Choses qui voyagent, poesie atmosferiche, carte, ritratti, libri, fogli sparsi, segni lasciati sul terreno, tour infiniti di cui non esiste un centro, ma tutto risale al viaggio, al nomadismo, come Franco “dichiara” nel disegno del ’94 (quasi un auto-manifesto) e posto in copertina di questo libro “più alto di 1 cm”. Flusso ininterrotto di tempo, senza una fine, contrariamente alla profetica poesia scritta nel settembre del ’95 (un mese prima di morire e senza essere malato): “Quando uno come me / pubblica un libro più alto / di un centimetro / significa che la fine / è davanti agli occhi”. L’esigenza di dire a chi non sa niente quel che molti ancora sanno, anche se questi “molti” sono sempre meno.
Franco Beltrametti, nato a Locarno nel 1937, da padre ferroviere (un karma mica da sottovalutare), dopo aver letto tutto quello che c’era da leggere, inizia a incontrare artisti e poeti graditi al dio della fame artistica (Klein, Giacometti, per dire) e inaugura la scorribanda (alla Blaise Cendrars, suo modello di gioventù) di viaggi per l’Italia e “fuori casa” che lo porterà a conoscere luoghi e persone che lo accompagneranno per sempre nella sua vita e dunque nei suoi scritti. Non esiste nessuna distinzione fra le due cose, quando si tratta di Franco. Volete qualche esempio? Francia, Grecia, Londra, Roma, Transiberiana, Giappone, Kyoto, California, San Luis Obispo, Belice, Mulino di Bazzano, Sperlonga, Riva San vitale, Lussemburgo, New York, Venezia… non sono soltanto incroci di nomi e luoghi ma anche di poeti e artisti: Blumer, Zanier, Beriger, Fiorenzi, Lombardi, Snyder, Whalen, Corman, Sakaki, Koller, Ginsberg, Ferlinghetti, Costa, Spatola, Niccolai, Bisinger, Blaine, Hoogstraten, Ruchat, Angioni, Lacy, Villa, Cage, Baruchello, Vangelisti, Longville, Waldman, Raworth, Ria, Vicinelli, Giusti, Degli Esposti, Pozzi.
Di certo gli piacerebbe questa lista, come gli piacevano le liste di parole da esporre al pubblico nelle gallerie d’arte, “dette” spesso in coppia con Tom Raworth e Dario Villa. Elenco che quasi si vergogna d’essere qui tanto incompleto. A quelli che hanno voglia di averne altri, consigliamo la lettura (oltre a Il viaggio continua, librone destinato a mappa prioritaria di una geografia esistenziale) di Autobiografia in 10.000 parole ripubblicata in italiano nel 2016 a Bellinzona dalle Edizioni Sottoscala.
In mezzo a tutto questo ha tempo di laurearsi in architettura, però senza praticare la professione (ma in California, dopo aver approfondito le nozioni di carpenteria, un giorno si costruì una casa), di sposarsi con l’americana Judith Danciger, conosciuta a Roma nel 1963, e di far nascere a Kyoto nel 1966 il figlio Giona. Insomma, poesie per tutto il mondo, e graffiti senza confini, “Cose che viaggiano” (Quand on aime il faut partir, come nella mostra itinerante) appunto, così Beltrametti viaggia da un continente all’altro portando con sé l’amicizia e l’esperienza di una miriade di amici e poeti, facendosi tramite irrinunciabile fra diverse lingue e visioni del mondo. Tutto all’insegna di una leggerezza diventata proverbiale, grande quanto la perseveranza nel costruire incontri, libri, libretti, opuscoli con tirature (per così dire) limitatissime e una circolazione del tutto “interna”.
Antonio Porta gli chiese una raccolta che non uscì mai ma lo inserì nell’antologia, oggi storica, Poesia degli anni Settanta. Le invenzioni si moltiplicano, così come le collaborazioni e le mostre in tutto il mondo. Le Carte tibetane e la sua calligrafia (con cui spesso costruisce interi libri) sono movimento costante, corrente ciclica di un’arte che affonda radici in tutto il mondo, dal Buddismo Zen alla cultura libertaria europea e americana, dalle tribù della “Gente Condor” a quelle del Belice in mezzo alle macerie del terremoto nel 1968. Un altro terremoto è una delle più famose raccolte poetiche di Franco, pubblicata dalle Edizioni Geiger di Adriano e Maurizio Spatola nel 1971.
“Vita e poesia sono state la stessa identica cosa, essendo la seconda il diario della prima” scrive Giulia Niccolai nella terza prefazione a Il viaggio continua. Impressioni, in cui la data è parte irrinunciabile del testo, racconti, lampi e flash, airmail postcards, umorismo, senza compiacimenti, seguendo il cammino delle sue onnipresenti scarpe da ginnastica bianche. Nella seconda prefazione (la prima è di Stefan Hyner, poeta tedesco e amico dai tempi di P77, un festival di poesia sognato a Monaco e realizzato con Gianantonio Pozzi e Armando Pajalich ai Magazzini del Sale di Venezia nel 1977), Anna Ruchat ci racconta gli avvenimenti che portarono lei e la sua famiglia a conoscere Beltrametti, intessendo rapporti intensi e amicizie mai venuti meno. Anna non ha smesso di promuovere le “Cose” di Franco dalla morte in poi, facendo nascere la Fondazione, promuovendo mostre e pubblicando libri e cataloghi senza sosta. L’assiduo lavoro ha raccolto fino in fondo un pensiero artistico, una scrittura e uno stile di vita che di certo non hanno uguali in Italia e all’estero.
Un vero arcipelago tutto intorno alla casa a corte di Riva San Vitale, dove ogni genere di oggetto era catalogato dalla sua semplice presenza in mezzo agli altri. Una “Montagna rossa” (dal titolo di una celebre rivista il cui primo numero uscì in Svizzera nel 1971) di libri e manufatti in cui si sente ancora l’eco delle chiacchierate. Dario Villa scrisse sul “Manifesto” che Franco se n’era andato “nel suo stile, senza stare a pensarci troppo su”, seguendo “il modo veloce” con cui aveva orientato, forse da “clandestino” che parla per e con i “clandestini”, l’intera vita. Vita che oggi ha proprio bisogno, per essere raccontata dalla prima all’ultima pagina, di un libro come questo, curato con impagabile scrupolosità e sconfinato amore da Anna Ruchat.