Crimini e cucina

Brigitte Glaser, Crimini al pistacchio, Emons, tr. Anna Carbone, pp. 313, euro 14.00 stampa

Brigitte Glaser è una scrittrice tedesca di letteratura poliziesca. Nonostante sia autrice anche di deliziosi libri per bambini – ne ha pubblicati cinque – Glaser è famosa in tutta la Germania per le avventure di Katharina Schweitzer a cui ha dedicato lunghe storie. Katharina è una donna dalla bella presenza, forte e volitiva con la sua chioma di capelli rossi. È una cuoca di alto livello che ha lavorato in diversi ristoranti, all’inizio al seguito di grandi e famosi  chef, fino a inaugurare un locale tutto suo. Il suo ristorante, il Giglio Banco, vanta ben due forchette sulla guida Gault e Millau. Vive e lavora a Colonia, la città dove vive la stessa Glaser, sua “madre letteraria”, nata nella Foresta Nera e traferitasi in città da bambina.

Da qualche mese è uscito in traduzione italiana il sesto dei suoi sette libri dedicati alla chef investigatrice. Si intitola Crimini al pistacchio e lo ha pubblicato la casa editrice Emons (filiazione diretta della Emons tedesca, che pubblica la Glaser in Germania). Si tratta di un giallo ambientato in Alsazia, nell’ambito di uno dei tanti festeggiamenti dell’amicizia franco-tedesca. Katharina vi partecipa per una gara culinaria. È stata convinta dalla madre a sostenere questa competizione  anche per cercare di distrarsi da una recente delusione amorosa. Per sua fortuna, durante il viaggio, ha il piacere di incontrare le gentili attenzioni di tale Luc con cui trascorre la prima notte di permanenza in Alsazia.

Nel frattempo il lettore ha conosciuto altri protagonisti della scena che, gioiosi e allegri come per una scampagnata, hanno preso l’auto per passare il confine. Ecco allora il colpo di scena che imprime la piega al romanzo: la mattina del giorno dopo il loro arrivo, queste persone trovano il cadavere di anziano viticoltore che galleggia nel fiume adiacente il villaggio. È un viticoltore francese e, quello che rende più terribile la scoperta, ha infilato nella schiena il coltello di proprietà della chef Katharina Schweitzer che, pergiunta, non impiegherà molto a scoprire che l’anziano ucciso non è altri che il padre del suo amico Luc.

Da quel momento si vede la chef rinunciare al suo ruolo e, momentaneamente, ai suoi progetti, per avviare un’indagine in cui i personaggi sono il prodotto della cura della loro autrice e i sentimenti sono uno dei motori che governano le relazioni tra la persone e, in qualche misura, ne orientano anche le scelte.

Leggere la Glaser ci rende facilissimo pensare ai romanzi di Agatha Christie. La scrittura è lineare, senza forti pretese letterarie. L’ambientazione è borghese e la trama trova la sua consistenza in un susseguirsi di trappole e tranelli. Parliamo qui del successo di vendite e di pubblico di una narrativa che pesca a piene mani dai canoni dei primi dell’Ottocento, quando questa letteratura di genere nasceva e si affermava dalla Gran Bretagna in tutto il mondo. Era il trionfo dell’investigatore “deduttivo” che si muove considerando tracce abbastanza evidenti, porta avanti delle indagini piuttosto lineari e, inevitabilmente, giunge alla scoperta della verità.

Naturalmente i romanzi gialli della Glaser non seguono in maniera cosi pedissequa questi schemi narrativi. Sono passati molto più di cento anni da quando Agatha Christie, Conan Doyle, Edgar Allan Poe e altri nobili maestri di questo genere letterario affermavano dei canoni che ci portano a dire che tutti i “giallisti” tradizionali sono figli e figlie di Sherlock Holmes e/o di Poirot e miss Marple, e devono la loro impostazione metodologica al positivismo ottocentesco. Usano la ragione e la logica, sono distanti dall’ambiente in cui si svolge il delitto. Investigano non per denaro, né per dovere, ma per piacere e vanità intellettuale (la stessa Katharina Schweitzer si guadagna da vivere con il mestiere di cuoca). Glaser ci fa ricordare soprattutto il Maigret di Georges Simenon e si colloca bene nella cerchia di scrittori e personaggi come Nero Wolfe di Rex Stout, Pepe Carvahlo di Manuel Vàsquez-Montalbàn. Per il loro amore dei piaceri domestici, del vino e della tavola, di una dimensione “lenta” dell’indagine. Ma quello che sembra esserle più vicino è il commissario Montalbano di Andrea Camilleri che riveste le stesse caratteristiche e gode di un successo simile. E va tenuto presente che Katharina è donna e in più è una cuoca. Questo le conferisce un elemento in più nella definizione del personaggio.

A questo punto è giusto avventurarsi in una riflessione che riguarda i gusti del grande pubblico contemporaneo. Come è noto a tutti, infatti, se la letteratura di genere ha il pregio di rappresentare senza mimetismi la condizione in cui versano le società contemporanee, d’altro canto può anche costituire una proposta di “intrattenimento” e di “evasione”.

Nella prima parte del Novecento fu di fondamentale importanza l’avvento degli scrittori statunitensi del genere hard-boiled che polemizzavano fortemente con il giallo classico. Il protagonista investigatore era diventato una persona qualunque. Civile o poliziotto, egli si muove in un contesto di corruzione e degrado di cui fa parte a pieno titolo. Sempre in balia delle sue debolezze, che siano l’alcool o le donne.

È inutile dire che questo secondo genere sta avendo molto successo in Europa (tutti vorrebbero scrive almeno un noir…). Nella sua evoluzione verso l’hard boiled e il noir, il giallo rappresenta così la complessità della società e il mutamento dei punti di vista e dell’etica condivisa, delle categorie del bene e del male e di quelle di colpa, di condanna e di espiazione. Insomma, può rappresentare una sferzata agli occhi del lettore e per la cultura egemone. Ma il successo di scrittrici come Glaser e come lo stesso Camilleri sono un’occasione per riabilitare la letteratura d’evasione, quando è ben fatta, colta, curata e invita gentilmente il lettore a “giocare con i protagonisti  del romanzo”. Tant’è vero che Glaser, alla fine del libro ci lascia alcune utilissime pagine di ricette tedesche e alsaziane.