Dopo Andrea Pazienza, Guido Buzzelli, Massimo Mattioli e Filippo Scòzzari entra nel catalogo Coconino Altan, con un programma di pubblicazione integrale di tutte le sue storie a fumetti. Ed è una grande notizia per la grande forza che hanno ancora queste sue storie e per la difficoltà di reperirle tutte, alcune delle quali mai apparse in volume. Tenendo in mano questo primo e grande libro (21,5 x 29 cm, cartonato) edito da Coconino e curato splendidamente, una domanda sorge spontanea.
Cosa rende Francesco Tullio Altan uno degli autori più eccezionali e poliedrici di tutto il fumetto italiano? Gli elementi che lo rendono unico sono molti: il suo tratto curvilineo capace di creazioni concretissime, un bianco e nero infernale ad alto contrasto, le sue situazioni surreali e fulminanti, la libertà narrativa assoluta. Ma ce n’è uno in particolare che trovo irresistibile. È quella sorta di commento che appare sotto alcune vignette, come a dare un giudizio esterno su ciò che succede o sul dialogo che si sta svolgendo. Una specie di anti-didascalia sarcastica. È un’idea semplice ma potentissima, che l’autore ha utilizzato e sviluppato straordinariamente nelle sue storie a fumetti. Altan stesso mi disse anni fa, scherzando, ma forse non troppo, che gli altri fumettisti lo odiano perché vorrebbero utilizzare quest’idea, ma il furto sarebbe troppo evidente e quindi, con rabbia, devono farne a meno. Il commento sotto le vignette l’ha creato Altan e lo può usare solo lui.
Figlio del grande antropologo Carlo Tullio Altan, Francesco è nato nel 1942 a Treviso. Credo che il lavoro del padre abbia avuto una certa influenza sulle sue opere, forse inconscia. Non si può dire infatti che Altan abbia mai fatto vera satira politica, piuttosto satira antropologica. Fin dall’inizio, già dalla comparsa delle sue prime strisce in Italia nel 1974 (con il Dio malinconico e inetto di Trino, ripubblicato integralmente in volume nel 2009 da Gallucci) si delinea infatti un autore che, anche nelle celeberrime vignette con l’operaio Cipputi, avrà sempre l’uomo, la sua natura, le sue meschinità, la sua violenza, la sua capacità di vivere in un mondo infernale pieno di lordura e scarafaggi. Quanti scarafaggi nelle storie di Altan! Non certo nella Pimpa però, personaggio celeberrimo e amatissimo, nato nel 1975 e conosciuto in tutto il mondo, il vero capolavoro lisergico del fumetto italiano. Tutto questo contraddittorio mondo è Altan.
Ma come arriva al fumetto e, in particolare, alle storie lunghe qui raccolte? Per gradi, un po’ per caso, cominciando dal cinema. Nel 1967, conscio che non avrebbe mai fatto l’architetto (la laurea a Venezia tardava ad arrivare) parte per il Brasile insieme al regista Gianni Amico con il quale lavora a un film sulla musica brasiliana e a Tropici, uscito nel 1968. In Brasile ci ritorna ancora due anni dopo, per lavorare con l’amico Gianni Barcelloni al film Tatu Bola. Nel frattempo pubblica vignette e illustrazioni sul Playmen di Adelina Tattilo. Nel 1970 conosce la moglie Mara Chaves e nel 1971 nasce la figlia Francesca detta Kika (così si chiamerà un altro dei suoi indimenticabili personaggi per bambini). In Brasile gli parlano di Marcelo Ravoni, un personaggio geniale che dall’Argentina si era trasferito a Milano e aveva aperto un’agenzia che si chiamava Quipos. Da quel momento la carriera di Altan esplode, in Italia e nel mondo. Ma nonostante la celebrità, l’autore è sempre stato schivo, lontano dai riflettori e le sue apparizioni sono rarissime. Ciò ci permette di godere al massimo la sua opera, capace di sintesi assolute, di distillati di cattiveria e bruciante critica alla società e all’uomo.
Uomini, ma straordinari contiene tre capolavori più una rarità: le biografie anti-retoriche, anti-eroiche, contro-storiche di tre grandi personaggi come Cristoforo Colombo, Franz (ovvero San Francesco) e Giacomo Casanova. In appendice Ben, il quarto figlio di Noè, forse l’ultima storia pubblicata da Altan in un’edizione fuori commercio e introvabile. Siamo negli anni Settanta e su Linus Altan trova spazio per sperimentare con le storie lunghe e autonome (quelle che oggi si chiamano graphic novel) una quantità incredibile di idee, spunti, storie e personaggi.
Mix aureo e sulfureo di biografia storica, parabola, parodia, rivisitazione dei generi dell’avventura e del viaggio, le storie a fumetti sono a mio parere il vero tesoro di Altan, forse messo in ombra dalle celebri e sempre perfette vignette o dalla Pimpa, amata da generazioni di bambini.
Un disastro morale e fisico, un’apocalisse interiore ed esteriore è l’ambiente in cui operano Franz, Colombo e Casanova, tra la corruzione dei preti, la meschinità dei nobili, i commercianti avidi e tutta un’umanità comica ma anche repellente. Con uno sguardo feroce ma spesso affettuoso verso l’essere umano e attraverso la costruzione di un universo grottesco e ridicolo, forse mai così putrefatto in un altro fumetto italiano, Altan riesce a costruire il vero “romanzo sull’Italia” che gli anni Settanta non ci hanno saputo dare.