Il titolo di questo libro, Come farla finita con il fascismo, è oggi quanto mai attuale. Il governo giallo verde che sta minando le fondamenta democratiche del Paese con rigurgiti di fascismo, sovranismo e razzismo esibiti muscolarmente, non può che far pensare a inquietanti analogie sociali e politiche del Ventennio e del dopo guerra post fascista.
Ferruccio Parri, il Maurizio partigiano della prima ora iscritto al Partito d’Azione, capo del Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia, denunciava ai tempi e anche in seguito la mancata eradicazione della mentalità fascista a livello sociale e burocratico. Del resto in Italia è sempre rimasta nella maggioranza degli italiani la nostalgia dell’uomo forte, per parlare solo degli ultimi anni basterebbe citare Craxi, Berlusconi, Renzi e Salvini.
In questi otto scritti, che vanno dal 1927 al 1974, due lettere e altri interventi, Parri non smette mai di puntare il dito verso il costante riemergere del neofascismo, di affermare che contro il fascismo non si è combattuto in nome della società precedente a esso ma per costituirne una nuova, che la Costituzione è figlia della Resistenza così come il passaggio da una dittatura a una Repubblica democratica. Ferruccio Parri ha sempre proclamato l’ordinarietà dei partigiani, gente comune e non eroi che hanno sacrificato o messo in pericolo la propria vita per la vittoria finale. La responsabilità dei morti nelle rappresaglie sono state un grave peso per il movimento partigiano che non sarà mai metabolizzato, ma il riscatto del popolo italiano doveva per forza passare per una soluzione superiore, una visione più avanzata. Nei suoi discorsi Parri rivendica il disobbedire, che doveva essere reso pubblico, il combattere perché “al nemico non si doveva conceder tregua” e ricorda “sapevamo che la guerra era necessaria e che una volta iniziata non si poteva più tornare indietro”, lo stare uniti, e che farla finita con il fascismo significa non cedere il passo, saper progettare e saper trainare. E la Resistenza è nata anche per la difesa dell’ordine morale del Paese.
I discorsi di Parri sono uno spaccato su un’epoca difficile, un’analisi di come la guerra al fascismo abbia fatto lasciare da parte ai partigiani le differenze ideologiche e di come queste siano subito riaffiorate quando la vittoria era ormai vicina. Ci parla dell’organizzazione militare dei partigiani, di come la diffidenza dei politici di Roma nel dopoguerra, nel senso di burocrazia politica, si potesse toccare con mano, di come sia stata inutile, negli anni successivi, la battaglia per sradicare il fascismo da una società che lo aveva ormai nel DNA. Il pericolo rosso, la paura dell’ascesa dei comunisti al governo, ha compattato il fronte di Stati Uniti, Vaticano e partiti di centro e di destra contro un evento che avrebbe, secondo loro, portato l’Italia a fianco dell’Unione sovietica.
Maurizio è imprigionato nel gennaio del 1945 e alla fine della guerra è in prima fila nel corteo dei partigiani a Milano, viene nominato capo di un governo da cui dopo pochi mesi sarà costretto a dimettersi, si batte inutilmente per la messa fuori legge del MSI e cercherà di far tenere alta l’attenzione dell’intera società verso i rigurgiti del fascismo. Nell’epoca in cui i partigiani vivi rimangono sempre meno, così come i sopravvissuti ai campi di sterminio, è assolutamente necessario mantenere alta la guardia e non perdere le testimonianze che documentano gli orrori che abbiamo vissuto in quel periodo buio. Per non rendere facile la vita ai negazionisti e per riaffermare una verità inoppugnabile che qualcuno vorrebbe nascondere: i morti della seconda guerra mondiale non sono tutti uguali ma dipende da che parte stavano.
(Ferruccio Parri è il secondo da sinistra)