L’austerità come progetto politico antioperaio

La natura padronale e coercitiva dell’austerità si può tradurre con la formula “‘lavorare di piú, consumare di meno’, elaborata nel contesto finanziario internazionale degli anni '20. Clara E. Mattei analizza un progetto politico antioperaio tornato a dominare le politiche economiche ma già condiviso da liberali e fascisti quando suo zio, il chimico eroe della resistenza Gianfranco Mattei, entrava nei GAP romani.

Nel 1944 Gianfranco Mattei ha ventisette anni ed è l’artificiere dei Gap romani. Le SS lo vengono a prendere il primo febbraio. Resiste a due giorni di torture in Via Tasso, poi, riportato in cella, scrive un biglietto d’addio ai genitori, si appende con la cintura dei pantaloni a un tubo dell’acqua e muore. Nel 1975 gli Stormy Six incidono una canzone, “Gianfranco Mattei”, che racconta la sua storia. Una strada a Precotto, periferia nord di Milano, e un’altra a Bagno a Ripoli, vicino a Firenze, portano il suo nome. A lui e alla sorella Teresa è dedicata la Casa dello Studente del polo universitario di Sesto Fiorentino.

L’anno scorso, The University of Chicago Press pubblica un libro, The Capital Order, dove, subito dopo la pagina del copyright si legge: “To Gianfranco Mattei and revolutionaries everywhere—past, present, future”. L’autrice è Clara Mattei, pronipote di Gianfranco. Nell’edizione Einaudi (tr. Maria Lorenza Chiesara, pp. 432, euro 34,00 stampa, 12,99 epub), che col titolo di Operazione austerità esce in contemporanea all’originale, questa dedica scompare. A chi legge il libro in italiano è negata l’esperienza che mi è stata possibile dopo aver aperto The Capital Order: imbattermi nel nome di uno sconosciuto, Gianfranco Mattei, inserirlo in un motore di ricerca e scoprire sia chi fosse sia il come e il perché della sua morte. Scoperta che mi ha portato a interpretare quella dedica come un avviso che mi dicesse, “fai bene attenzione tu che mi leggi, questo non è un qualunque testo di economia, qui si tratta di faccende cruciali, prendile sul serio come Gianfranco Mattei ha fatto coi problemi del suo tempo”. Ma questo messaggio, per volontà, presumo, editoriale, non arriva a chi legge il libro di Clara Mattei in italiano.

Le questioni decisive discusse in Operazione austerità sono due: la natura del capitale e lo status epistemico del sapere economico. Per quanto riguarda il primo interrogativo la risposta è netta. Il capitale è un rapporto sociale, la relazione che si crea fra chi cede la propria forza lavoro in cambio di un salario e chi compra quella forza (18). Il capitale non è quindi un mucchio di soldi, se mai è la maniera con cui si mettono insieme i mucchi di soldi. Soprattutto, in quanto rapporto fra soggetti situati in precisi contesti sociali, il capitale non rappresenta niente di oggettivo. È tutto il contrario, ovvero il frutto di condizioni maturate storicamente, che così come sono entrate nella vita degli umani potranno un giorno uscirne. Anche il rapporto fra schiavi e padroni, per esempio, o quello fra servi e signori sembravano essere incisi per sempre nel marmo dell’oggettività, almeno così pareva a chi viveva, rispettivamente, nelle società schiavistiche dell’antichità o in quelle feudali del Medioevo. In questo, noi non siamo diversi dei nostri antenati; anche se non sappiamo bene quando sia saltato fuori il capitale, l’idea che esisterà per sempre ce l’abbiamo. Se la pensiamo così, scrive Mattei, è anche perché il sapere economico ci dà una mano in tal senso. Ma per far questo l’economia deve coprirsi con il manto dell’oggettività così da presentarsi come scienza. Peccato che invece sia una pratica, ovvero un’attività volta a ottenere risultati concreti in un contesto determinato. Nonostante questa sua natura, però, fin dai tempi di Ricardo e Malthus, l’economia afferma “l’esistenza di ‘necessità economiche’ immutabili, ovvero leggi economiche naturali separate dagli uomini e da accettare passivamente” (p. 108). Grazie a queste premesse, dalla fine del Settecento in poi, gli economisti funzionano come il clero nelle società dell’Ancien Régime. Entrambi i gruppi sociali sono depositari di un sapere esclusivo, che si traduce nella capacità di interpretare testi oscuri, economici da una parte, scritturali dall’altra. Nei due casi il risultato è identico, la presentazione dell’ordine sociale come l’unico possibile in quanto basato su leggi immutabili, immanenti alla natura umana nel nostro tempo, scritte dalla mano di Dio in quello che precede la Rivoluzione francese.

