Scrivere di Tommaso Labranca è doloroso. Lo è perché ripensare a lui significa fare i conti con l’incapacità dell’editoria e della cultura italiana di capire una persona che invece l’editoria e la cultura italiana l’aveva capita a fondo, e aveva tentato di guardarla da un punto di vista nuovo. Labranca, figura anomala e animale imprendibile, è stato uno dei più importanti intellettuali degli anni Novanta e Duemila, ma non è mai arrivato a essere considerato tale se non da una esigua minoranza di autori e di critici. La sua lettura del pop, attraverso la parafrasi dei tic, degli atteggiamenti e delle apparenze riflesse alla superficie del contemporaneo, resta senza paragoni. E poi, diciamolo, quanti termini ha inventato Labranca? A partire dal concetto di trash fino a quello di “barocco brianzolo”, per approdare alle indimenticabili “santexuperine scalze”.
A quattro anni dalla sua morte, avvenuta il 29 agosto 2016, T-La resta più o meno sconosciuto, anche tra giovani e meno giovani scrittori che si occupano di cose labranchiane. Il saggio di Claudio Giunta arriva quindi a proposito. Medioevalista, ordinario di Letteratura a Trento, Giunta è anche l’autore di uno dei più bei libri sulla cultura italiana, Una sterminata domenica – Saggi sul paese che amo (Il Mulino, 2013), acuto e divertente viaggio nel costume e nella società italiana, dal Meeting di Comunione e Liberazione a Radio Deejay, acuto e sempre divertente (e già in questo rivoluzionario) come ai suoi tempi lo è stato Tommaso Labranca, forse uno dei pochi autori dotati degli strumenti per capire e spiegare agli altri una figura come l’autore de Il piccolo isolazionista (Castelvecchi, 2006). Ci è riuscito? Direi proprio di sì. Giunta ha geolocalizzato Labranca, come dice Luca Rossi, fondatore con Tommaso delle micro edizioni 20090, e dopo questa lettura il suo profilo risulta ben definito, anche nelle sue contraddizioni, con un taglio anomalo, a metà strada tra il critico, lo storico e il biografo a caldo e il reporter.
Abituato a trattare autori del passato, Giunta – cosa per lui insolita – questa volta ha potuto utilizzare fonti di prima mano e intervistare chi ha conosciuto da vicino Labranca. Ne è uscito un saggio che scava nel privato e nel pensiero di Labranca, offrendo inattesi, illuminanti parallelismi con altri intellettuali non ortodossi – come Pier Paolo Pasolini, Ennio Flaiano, Alberto Savinio, Ignazio Silone e, addirittura, Don Milani – segnando il percorso che dalle fanzine di fine anni Ottanta (e dischi a nome Santi Bailor, nick di origine sordiana, oggi purtroppo introvabili) passa per i libri folgoranti per Castelvecchi, primo fra tutti li fondamentale Andy Warhol era un coatto (1994). Lì compariva la definizione, o, meglio la formula, del trash come emulazione fallita di un modello culturale “alto”. Un concetto che sarà poi travisato da una generazione di giornalisti e critici che lo hanno utilizzato a sproposito, come sinonimo di volgare, cheap, etc. Ma il travisamento e l’incomprensione erano probabilmente già scritti nel DNA di Labranca e nella sua storia editoriale, a cominciare dal titolo del suo primo libro, dove Andy Warhol non doveva essere “coatto” ma “tamarro” (nell’argot settentrionale, quindi, e non romano).
La parabola di Labranca passa in seguito per la TV, per Anima mia con Fabio Fazio e Claudio Baglioni ma l’enorme popolarità che ne seguì non si traduce purtroppo in un successo duraturo per l’autore e, se si eccettua il passaggio a Einaudi con Chaltron Hescon. Fenomenologia del cialtronismo contemporaneo (1998), Labranca non pubblicò mai più per grandi editori, tranne le biografie di musicisti che iniziò a scrivere per motivi “alimentari”, benché in alcuni casi (Orietta Berti, Renato Zero) contengono pagine paragonabili all’altezza delle migliori opere labranchiane. I suoi libri più importanti, alcuni davvero dirompenti come il già citato Il piccolo isolazionista o l’ultimo Vraghinaroda. Viaggio allucinante fra creatori, mediatori e fruitori dell’arte (Vraghinaroda, 2016), sono rimasti tuttavia oggetto di culto per una ristretta cerchia di lettori. Giunta si domanda il perché di questo isolamento e si risponde che il peccato di Labranca era forse l’unico che la cultura italiana non è disposta perdonare: essere uno dei pochissimi intellettuali che ha tentato di emanciparsi non con la cultura ma dalla cultura.
Con Le alternative non esistono Giunta prova a riportare Labranca in cima all’agenda culturale del Belpaese (ammesso che esista…), aspettando che prima o poi i libri di Labranca siano ristampati, in corposa edizione critica, da un editore importante. Nel frattempo potete contattare 20090, l’unico editore ad avere in catalogo libri di Labranca, tra cui la recentissima raccolta di articoli New Miyagawa by ventizeronovanta. Vol. 1: Neve in agosto. Articoli alimentari (2009-2016) (Teaser Lab, 2020).