanza da letto pezzi di gambe e di braccia nei cassettoni e nel comodino. Sotto il letto avea poi un bimbo essiccato – nella saccoccia dita, nel taschino del gilet bottoni scolpiti in carni impietrite…”. Quando venne il triste momento Gorini eseguì gratuitamente anche la pietrificazione dell’amico scrittore scapigliato Giuseppe Rovani nel 1874, la sua opera più riuscita, pare, tanto che ci si rammaricò all’epoca che non fossero state affidate alle cure immortalanti dell’anatomista anche le sacre spoglie di Alessandro Manzoni. “Gli amori di Gorini tra i morti”, aveva scritto Dossi, infatti a dispetto o forse proprio in conseguenza dell’aura mortuaria e luttuosa che lo accompagnava, i suoi amori furono numerosi e movimentati: il Mago non si sposò mai ed ebbe molteplici amanti fino a tarda età. Questo e altro scopriamo scorrendo le avvincenti pagine del volume, tra la foto di una mummia e l’altra.
Per chi coltivi gusti cadaverici e mummieschi azzardiamo una rapida bibliografia che possa accompagnare la lettura di questo volume: il romanzo Santa Evita (Sur, 2013) di Tomàs Eloy Martìnez, sulle peripezie postume, anche amorose, della mummia di Eva Peròn; Il’ja Zbarskij e Samuel Hutchinson, All’ombra del mausoleo: la storia dell’uomo che imbalsamò Lenin (Bompiani, 1999), dal mausoleo legato al culto di Lenin, fino alla condizione degli ex imbalsamatori di regime nella Russia di oggi, costretti a conservare i corpi dei mafiosi per sopravvivere; Frances Larson, Teste mozze: Storie di decapitazioni, reliquie, trofei, souvenir e crani illustri (Utet, 1998), qui si parla solo di teste, partendo da quella di Oliver Cromwell; infine di Sergio Luzzatto, oltre al libro già citato e sempre per Einaudi, anche i classici Il corpo del duce (Einaudi, 2011) – non mummia ma cadavere putrefatto – e Padre Pio: Miracoli e politica nell’Italia del Novecento (Einaudi, 2007), mummie viventi in questo caso.