Se è essenziale che l’ordine del capitale venga percepito come l’unico possibile, in quanto fondato su leggi oggettive ed eterne, allora un pericolo mortale si manifesta quando, per imprevedibili circostanze storiche, intere società si dimostrano in grado di funzionare al di fuori delle coordinate economiche imposte dal capitalismo. Questo accade durante la Prima guerra mondiale, quando “le politiche degli Stati della Gran Bretagna e dell’Italia [le due nazioni al centro dell’analisi di Mattei] infransero il dogma del capitalismo e intervennero con decisione nelle economie dei due Paesi” (p. 54). Le esigenze del conflitto fecero sì che in entrambi i contesti nazionali lo Stato gestisse l’economia, fissando prezzi e salari da una parte, organizzando la catena produttiva nei settori strategici per lo sforzo bellico dall’altra. Un’autorità politica, insomma, visibile e identificabile, si sostituiva alla mano cosiddetta invisibile, neutra e anonima, del mercato. Che in Gran Bretagna e Italia la Grande Guerra abbia inferto uno scossone all’autorappresentazione del capitalismo come l’unico ordine possibile lo dimostra l’acutissimo scontro sociale dei primi due anni del Dopoguerra. In tutti e due i paesi, nel biennio 1919-20 si assiste a un’esplosione di lotte operaie, che non puntano solo a una redistribuzione del reddito, ma ad una messa in discussione tanto della proprietà delle aziende da parte dei capitalisti quanto della loro gestione a opera dei dirigenti industriali.

La reazione a questo movimento anticapitalista è un progetto politico, l’austerità. In due stati politicamente lontanissimi come il Regno Unito e l’Italia, democratico-liberale uno, fascista l’altro, il piano del capitale è lo stesso. Lo è a partire dalle comuni fondamenta epistemico-politiche, che altro non sono che una ripresa muscolare del racconto del capitalismo: mentre il capitale non può essere messo in discussione, l’economia è una scienza, neutra e al di sopra delle classi sociali. A questo binomio di concetti se ne aggiunge un terzo, decisivo sul piano pratico: la gestione dell’economia è troppo importante per lasciarla ai parlamenti. Così il cervello delle operazioni economiche va messo al riparo dal voto popolare e collocato in un’istituzione inattaccabile dall’opinione pubblica: la Banca Centrale, l’ente che emette la moneta e ne controlla la quantità in circolazione (p. 152).

La natura antioperaia e coercitiva dell’austerità è espressa con la massima chiarezza nella formula “‘lavorare di piú, consumare di meno’, elaborata durante due cruciali conferenze finanziarie internazionali tenutesi a Bruxelles (1920) e a Genova (1922)” (p. 129). L’obiettivo di imporre ai salariati una maggior produttività in cambio di retribuzioni più basse è raggiunto attraverso la coordinazione di tre diverse forme di austerità: fiscale, monetaria e industriale. Sintetizzando al massimo, questo significa tassazione regressiva, deflazione via aumento dei tassi d’interesse e privatizzazioni. Una stretta antidemocratica, che si traduce in una limitazione dei diritti di sciopero e di organizzazione sindacale, rappresenta l’ultima, ma decisiva, componente delle misure d’austerità.

