Cosa farà l’AI da grande (e un po’ già lo fa)

Come negli anni ’90 non avrebbe avuto senso concepire nuove imprese “senza Web”, è più che fisiologico che oggi si cerchi attivamente il modo di incorporare l’AI in ogni nuovo progetto.

Secondo alcuni analisti della scena startup mondiale sarebbero già circa 30.000 le nuove imprese in qualche modo collegate all’AI. Stando a quanto riportato dagli operatori dei fondi di venture capital, circa l’80% dell’attuale dealflow[1] è costituito da quelle startup che potremmo definire ‘con’ AI, vale a dire quelle che sviluppano applicazioni o forniscono servizi che, pur concepibili anche in un mondo pre-AI, derivano però vantaggi significativi dall’integrazione con gli strumenti messi oggi a disposizione dai grandi attori dell’AI. Naturalmente, non possiamo liquidare queste migliaia di startup “con AI” semplicemente come rivisitazioni opportuniste di proposte tradizionali. Esattamente come negli anni ’90 non avrebbe avuto senso concepire nuove imprese “senza Web”, è più che fisiologico che oggi si cerchi attivamente il modo di incorporare l’AI in ogni nuovo progetto.

Le restanti AI companies si suddividono in due gruppi. Uno assolutamente sparuto è quello che abbiamo appena definito dei “grandi attori”. Sono quelle aziende, il cui capostipite è l’ormai ultrafamosa californiana OpenAI, che sviluppano i cosiddetti “grandi modelli”, inizialmente solo linguistici, ora multimodali (testo, immagini statiche e in movimento, suoni ecc.). Possono farlo in modo proprietario o anche aperto, pubblicando ogni dettaglio del loro lavoro, ma tutte hanno una caratteristica in comune che determina il loro status elitario: necessitano di enormi capitali per finanziare una corsa vertiginosa ad accaparrarsi potenza di calcolo in data center sempre più specializzati.

Rimangono migliaia di startup focalizzate sui ‘verticali’ dell’AI. Sono queste il gruppo, a mio parere, di più grande impatto futuro, quelle che avranno effetto additivo, e non solo sostitutivo o di mera crescita tech organica, sui PIL mondiali. Volendo sfoltire un po’ e rendere più concreto questo numero troppo vago, credo che si possa affermare senz’altro che già oggi esistono nel mondo almeno 500 startup che, per entità di finanziamenti ricevuti, stadio di investimento degli stessi, profondità delle competenze del team dei fondatori, rappresentano perfettamente un nocciolo di questa economia dell’AI a venire. Questo numero così grande risulta probabilmente sorprendente perché, in fondo, la coscienza collettiva dell’attuale fenomeno AI risale chiaramente all’introduzione di ChatGPT a fine novembre 2022, che alla data in cui scrivo significa poco più di 14 mesi fa! Un attimo anche nel venture capital. Vedremo presto che in realtà non è difficile da concepire.

Per provare ad intuire che cosa si può intendere quando si parla di verticali AI mi rifarò a un esempio. Credo che tutti noi che non siamo “cinematografari” di mestiere rimaniamo spesso un po’ stupiti allo scorrere dei titoli di coda di un film, anche di uno a basso budget. Una successione lunghissima di nomi e soprattutto di ruoli, precisamente definiti. Sappiamo già che l’AI promette di poter produrre un intero film per via esclusivamente computazionale, vale a dire potenzialmente senza alcun input, direzione o controllo umano. Questa ipotetica pellicola avrà ovviamente comunque una sceneggiatura (generata da un grande modello di testo), avrà attori (virtuali), avrà delle location (modelli di immagini), avrà voci per gli attori (modelli di sintesi vocale), avrà un doppiaggio in una miriade di lingue (modelli di sincronizzazione fra immagini e parole) ecc. Questi sono i “verticali”. Una startup potrà affermarsi per i migliori attori virtuali in stile hollywoodiano, un’altra per quelli in stile videogioco, un’altra per quelli in stile cartoon per piccini e così via. Nel verticale dei doppiaggi altre imprese animeranno bocca ed espressione di questi stessi attori virtuali. Stiamo parlando di aziende che in larga misura esistono già, non di semplici possibilità, e gli esempi citati coprono soltanto una piccola parte dei nostri titoli di coda che evidentemente contengono in nuce una pletora di altre verticali.

Stiamo inoltre parlando solo del caso del cinema, ma la stessa potenziale scomposizione per verticali riguarda gran parte delle attività umane più evolute, che siano organizzate per progetto o per professione, da quella medica a quella legale a quella educativa ecc. L’impatto non è chiaramente identico in tutti i casi perché un output materiale — un edificio ad esempio — non è digitale come il suo progetto (e siamo molto più lontani, nella robotica, dalle capacità che ci servirebbero per costruire la maggior parte delle cose). Tuttavia credo che, acquisita questa prospettiva, risulti evidente come la numerosità degli attori che già oggi sono impegnati nelle verticali sia un fenomeno assolutamente normale.

Che mondo ci si prefigura quindi? Difficilissimo immaginarlo, ma almeno una cosa mi pare chiara. Tutte quelle che, per mancanza di miglior termine, ho appena chiamato “attività umane più evolute” usciranno profondamente trasformate, irriconoscibili ed enormemente potenziate dall’impatto con la nuova economia dell’AI[2]. Ma saranno in qualche modo prolungamenti delle stesse attività, non di altre, non di visioni o vagheggiamenti di fantascienza. Cambia il mondo senza cambiare ‘di’ mondo. La quota più intellettuale di queste stesse attività potrebbe riorganizzarsi in modo più assimilabile all’industria. Dalla forma tutto sommato artigianale, pur assistita da strumenti tecnologici, di oggi, ad una sorta di catena del valore intellettuale non troppo dissimile dalle catene del valore produttive. Dal chirurgo di grande reputazione che interviene quando ormai non c’è alternativa verso una serie continua di aggiustamenti e microinterventi nell’arco della vita, ognuno pilotato da una AI concentrata su un aspetto biologico o meccanico diverso della macchina-uomo? Qualcosa del genere probabilmente.

