“E insorgeremo a rivedere le stelle” Questa è una delle tante intense enunciazioni che punteggiano Insorgiamo. Diario collettivo di una lotta operaia (e non solo), agile libretto uscito il 26 marzo, giorno della manifestazione nazionale di Firenze[1] lungamente preparata dallo stesso collettivo e svoltasi con pieno successo. L’entusiasmo, la determinazione, l’organizzazione, gli slogan, i discorsi e non da ultimo l’importante numero di partecipanti provenienti da ogni parte d’Italia, nonché la loro varietà per differenze lavorative, regionali, etniche, di genere e così via, ne hanno fatto una novità del tutto sorprendente, specie in questi tempi così orrendi di pandemia e guerre. Come ciò sia stato possibile e quali prospettive ne conseguano è in fondo il tema centrale di questo “diario”.
Leggendolo attentamente ci si trova davanti a un raro esempio di pensiero politico militante, cioè non univocamente conflittuale, né inquadrato entro gli schemi di una presupposta filosofia politica, ma elaborato e rielaborato direttamente all’interno a un’esperienza collettiva di contrasto alle ingiustizie sociali. Le rivendicazioni particolari – quelle (come si vedrà meglio più sotto) di circa cinquecento operaie e operai in cassa integrazione occupanti giorno e notte una fabbrica nei dintorni di Firenze in via di dismissione – vengono in effetti articolate in una prospettiva più ampia che interpella soggetti inevitabilmente prima o poi coinvolti nella precarizzazione del lavoro e della società contemporanea.
In due parole: “Chi si unisce a questa lotta si fa un favore”. O più estesamente: “Quando venite qua ci chiedete sempre come stiamo. Tutti, dal giornalista al militante dei movimenti. Stiamo qua, in piedi, come qualcuno che ha preso una tranvata in faccia (…). Noi stiamo così, e voi come state? Voi tutti come state? (…) A volte quelli che vengono a domandare come stiamo stanno peggio di noi. Perché magari hanno un contratto precario che gli scade questa settimana. Magari il giornalista che mi viene ad intervistare non lo dice ma fa il pezzo a 5 euro a cottimo. (…) Quindi lo chiediamo noi, a voi: come state? Quanto siete disposti ad andare avanti? Fino a quando accetterete tutto questo?” Di qui la convinzione, chiara fin dall’inizio, che questa è una “vertenza nazionale e politica” la cui posta in gioco rimette in discussione né più né meno i rapporti di forza tra le classi di questo paese.
Ma c’è di più. Ciò di cui Insorgiamo dà conto è una sperimentazione collettiva singolare talmente ispirata all’egualitarismo e alla creatività da perseguire l’innesco di convergenze tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra studenti e operai, tra politica e arte. Esempi ne sono le prove per un’”università operaia”, poi ribattezzata “convergenze culturali”, le relazioni costanti con scuole, studenti universitari, storici, avvocati (sia per il contenzioso giuridico con la controparte padronale, sia per la stesura di una legge contro le delocalizzazioni industriali), ingegneri (per una formulazione di una ristrutturazione generale del settore auto ecologicamente sostenibile), ma anche teatri e compagnie teatrali (il motto qui è “fabbriche aperte, teatri pieni!”). Il tutto con una costante attenzione al contesto nazionale, percorso dagli stessi componenti del collettivo in lungo e in largo nel contesto dell’iniziativa chiamata “Insorgiamo Tour”.
La grande e giustificata fierezza per l’esperienza, così resa possibile, pone al collettivo Gkn la quasi inaffrontabile domanda “se saremo cronaca o storia”. Nei termini più abituali a chi scrive ciò equivale a chiedersi se questa esperienza possa o meno essere considerata un evento politico, cioè un fatto così innovativo da comportare conseguenze durature se non infinite. Giustamente la risposta del collettivo è semplicemente “vedremo”. Ma già il fatto di porsela questa domanda dimostra una straordinaria sensibilità sull’inevitabile discontinuità delle esperienze politiche d’emancipazione, le quali, a differenza delle politiche a difesa dello Stato e/o del capitalismo, possono mai contare su poteri già esistenti. Tale fine sensibilità del collettivo è per altro attestata dal loro rinunciare a qualsiasi visione consolatoria della lotta di classe intesa come motore storico sempre acceso, per denunciare invece “i trenta anni di attacchi al mondo del lavoro da cancellare”. Ritorna così a brillare il classico riferimento al pur lontano ”autunno caldo” del ’69 e alle sue clamorose vittorie – per lo più poi invalidate.
In una simile prospettiva torna la complicata questione che circolava anche durante l’esaltante manifestazione del 26 marzo. Detta in due parole, tale questione sta nel chiedersi se questo collettivo e il suo gruppo di sostegno, indipendentemente dal destino occupazionale protagonisti (e che ci auguriamo ovviamente sia la migliore possibile), saranno in grado di contribuire all’interruzione o quanto o meno all’attenuazione di quella smisurata dispersione in cui i proletari autoctoni e stranieri languono da troppo tempo nel nostro paese. E se saranno i grado di farlo senza cedere al fascino politicamente letale delle scadenze e delle candidature elettorali.
Per non lasciare troppo nel vago i lineamenti concreti della vicenda ecco come viene presentata dallo stesso collettivo nel “diario”: meglio non si potrebbe.
Il 9 luglio del 2021 una mail arriva di primo mattino ad annunciare la chiusura dello stabilimento e il licenziamento di cinquecento operai e operaie dell’impianto Gkn di campi Bisenzio che produce semiassi per i principali marchi del comparto automobilistico. Quello di Campi non è uno stabilimento come tutti gli altri: è uno degli impianti più sindacalizzati e organizzati d’Italia, e negli ultimi anni ha vinto una serie impressionante di scioperi. Se i padroni passano qui, passano dappertutto.
Il collettivo di fabbrica nel giro di pochi minuti si presenta davanti ai cancelli della Gkn, occupati da una squadra di vigilantes privati. In breve gli operai se ne liberano e prendono in mano la loro fabbrica. Questa è la nostra casa, da qui non esce neanche uno spillo, diranno. Inizia in Toscana una summer of love operaia che vede continue assemblee, cortei, occupazioni “di botto, senza preavviso” di rotonde stradali, fumogeni, volantini e cene solidali. Quella che era una fabbrica chiusa si apre alla città e ai venti, agli studenti e agli attivisti. Diventa un laboratorio di lotta, di speranza, di un’umanità disposta a prendersi cura di una società migliore, senza svenderla ai principi del profitto.
L’apice della lotta si raggiunge a settembre con una manifestazione di quarantamila persone a fianco del collettivo Gkn. Pochi giorni ancora e un tribunale valuta come illegittimi i licenziamenti. Ma la lotta non finisce lì e continua ancora.
Continua anche la mobilitazione. Coi volantini e le marce, ma anche con gli strumenti dell’immaginario: dalla musica ai video fino a questo progetto di scrittura working class realizzato nella forma di una cronistoria operaia di lotta, in prima persona plurale, a firma collettiva. Perché la storia operaia più bella degli ultimi anni l’hanno scritta gli operai di Gkn.
[1]Vedi anche https://contropiano.org/news/politica-news/2022/03/27/migliaia-in-piazza-a-firenze-con-la-gkn-e-non-solo-0147897