Giorgia Tribuiani, Guasti, Voland, pp. 113, euro 11,90 stampa, euro 3,99 ebook
recensisce GIOACCHINO DE CHIRICO
Non manca di originalità questo libro di esordio, uscito di recente per le edizioni Voland. E non manca neanche di una certa dose di coraggio perché l’autrice si immerge nella profondità della nostra vita materiale, terrena, e si spinge oltre la morte fisica. Senza nessuna mistica, l’autrice attribuisce ai sensi nuova legittimità e gli affida il compito di veicolo di conoscenza e di riflessione.
La storia ci racconta di Giada che ha da poco perso il suo compagno, un celebre fotografo che le aveva fatto da mentore e l’aveva portata in giro per il mondo. Alla sua morte il fotografo subisce, già consenziente, un procedimento di plastinazione grazie al quale i reperti organici sono resi rigidi e inodori. E accetta anche che il suo corpo, così modificato, venga esposto in una mostra che celebra le tecniche del dottor Tulp – questo il nome del dottore nel racconto, mentre invece nella realtà queste tecniche sono state elaborate e affinate da un anatomopatologo tedesco di nome Gunther von Hagens (tutti conoscono le mostre Body World).
Qual è allora il senso della relazione tra Giada, vivente, e il suo uomo, il corpo del suo uomo, il “monumento” del suo uomo? Lo capiamo seguendo le sue considerazioni, graduali, in un primo momento anche un po’ superficiali e poi sempre più approfondite. Tra dolcezza e ironia sempre più taglienti sappiamo di un uomo che, oggi come ieri, riesce a “cadere sempre in piedi”. Un uomo che da morto si trova nella condizione di aver rinunciato al presente e al futuro proprio come, da vivo, attraverso la fotografia, aveva proposto la stessa cosa ai suoi modelli. Un uomo che si fa complice del dottor Tulp nel cercare di vincere il timore della morte attraverso il suo trasferimento, imbalsamato e sterilizzato, in una sala espositiva.
Ma non si tratta tanto o solo della morte. No: quello che l’uomo vuole imbalsamare sono le emozioni, tutte le emozioni, anche le più piccole.
È così che il lettore viene a trovarsi di fronte a qualcosa di molto simile al maschio italiano contemporaneo, di un’età che oscilla tra i trenta e i quarant’anni. La figura antropologica di un narcisista, che ha difficoltà nel rapporto con gli altri e che interpreta le relazioni con le donne solo in chiave di possesso.
Giada in questo percorso fa appello a tutti i suoi sensi. E ce li racconta. Giada mangia. Giada ascolta la musica. Giada , non vista, tocca il corpo imbalsamato del suo ex. Giada sente l’odore del mondo intorno a sé. Anche l’odore dell’umidità. Ma nel suo racconto, Giorgia, scrittrice esperta di comunicazione, guida la sua Giada (e il lettore) con la consapevolezza che attualmente uno solo è il senso che domina sugli altri: la vista. Giada fotografa, ancorché non eccellente, il suo uomo grande fotografo, il corpo del suo uomo imbalsamato ed esposto alla vista del mondo.
Dalla dimensione privata e personale, le riflessioni di Giorgia-Giada assumono un valore generale fino a spingersi a ragionare sul valore dell’arte in cui si afferma il tentativo solitario di prendere il proprio dolore e la propria disperazione per cercare di convertirlo in bellezza a beneficio di tutti.
Nell’ultima parte del libro non mancheranno le sorprese. Ma prima di allora il racconto fissa alcune pietre miliari che non hanno il valore della sentenza ma che aiutano molto a riprendere contatto con la propria vita poiché “il miglior modo per placare il tormento dell’anima è arrendersi al piacere dei sensi”.