Molti, comprensibilmente, accostano questa trasformazione a quella compiuta dal Web fra gli anni ’90 ed oggi. Credo però che si possa fare una distinzione importante: dal punto di vista economico l’Internet ha significato una grande proliferazione di nuove imprese, in ondate successive, dall’ecommerce, ai social, ai nuovi media ecc. Dopo un trentennio, però, dobbiamo constatare che il risultato è stato una concentrazione mai vista prima di megaimprese. Oggi soltanto 7 aziende tech al vertice dell’S&P 500 capitalizzano un grosso multiplo di tutte le altre aziende tech messe insieme, pur in presenza di molte centinaia di cosiddetti unicorni[3] (realtà non certo trascurabili).

Dubito che una simile concentrazione possa ripetersi nell’economia dell’AI. La competizione all’interno dei singoli verticali, infatti, non potrà che essere feroce, con vincitori spesso unici e molti partecipanti costretti ad abbandonare di fronte al test del mercato. Ma, se da una parte il numero dei verticali è molto alto, dall’altra l’iperspecializzazione degli stessi mal si presta ad aggregazioni superficiali. Tornando per un attimo al nostro esempio cinematografico, c’è una ragione se i nomi che appaiono nei titoli di coda sono nomi di professionisti indipendenti piuttosto che di semplici impiegati di una major. C’è la possibilità quindi, non solo di un salto epocale nella crescita delle economie mondiali, ma anche di correggere e rinforzare la struttura industriale sottostante, grazie ad una distribuzione più equilibrata della forza delle imprese che ne saranno protagoniste.

Non c’è una lista univoca delle aziende dell’economia dell’Internet, chi è dentro e chi è fuori dipende un po’ dalle definizioni, ma approssimativamente possiamo dire che fra prime 20 per capitalizzazione[4] ~12 sono USA, ~6 Cina e un paio sono eccezioni alla regola. Le prime tre USA, Google/Alphabet, Amazon e Meta, capitalizzano circa tre volte le prime tre cinesi (Tencent, Alibaba e ByteDance). Per arrivare invece ai campioni europei — la svedese Spotify e la tedesca Zalando — bisogna scendere fin nelle 20 posizioni successive… Si ripeterà la stessa disfatta nell’AI? L’Europa perderà gran parte della crescita economica che ci si aspetta? Dipende.

Per quanto riguarda i “grandi attori” dei modelli, verosimilmente sì. L’Europa ha avuto precocemente un suo campione con DeepMind nel Regno Unito, acquisita da Google nel 2014 e poi fusa con il già amplissimo gruppo di ricercatori di Google stessa (molti dei quali sono passati poi in OpenAI). Qualcosa sta gemmando da quell’esperienza, ma difficilmente potrà recuperare il terreno perduto. Due nuovi aspiranti campioni sono la francese Mistral AI (Parigi) e la tedesca Aleph Alpha (Heidelberg). Ambedue sono anche il frutto di sforzi decennali, soprattutto politici, per potenziare il panorama dell’imprenditoria tecnologica europea, in Francia in primo luogo ad opera dell’attivismo presidenziale, in Germania con la chiamata dei propri grandi industriali a metterci del loro. Mistral AI ha raccolto oltre 500 milioni di euro ad oggi, Aleph Alpha oltre 600 milioni, cifre quasi da record[5] per startup di solo software in EU, ma insignificanti nella competizione globale.

Il contributo principale però alla fine verrà, come già sappiamo, dai verticali e dalla rapidità con cui l’economia europea non solo assorbirà l’AI, ma piuttosto si riconfigurerà completamente per diventare un’economia dell’AI, un’economia trasformata in profondità. Ricordiamoci che questa trasformazione riguarda soprattutto la componente intellettuale delle attività economiche. Con tutti i suoi limiti e inveterati difetti, non c’è ragione perché l’Europa non possa ancora giocarsi pienamente questa partita.

NOTE

[1] È la coda delle proposte cha arrivano sui tavoli degli operatori di venture capital. I migliori, che hanno raccolto i fondi più ricchi e possono vantare un track record di maggior successo, ricevono le proposte più promettenti dagli imprenditori più ambiti.

[2] In questo breve articolo non mi curo né del dilemma fra aumento o sostituzione delle capacità oggi umane da parte dell’AI, né del potenziale distruttivo dell’AI asservita agli scopi più contrari alla stessa umanità. Argomenti tutti sicuramente di grande attualità, ben lontani dall’essere risolti in qualunque direzione, che però hanno poco impatto sulla mia discussione che si limita a cercare di caratterizzare un probabile sviluppo economico dell’industria dell’AI.

[3] Società con valutazioni superiori, spesso molto superiori, al miliardo di dollari.

[4] Ha senso in questo contesto guardare alla capitalizzazione perché è la misura che più di tutte, rappresentando il premio ottenuto dal venture capital, è correlata con le forze relative espresse nel settore.

[5] Se confrontate con gli oltre 14 miliardi di dollari raccolti dalla sola OpenAI negli Stati Uniti. L’obiettivo di queste startup europee, del resto, non è quello di dominare globalmente il settore, bensì più limitatamente quello di aiutare l’industria delle rispettive nazioni a mettere a frutto l’innovazione portata dall’AI.