Cormac McCarthy / Dio non sa fare due più due

Cormac McCarthy, Stella Maris, tr. Maurizia Balmelli, Einaudi, pp. 200, euro 18,50 stampa, euro 9,99 epub

Nel 2006 La strada si concludeva con l’immagine di uomini sulla cui mano, sul dorso, hanno tracciato un intreccio di percorsi, una mappa “del mondo in divenire”. Padre e figlio nel romanzo viaggiano in un mondo che ormai è solo un groviglio di strade dove si presentano soltanto i residui di quello che fu. A catastrofe avvenuta la ricerca di un nuovo equilibrio sta dentro a percorsi senza meta.

Dopo sedici anni Cormac McCarthy torna con una dilogia, Il passeggero e Stella Maris, pubblicati negli USA a distanza di un mese l’uno dall’altro. Durante il 2023 tocca a Einaudi dare alle stampe i due romanzi (nella splendida traduzione di Maurizia Balmelli), mentre nel frattempo lo scrittore ci lascia il 13 giugno. Il testamento letterario si scrolla di dosso la coscienza inquieta della profezia, aggira la forza di persuasione delle ultime opere riservando spazio infinito (e mente ragionativa) al territorio abitato da Cormac per lungo tempo: il New Mexico. Non possono che tornare alla memoria (soprattutto in questo periodo belligerante e “filmico” per via di Cristopher Nolan) immagini, letture, ricordi di una compagnia di scienziati portati di peso a Los Alamos dal governo statunitense allo scopo di costruire la bomba atomica prima che lo facesse Hitler. Fra questi è presente il padre – anch’egli un fisico coinvolto nel progetto “Manhattan” – di Alicia e Bobby Western, protagonisti e fratelli “separati” del Passeggero e Stella Maris. Bobby è un sommozzatore alle prese con emissari governativi che gli stanno alle calcagna per indagare sulla scoperta di un relitto d’aereo al largo della costa del Mississippi. In un mondo di reietti, grandi bevute, fughe, New Orleans e pensieri amorosi per la sorella Alicia, ma dove scienza e matematica contrastano il caos (nucleare e mentale), l’uomo finisce “sui ciottoli dell’universo”.

Le vicende dei fratelli Western riprendono quando Alicia si ritrova nella clinica psichiatrica “Stella Maris” e inizia un dialogo serrato col dottor Cohen, una “danza di parole” che i due ingaggiano e dove la donna diffonde la sua genialità matematica (che in parte aveva anche Bobby): la logica sistematica di Gödel le serve a tenere in disparte, allo sguardo del medico, l’amore assoluto e carnale per il fratello. Alicia è immersa in questioni fisiche e metafisiche (più le prime) dove campeggiano Bach (pagò una somma spropositata per l’acquisto di un violino rarissimo, grazie all’eredità lasciata dalla nonna e avventurosamente recuperata da Bobby), Wittgenstein, Maxwell, Feynman, Schopenhauer e Beckett. Dalla sua parte la capacità di immergersi in equazioni inavvicinabili scaturite dal genio (visionario e cinico) del matematico ungherese von Neumann, anch’egli assoldato nel gruppo “Manhattan”.

L’argomento del dialogo passa per il luogo “magico” rappresentato dal New Mexico, tale più per la nuvola rosso-violacea del fungo atomico – letto da Alicia/Cormac come simbolo di un’epoca più della Terra vista dallo spazio – che per l’antica Opera di Santa Fe osannata da Arbasino. Nel dialogo riappaiono i personaggi allucinatori conosciuti nel Passeggero, invasori della mente paranoide e sociopatica (secondo le molteplici diagnosi) di Alicia, tratteggiati con una sabbiosa ironia tendente a presentar loro un addio per sempre. Il linguaggio, l’arte, sono per lei tutto, ma la matematica è la cosa più importante, tanto da esporre al dottor Cohen l’idea che Dio non è un matematico: “Dio non sa fare due più due. Zero e uno sono tutto ciò con cui gli è dato lavorare. Il resto siamo noi”. E qui torna l’ombra incombente di von Neumann che concepì, alla fine della seconda guerra mondiale, il calcolatore universale dando inizio alle vastità dell’informatica.

Non sappiamo se la mente di Alicia si sia evoluta rivolgendosi al futuro, il dialogo ora è il campo di forze dove tutto quanto è l’amore per il fratello Bobby. Il tempo non esiste più se lei è capace di leggere l’orologio anche al contrario. La verità del mondo le è vicina nel desiderio esplicito e “sconcio” (così lo definisce) per Bobby. Infine, dopo tanta avventura sulle creste d’onda mentali dei geni del Novecento, consapevole che non si può più parlare di un mondo oggettivo, Alicia sente scardinata la propria reticenza nel parlare del suo amore per il fratello. È questa verità che appare, eloquente e definitiva, a lei e al dottor Cohen.