Claudio Piersanti e l’epica quotidiana

Claudio Piersanti, Quel maledetto Vronskij, Rizzoli, pp. 240, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub

Claudio Piersanti non è mai stato uno scrittore di libri molto prolifico, probabilmente anche perché la sua occupazione principale è quella di sceneggiatore per il cinema e la tv, con qualche incursione anche nel fumetto. Del resto, i suoi testi, romanzi o racconti che siano, non hanno mai avuto parole superflue: asciutto e rigoroso, il suo sguardo impietoso sulla condizione e la natura umana e l’omogeneità dello stile lo rendono singolare nel panorama letterario italiano. A quarant’anni dal suo debutto avvenuto nel 1981 con Casa di nessuno edito da Feltrinelli, esce il suo ultimo romanzo – in libreria da domani –, Quel maledetto Vronskij pubblicato da Rizzoli. In quegli anni faceva parte del Movimento studentesco del ’77 a Bologna, frequenta l’Università e si laureerà in Filosofia; sarà uno degli esordienti, insieme a Enrico Palandri, Pier Vittorio Tondelli e Marco Lodoli, che darà nuova linfa alla letteratura italiana trasformandola dalla dimensione futile in cui era relegata da diversi ambienti intellettuali a una forma di militanza. La narrativa di Piersanti si è sempre mossa e si muove ancora nel quotidiano più ordinario, in vite che non hanno niente di eccezionale, con personaggi che potrebbero essere i nostri vicini di casa. Ma la sua capacità di disegnarli attraverso le parole ci ha lasciato figure indimenticabili.

Ci sono molti temi ricorrenti dell’autore abruzzese, che ha vissuto in diverse parti d’Italia, dalle Marche a Roma, da Bologna a Milano: la solitudine, una difesa che serve ai suoi personaggi per essere meno feriti dalla vita, il loro individualismo spiccato, il loro pudore, il mistero che aleggia in diversi suoi romanzi, uno per tutti L’appeso. E se anche in questo ultimo lavoro Piersanti non si smentisce, rielaborando i suoi temi sempre in maniera originale e attuale, l’inversione di tendenza la troviamo nella storia, sicuramente non a lieto fine come sua abitudine, ma che vuole essere una celebrazione della vita e dell’amore. Giovanni e Giulia sono sposati da ventisei anni e si amano come il primo giorno. La loro è una vita di condivisione di spazi, di attività, di attenzioni, di carezze e di parole. Lui non si piace né fisicamente né psicologicamente, oltre a essere lungo e magro ha stampato sul viso un sorriso che esprime una gentilezza che non sente come sua: non è contento di nascondere sempre il suo stato d’animo. Ma quando torna a casa dal lavoro – la scelta di fare il tipografo è stata come una reazione all’avvento della stampa digitale, più pratica ma senza un briciolo di bellezza e creatività –, con Giulia che lo aspetta, tutto sembra svanire e la sua vita diventa quella che ha sempre voluto. Lei si è operata di recente per una grave malattia e deve sottoporsi a dei controlli periodici che affrontano sempre insieme. Il decorso sembra andare per il meglio ma a un certo punto Giulia sparisce e lascia solo un biglietto con scritto “Perdonami, sono tanto stanca. Non mi cercare.” E per Giovanni potrebbe essere il colpo fatale. Disperato, telefona alla giovane figlia che da qualche tempo si è traferita in Germania, ma lei sembra non preoccuparsi più di tanto per la scomparsa della madre e gli dice che sono cose che possono capitare. Una sera prende guarda la libreria per capire cosa leggesse la moglie e la mano gli va sul tomo più grosso, quella Anna Karenina, capolavoro immortale di Tolstoj: decide di farne un’edizione unica e preziosa come solo un tipografo sa fare. Sarà il pegno d’amore per il ritorno della moglie, glielo regalerà per farle capire quanto la ama, ma quando incontra Vronskij, l’amante di Anna, comincia a dubitare che Giulia l’abbia lasciato per un uomo migliore.

Si rifugia nel locale dove lavora abbandonando la casa che senza la moglie non sente più sua. Gino, il suo migliore amico, cerca di stargli vicino e di aiutarlo, prova a convincerlo a rintracciare la moglie nel suo posto di lavoro e gli consiglia di sentire un avvocato. Lui non è d’accordo e l’unico tentativo di appostamento fuori dell’azienda di Giulia, fatto contro la sua volontà, si risolve con un nulla di fatto. C’è anche Bruna, sua cugina, lunga e sgraziata, un po’ come lui, che cerca di dargli una mano, e anche se sembra accettare la loro compagnia sembra viverla con una completa indifferenza e apatia. È di Giulia che ha bisogno, e di nessun altro, e non vuole rassegnarsi alla fine del loro amore. E un giorno lei riappare in tipografia chiedendogli il permesso di tornare a casa. Il romanzo a questo punto prende un’altra piega, e il ritorno della donna cambia le carte in tavola. Il riavvicinamento tra loro sarà graduale e pieno di attenzioni, tenerezze e riservatezza, nel pieno rispetto dei loro caratteri, un rapporto che sarà riannodato con pazienza e pudore. La loro vita non si snoderà in maniera troppo diversa da prima che Giulia se ne andasse ma ci saranno circostanze e situazioni che detteranno dei cambiamenti radicali che non è il caso di anticipare per non rovinare al lettore il gusto della scoperta.

Claudio Piersanti si conferma un punto di riferimento della narrativa italiana, uno scrittore che negli anni si è sempre presentato con testi di spessore stilistico e tematico, con la capacità di stimolare il lettore con un sapiente uso di doti letterarie e con il possesso di una cultura profonda che non ama esibire. Ci sono temi paralleli nel romanzo, di cui si parla anche in un’intervista all’autore che sarà pubblicata a giorni su queste pagine, come la trasformazione del mondo del lavoro con l’avvento della tecnologia, – il romanzo è ambientato nel cambio di secolo e millennio –, il tempo degli errori – dovuti a un pressapochismo culturale sempre più profondo e a un mondo dell’istruzione mai adeguato –, e a modelli parentali e amicali che non sono mai lineari come vorremmo. Una sfida difficile, quella di Piersanti, di raccontare la felicità di stare insieme, la storia di un amore felice. Una sfida perfettamente riuscita.