Io ho la fantasia sessuale di essere assolutamente passiva fino a non concedermi il piacere, di essere una pompinara stupefacente e di essere sostanzialmente una troia nelle mani di un uomo che mi usa come un oggetto. Bam! Il mio (eventuale) lettore salta sulla sedia. Eppure lo stesso – sempre eventuale – lettore è rimasto tranquillamente seduto quando in una precedente recensione ho dichiarato la mia preferenza personale per i romanzi rispetto ai saggi. Forse a qualcuno – leggendo quella recensione – sarà saltato in mente di pensare che non si fanno le recensioni così, che le mie predilezioni personali sono ininfluenti e anzi non pertinenti. Ma sono sicura – invece – che in questo caso il lettore si chiederà: sarà vero? Ma come gli viene in mente di dire una cosa così privata, ma non si vergogna alla sua età di raccontare questa fantasia? E le donne? Che ne diranno le donne… è una fantasia lecita questa? Una fantasia di sottomissione e di oggettivazione della donna: vuoi vedere che sotto sotto Elisabetta (il mio nome) nasconde una natura di sottomessa e ben poco emancipata? Non ha capito bene cos’è il femminismo. Ecc. ecc.
Sarà vera o non sarà vera questa mia fantasia? Non è questo il punto. Il punto è che (cito wikipedia perché quando si parla di sesso e di porno più che per qualsiasi altro argomento bisogna giocoforza essere neutri e scientifici per essere legittimati a sostenere un discorso pubblico): “La fantasia sessuale risiede interamente nella mente di una persona, può essere attivata autonomamente attraverso vari mezzi, ad esempio da un testo di letteratura erotica, dalla visione di un film pornografico o da altri tipi d’immagini, come fotografie e rappresentazioni di arte erotica”.
Arriviamo così al libro Sul porno. Corpi e scenari della pornografia di Claudia Ska, alla quale bisogna innanzitutto riconoscere il coraggio di non prescindere da se stessa e dal suo rapporto personale con il porno di cui dichiara apertamente di essere, ed essere stata, una fruitrice e quindi di avere uno sguardo fortemente soggettivo nell’affrontare l’argomento che – perlomeno in Italia – è ancora così controverso pur essendo – a leggere i dati di “Pornhub” (6,83 milioni di video raccolti nel 2019) – una realtà che entra nella vita di (quasi) tutti: ma “quando si tratta di nominarlo apertamente, si innesca un meccanismo di difesa, perché l’oscenità imbarazza e il manifestarsi della sessualità ci mette davanti alla nostra nudità, quella delle emozioni”.
Ma diamoci tempo. Il collettivo Rosario Gallardo scrive che “La maggioranza della gente usa le immagini porno prescindendo completamente da chi, come e perché sono state girate.” Ska nel suo breve ma denso saggio ci mostra la complessità di questa scena a partire dalla svolta degli anni ’90: l’avvento di internet e della globalizzazione modifica completamente l’industria del porno mainstream (quella essenzialmente americana che determinava modelli, linguaggi e stereotipi) che si trova a fare i conti – come qualsiasi altra azienda – con un fenomeno che ne cambia in profondità sia la produzione che la fruizione cambiando di conseguenza il mercato sempre alla ricerca di nuove nicchie di utenti.
Il mondo del porno si moltiplica e diversifica nei modelli di produzione e di contenuti – con l’”indi porn”, il porno femminista, il porno etico, il post-porn – anche come riposta alla possibilità da parte degli utenti di produrre autonomamente contenuti, condividendoli sulle varie piattaforme rendendo così la scena ulteriormente complessa per responsabilità, disciplinamento (anche penale) di quanto pubblicato, e differenziazione degli stessi. Abbiamo così un proliferare di stili, di orientamenti sessuali, di generi, di persone, di situazioni e punti di vista prima non rappresentati o presi in considerazione: un doppio aspetto di liberazione e di legittimità del desiderio, ma anche della ultra-differenziazione di questo, alla ricerca della soddisfazione di una domanda sempre più differenziata come si fa in un qualsiasi supermercato.
Un bel ginepraio, in cui Ska – invece di dare risposte univoche – solleva problemi, cercando di delimitare il campo del porno come “una rappresentazione fra persone adulte e consenzienti, che inscenano delle situazioni interpretando dei personaggi”, anche se è consapevole dei fraintendimenti generati dal porno spontaneo. Ska cita la sessuologa Laura Betito: “Sembra che le persone siano alla ricerca di rappresentazioni più realistiche del sesso… […] È interessante notare che sempre più le persone si mettono in mostra come dilettanti. Il sesso è diventato molto meno tabù, così quelli che si divertono a esibirsi, possono farlo con pochissima esperienza o attrezzature. Il messaggio è: chiunque può essere una pornostar!”
Eppure – spiega Ska – anche per il porno deve sempre vigere il “patto narrativo” e la “sospensione dell’incredulità” come per qualsiasi altra opera, qualunque sia l’argomento più o meno scabroso. “La discriminante è sempre data dal passaggio dalla sfera della rappresentazione a quella reale” senza pensare che una scena rappresentata, per quanto violenta o sporca sia, non è mai la realtà, chi la interpreta lo sa e sceglie di farlo, o in ogni caso partecipa delle stesse possibilità di scelta che hanno i lavoratori di qualsiasi azienda. Abbiamo mai chiesto agli operai che lavorano nell’industria delle armi – imparagonabilmente più letale del porno – se sono totalmente d’accordo con la natura del loro lavoro?
Obiezioni se vogliamo ovvie quelle di Ska, sul diritto dei lavoratori del porno in termini di riconoscimento della propria dignità, delle tutele specifiche e generali, di compensi e orari di lavoro adeguati come per qualsiasi altro lavoratore stravolto dalla precarietà conseguente alla globalizzazione. Più complicato è rispondere alle critiche di quella parte del femminismo non contraria al porno ma che rileva come, in moltissime rappresentazioni, “la figura femminile viene umiliata, vessata, addirittura stuprata”. Ci si può appellare al “patto narrativo” di cui sopra, al fatto che in queste scene la donna (e dietro di lei l’attrice o performer) dice no per dire sì (a differenza della realtà in cui no è no), ma la stessa Ska ammette di non avere una risposta sul perché siano così in voga e ricercate le scene basate sull’abuso e la violenza. Certo il porno – come altre forme più o meno creative – è anche il riflesso della società che lo produce e non viviamo sicuramente in una società giusta e rispettosa delle persone in genere e delle donne in particolare. Addossarne la colpa al porno e pensare che questo debba essere “etico” nei contenuti non è la via giusta: il porno mette semplicemente in scena qualunque cosa crei eccitazione e anche lo stupro può appartenere alle fantasie erotiche, così come la banale fantasia di sottomissione che appartiene a me come a moltissime altre donne che non per questo sono delle succubi riducibili alla propria politicamente scorretta, fantasia sessuale.
Claudia Ska ha fondato il blog agit-porn ed è particolarmente attenta al post-porno che promuove “la molteplicità di narrazioni, pratiche, corpi, che diventano finalmente soggettività […] ed è fautore di concetti fondamentali quali autodeterminazione e inclusione”.