Prendi il cubo di Rubik, la musica di Karl Heinz Stockhausen, un pallone areostatico, e altre entità, combinali insieme secondo regole ricorsive e ne esce ADA:39 la prima ambiziosa opera di Cosimo Lupo che presta il proprio nome non tanto a un personaggio o narratore quanto a una voce impersonale che commenta, ricorda, narra al fine di comprendere la complessità combinatoria del mondo.
L’idea di Cosimo è di salire a un’altezza di 39.000 metri e in 7 minuti lasciarsi cadere cercando nel frattempo di risolvere alla cieca il cubo di Rubik e di superare la velocità del suono, quindi della musica.
Ci sono diversi metodi per risolvere il cubo di Rubik (mi piace ricordare che i miei nipoti di 12 e 8 anni lo risolvevano in spiaggia, mentre si annoiavano, in pochissimo tempo: “l’algoritmo zia, l’algoritmo…”) – il metodo scelto da Cosimo è quello “a strati”.
ADA:39 è composto da sei stanze (le facce di un cubo) in cui l’atleta, l’attore, il bibliofilo, lo scultore, il viaggiatore, il compositore – ri/visti da altezze continuamente aumentate – ricompaiono in diverse sequenze e combinazioni con altri enti: naturali, umani, chimici, matematici, ricordi, descrizioni, personaggi storici, in cui la scrittura organizza, per citare Stockhausen, “the change from one state to another, with or without returning motion, as opposed to a fixed state”.
Cosimo decide di assegnare a ognuno dei colori delle facce del cubo un oggetto concettuale: all’arancio il limite della comprensione, al rosso il limite del sapere, al blu dell’interpretazione e così via… Le cose compaiono nelle loro superfici traslando l’una nell’altra con uno sguardo che si avvicina e si allontana e in qualche modo le ordina senza una selezione gerarchica. Ancora un riferimento alla musica puntuale di Stockhausen?
Giorgio Parisi, che ha appena vinto il Nobel per la fisica, ha spiegato ai profani la differenza tra in sistema semplice e uno complesso: l’acqua in un bicchiere è un sistema semplice (misurabile, composta da molecole uguali, ecc.) mentre un sistema complesso può essere un cane che: “ lo si può descrivere guardandolo fisicamente da fuori. Poi ci sono tutti gli ormoni e tutte le cellule, internamente. E ancora: c’è la complessità che riguarda la descrizione affettiva del rapporto con il padrone”. Il cane è quindi “un sistema estremamente complesso”.
Un accostamento sorprendentemente creativo e poetico, quello del fisico, che fa il paio con le conclusioni di ADA:39: “Sono a trentaseimila metri di altezza, e non ce la faccio, non ce la faccio proprio più. Mi gira la testa, ho paura, ho freddo, ho fame, ho bisogno di qualcuno. Mi lascio cadere. ” Vale a dire che il mondo sistema complesso per eccellenza non si fa comprendere da lontano, ci si è comunque immersi in relazioni affettive, di bisogno, di desiderio…
ADA:39 è un libro complicato ed entrarci dentro mette alla prova il lettore ma poi, come quando le facce del cubo di Rubik cominciano ad andare a posto, è interessante e finanche divertente; il lettore comincia ad orientarsi, viene spinto ad arrivare al fondo e a vincere la sfida di capirne la struttura e riconoscerne la logica che lo innerva. Poco importa che fatto il cubo quel che rimanga sia solo la fugace soddisfazione di aver messo ordine e non resti che ricominciare rimescolando le facce e i colori: lo stesso Cosimo Lupo sostiene che le cose viste da lontano alla fine non sono che sciocchezze.
Davanti a un libro bizzarro, figlio di una tradizione avanguardista che segue ferree regole compositive, il lettore ha due strade. Quella prosaica e banale (il pericolo che corrono tutte le opere sperimentali) di buttarlo nel secchio insieme al cubo di Rubik e alle varie opere iper intellettuali di Stockhausen, incauto ma inevitabile ammiratore del crollo delle torri gemelle – “un capolavoro cosmico”.
Oppure caderci dentro e cercare di scoprirne tutti gli enigmi e le regole, i codici di cui è composto con il piacere di lasciarsi andare – in continuità all’accumulo di enti che partecipano della comune sostanza e della libertà della lingua – a scoprire nuove connessioni o parentele con altre scritture sperimentali del Novecento (ad esempio Rayuela. Il gioco del mondo di Cortázar). Ma anche anche con il fermo immagine del racconto di un tuffo in Per sempre lassù di D.F.Wallace a cui rimanda l’atleta, il francese Thierry Vigneron che incontriamo nella prima stanza nel momento in cui salta con l’asta e propaganda la propria oscillazione “per simpatia a tutti i trentatremiladuecentoventuno spettatori paganti dello Stadio Olimipico, generando un moto ondoso” e che nell’Epilogo del libro, Cosimo ancora ri/vede in fermo immagine.
Ultima connessione: un romanzo come ADA:39 è un esercizio necessario oggi, quando davanti a un mondo sempre più complicato e non facilmente comprensibile, la scorciatoia della semplificazione del pensiero con circuiti complottisti si diffonde a macchia d’olio.