Corrado Augias attraversa, con i suoi bellissimi 89 anni, questi tempi italiani che ben poco assomigliano alle epoche da lui vissute come testimone e divulgatore di fatti e misfatti, e narratore storico-geografico attraverso libri e trasmissioni TV. Consolandosi e consolando i fruitori, con saggia perspicacia, dell’ignoranza che sempre mette i bastoni fra le ruote ai percorsi della memoria. D’altronde il paese ne ha visto di cose da quando, riuscendo a varcare le soglie “nere” dell’occupazione tedesca, della polizia fascista (il padre aveva aderito a un gruppo clandestino di militari, cellula di resistenza democratica) e delle penurie del dopoguerra, nella maturità Augias partecipò alla nascita dei programmi culturali della RAI (oggi sembra fantascienza), alla fondazione del giornale “La Repubblica”, e ideando trasmissioni televisive come “Il telefono giallo”, “Babele”, “Città segrete”, “La gioia della musica” e “La torre di Babele”.
In tempi recenti la sua attività di scrittore lo ha portato, andando un po’ di qua e un po’ di là come un battello senza bussola, a spingere la mano dell’autore verso di sé. Scrivere quel che si è diventati forma un mondo narrativo – riflette Augias fin dalla prima pagina di La vita s’impara – sempre più simile alla visione che ne aveva Silvio Pellico: “Scrivi la tua vita velando, aggiungendo, modificando – ed ecco un romanzo”. I fantasmi ci sono, indubbiamente, le incertezze e i dubbi, anche le tristezze, non si attraversano mai indenni nelle ultime parti della corsa, ma il dovere di conoscersi a un certo punto prende il sopravvento insieme a quel che si chiama fedeltà, civile e culturale: “Scriverne indubbiamente aiuta”.
A dire il vero leggendo non sembra che vi sia assenza di “bussola” in queste pagine. Si sarà già capito che il sottile ma chiaro argomentare non si discosta mai dalle eredità portate dalla guerra, anzi dalle guerre, risalendo i decenni fino all’Ucraina e Gaza, azzerando quel periodo di pace in Europa di cui abbiamo per diversi decenni goduto. Ma non si discosta neppure dalle scoperte letterarie fatte da ragazzo nella libreria del padre, riconoscendo in seguito l’efficacia di certi scrittori che preparavano il terreno a scoperte via via ben più importanti e fondanti. Augias descrive i ricordi familiari nel tepore di concrete memorie, gli bastano pochi tocchi che rasentano il lungo apprendistato e alcune immagini in bianco e nero, sbiadite dal tempo ma vivissime nella loro discrezione. Ben presto ci si accorge che questo racconto personale e familiare attraversa l’angusta storia italiana (partendo dagli anni del dopoguerra) arricchita da una situazione documentaria rapida e efficace. Augias offre ai lettori l’età fertile che avanza in anni (i Sessanta) in cui quotidiani come “La Stampa” diretta da Giulio Di Benedetti e riviste come “Il Ponte” fondata da Piero Calamandrei sono strumenti di ricostruzione morale. E le Ceneri di Gramsci di Pasolini diventano rilevanti anche (forse soprattutto) per motivi extrapoetici: l’immagine di Pasolini (trentacinquenne) che lo ferma davanti all’urna di Gramsci, nel cimitero alla Piramide Cestia, a maggio, raccoglie sentimenti non solo romantici. Pascoli, Foscolo sembrano – scrive Augias – ritornare per un riscatto. E prima che la vita venga con le sue occasioni c’è tempo di ricordare i libri portati a casa dalla sede romana dell’Einaudi a due passi da Montecitorio. “Scelte disparate”, a rate mensili, per colmare le tante lacune di un giovane che si trovò a frequentare di più le aule di Lettere che quelle di Giurisprudenza. Quando la scelta del proprio futuro cade sulla RAI ignorando di aver superato la prova all’Olivetti il destino si compie: “negro”, come si usava, ghost writer di lettere altrui, nell’azienda di cui facevano parte scrittori e drammaturghi come La Capria, Rosso, Camilleri, Gadda. Dopo varie attività da corrispondente nel 1987 partecipa alla svolta voluta da Guglielmi che dà il via alla nuova fase che rilancia su diverse sponde un’impresa che cambierà molte cose nell’immaginario collettivo degli italiani. Anni difficili i precedenti e i successivi, l’assassinio di Moro e volontà fortissime raccolte intorno al settimanale “L’espresso” – di punta, certo, diretto con ruvidezza, e una sorta di allegria – così come Giulio Einaudi in altro luogo – da Eugenio Scalfari. Augias ne dà un ritratto nitido e non certo servile, ha pieno sentore di un passato “molto più vecchio del mezzo secolo che ci separa da quei personaggi”.
Il “Lungo apprendistato”, così definito da Augias, dal dopoguerra a oggi passa attraverso le diverse stagioni – spesso agli antipodi l’una dall’altra – di un paese passato dalla ricostruzione alle Brigate rosse, dal governo democristiano all’era Berlusconi e all’attuale “regime” di estrema destra. D’altronde l’Italia letteraria ha espresso sia D’Annunzio che Leopardi e in qualche modo l’arte non è mai andata perduta, al netto delle disfunzioni sociali.
Intanto scorrono le rievocazioni storiche e geografiche: religioni, scienza, politica si rivolgono a pensatori che, come Montaigne e Spinoza, non fanno troppe cerimonie intorno alla tolleranza ma la perseguono senza dubbio alcuno. Da Stajano a Pasolini, da Berlin a Gobetti, passando per Manzoni e Leopardi, Augias ricorda che sono molteplici le voci che possono ancora difenderci dall’appiattimento volgare del pensiero a cui assistiamo in quest’ultimi (disgraziati) tempi. Città come Roma e Parigi, dopo aver lasciato New York e l’America cantata da Walt Whitman, trascorrono nella mente di Augias con tutta la loro complicata indecisione fra conservazione del passato e furia rinnovatrice – entrambe ai poli opposti fra gloria passata e caricatura di sé stesse. Il senso della fine, per Baudelaire da un lato e Belli dall’altro.
Laicità e la buona fede sono sempre dentro la ricerca di un equilibrio che per Augias vuol dire stare ben dentro il pensiero di Montaigne, di Nietzsche, Dante e Spinoza, poiché occorrono antichi maestri per porsi di fronte a una personalità come quella di Gesù, e cercare di districarla senza facili suggestioni, in alcune opere, talvolta avendo come compagni di dialogo il biblista Mauro Pesce e lo storico delle religioni Giovanni Filoramo. Imbattersi in uomini e donne straordinari è sufficiente, oltre alle ragioni storiche, per caricarsi di questioni di “senso” che in diverse società (dalla cristiana alla comunista) sono ben più profondi di semplici precetti di condotta. Il passaggio d’epoca in un libro porta dall’infinità di un passato perenne a un presente sempre più complicato che ha bisogno di narrazioni senza facili segnaletiche e aggressività psicologiche, o peggio politiche. A Augias il mondo attuale piace poco, in La vita s’impara gli spazi dove la mente possa appoggiarsi sono numerosi, e messi lì giusto perché il mondo attuale possa piacere un po’ di più anche a noi.