Cosa sono i Vangeli? Chi li ha scritti?

Corrado Augias, Giovanni Filoramo, Il grande romanzo dei Vangeli, Einaudi, pp. 272, euro 19,50 stampa, euro 9,99 epub

Il giustiziato Gesù di Nazareth, dopo la sua comparsa sul nostro pianeta, viene narrato da quattro Vangeli. Quattro versioni, non del tutto simili, della sua esistenza dalla nascita alla resurrezione. In più annoveriamo una serie di testi cosiddetti Apocrifi, e il Vangelo di Giuda ristampato recentemente. In tutti gli scritti ci imbattiamo in una folla di personaggi, dai molteplici destini, e con differenti sostanzialità nel corso del racconto. E ci sono molte donne, quasi sempre in ruoli di primo piano – caratteristica inusuale per epoca e geografia –, che accompagnano soprattutto nell’età adulta il predicatore mandato a morte. I Vangeli presentano una serie di personaggi, di varia funzione, spesso irrigiditi dalle simbologie cresciute nei secoli trascorsi dopo la loro stesura. Appare subito quanto sia stata straordinaria la sopravvivenza, nell’immaginazione mondiale, di queste figure dalla molto incerta verità storica. Augias però, ricordando il rilievo di Borges secondo cui i testi sacri sono soprattutto un “ramo della letteratura fantastica”, ma evitando di ridurli a una semplice fiaba (anzi, il contrario), s’avventura in una indagine documentata da lui stesso e da uno dei massimi storici del cristianesimo, Giovanni Filoramo. È sufficiente a dar vita a una salutare e profonda lettura che va ben oltre il richiamo borgesiano. E infatti questo libro ne è testimonianza.

I coprotagonisti, durante il dialogo fra gli autori, emergono in tutte le loro caratteristiche, di primo e di secondo piano, a cominciare dalla madre del condannato, e dal padre, che narrativamente appaiono appena abbozzati. E Giuda, destino prefissato dalla Legge divina, la cui inquietudine fa sì che nelle scritture diventi, dopo Gesù, il personaggio più angosciante e problematico. Inoltre Maria di Magdala, nota come La Maddalena, accresce il nostro desiderio di sapere e dunque di seguire l’introspezione “interrogativa” di Augias in confronto a quella “storica” di Filoramo. Complicazioni e gesti, che appaiono insensati, fuoriescono dalle pagine evangeliche e dai documenti emersi da un’epoca lontanissima. Il filo che congiunge il sacro alla storia principale, e ai risvolti secondari, si assottiglia o s’irrobustisce a seconda dell’inquadratura messa a fuoco dall’occhio responsabile e per certi versi implacabile di Augias e Filoramo. Gesù è protagonista contradditorio, tanto affascinante quanto più gli evangelisti, uniche persone o somma d’intelletti che essi siano, si trovano discordi nelle loro testimonianze. Soprattutto Giovanni, rispetto ai precedenti Luca, Matteo e Marco.

Le domande di Augias incalzano lo storico: cosa sono i Vangeli? Chi li ha scritti? La visione di non credente lo porta a confrontarsi con la fedeltà della memoria, che si fa sempre più problematica tornando indietro nei secoli fino al primo della nuova era. Le datazioni, conferma Filoramo, sono incerte, i testi spesso sono attribuzioni convenzionali, si capisce bene come per lo storico il garbuglio è difficilmente districabile. Gli interrogativi si fanno sempre più stringenti mentre l’indagine prosegue: il ruolo di Pilato, l’eventuale figliolanza di Giuseppe avuta prima e dopo Maria, l’ipotetica non-morte di quest’ultima, i caratteri per lo meno misteriosi degli Apostoli, il significato della Trinità e la doppia essenza di Gesù, umana e divina, le folle acclamanti, i due Erode (il Grande e Antipa), la forte presenza femminile accanto al predicatore, tanto da far pensare (quasi scherzosamente) a un insieme di groupies ante-litteram – tutto questo e molto altro ancora popola il Grande romanzo dei Vangeli, fino all’esito terribile della notte del Getsemani e della seguente crocifissione.

Augias si chiede spesso, e soprattutto nel finale del libro, cosa possa servire alla nostra epoca fortemente secolarizzata l’animazione umana e sovrumana nelle pagine dei Vangeli. Il riscontro che trova nel suo compagno di dialogo investe ogni argomentazione, fra le tante domande e le risposte incompiute c’è un nodo in equilibrio fra il bisogno di chiarezza, di elementi certi, e il mistero di una storia sempre più, purtroppo, dimenticata. L’esito del libro (avventura intellettuale, non soltanto azione divulgativa) riesce a rinverdire un’eredità sì inquietante ma in grado di spingerci, attraverso la storia comparata dei diversi documenti, oltre la soglia del mistero. Possiamo godere del racconto “fantastico” secondo Borges e valutare ciò che sembrerebbe oggi quasi impossibile valutare: la cosa enorme, e d’altra parte massimamente enigmatica, che – pensava Nietzsche – la nuova religione ha messo al posto dell’epos greco dopo averlo abbattuto.