In quanto progetto politico antioperaio, questo è il punto chiave della discussione di Mattei, l’austerità è condivisa da liberali e fascisti. Governi democraticamente eletti, come in Gran Bretagna, o espressi da una dittatura, come in Italia, attuano politiche economiche identiche, tutte improntate all’austerità. Di più, in Italia, economisti liberali come Umberto Ricci e Luigi Einaudi si schierano in maniera aperta e pubblica accanto ai colleghi fascisti Maffeo Pantaleoni e Alberto de’ Stefani. Su cosa si fondasse questa convergenza, in splendido svelamento della natura politica della lotta all’inflazione, lo ha spiegato Einaudi: “quel che pareva muovere nel profondo la società intiera e preparare la rivoluzione sociale fu […] chiamato con parola tecnica inflazione monetaria” (p. 156). Inglesi e italiani, liberali e fascisti condividono lo stesso presupposto, le masse non possono capire l’economia, i tecnocrati sì, e convergono su un comune obiettivo, riaffermare il comando capitalista sulla classe lavoratrice.

L’austerità serve a preservare la supremazia del capitalismo quando quest’ultima è contestata; riafferma e stabilizza i rapporti di classe immanenti all’ordine del capitale. È per questo che l’austerità è tornata in auge alla fine degli anni Settanta: era necessaria per rimettere in piedi un sistema capitalista scosso da un decennio di conflitti nella fabbrica e nella società. Come negli anni Venti, questo è accaduto miscelando il massimo di violenza con il gelo della tecnocrazia. Così il colpo di stato militare in Cile nel 1973 spalanca “le porte del Paese ai ‘Chicago Boys’ – un gruppo scelto di economisti cileni, formatisi alla Chicago University sotto la guida dei maestri dell’economia neoclassica Milton Friedman e Arnold Harberger – per attuare il Ladrillo, ossia un documento spesso quanto un mattone, basato su un feroce piano di austerità che riuscí ad annullare l’alternativa cilena al capitalismo” (p. 290). Ai tecnocrati, invece, è affidata l’austerità italiana. Dopo l’adesione dell’Italia al trattato di Maastricht nel 1992, per quattro volte – Ciampi (1993-95), Dini (1995-96), Monti (2011-13), Draghi (2021-22) – banchieri ed economisti mai passati attraverso il vaglio del voto popolare guidano governi operanti dentro il quadro di austerità imposto dall’Unione Europea. Di nuovo salta agli occhi la continuità delle politiche messe in opera dai tecnocrati liberali con quelle decise da economisti fascisti: “[c]ome De’ Stefani aveva invocato ‘le consapevoli rinunzie degli acquistati diritti di mutilati, di invalidi, di combattenti’, allo stesso modo Monti tagliò i fondi destinati a coloro che soffrivano di sclerosi laterale amiotrofica (Sla)” (p. 284).

Nel nostro tempo di guerra post-pandemica l’austerità domina con rinnovata forza le politiche economiche dei paesi occidentali. Vari e consistenti indizi sembrano puntare verso un capitale di nuovo ansioso di riaffermare il suo comando sui salariati. Un’ansia che si spiega con l’urgenza di farla finita con l’economia Covid. Le misure prese un po’ da tutti i governi durante la pandemia hanno riecheggiato le politiche di governo statale delle attività economiche messe in atto durante la Grande Guerra. Negli Stati Uniti, per fare solo un esempio, l’amministrazione Biden, allo scopo di stimolare i consumi, ha staccato assegni fino a un massimo di 1400 dollari a vantaggio di quasi ogni cittadino o residente legale: reddito, in altre parole, del tutto svincolato dalla prestazione lavorativa. Veniva così a saltare il capitale come rapporto sociale, lavoro in cambio di salario. Finita la messa in mora dell’ordine capitalista causa emergenza Covid, assistiamo oggi, come dopo la Prima guerra mondiale, a una ripresa della conflittualità. Non ci sono fabbriche occupate o consigli operai che reclamino il controllo della produzione, questo è chiaro, ma con la dolorosa esclusione dell’Italia gli scioperi sono in ripresa in Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti.  È per imporre l’ordine del capitale contro questa insubordinazione che le banche centrali hanno adottato politiche di austerità finanziaria e promosso la deflazione per mezzo del classico strumento dell’aumento dei tassi d’interesse. Come ricorda un’ultima volta Clara Mattei, l’austerità “è un progetto politico nato dalla necessità di conservare i rapporti capitalistici di dominazione di classe. È il prodotto di un’azione collettiva mirata a escludere qualunque alternativa al capitalismo” (p. 269).

Gianfranco Mattei

Le pagine dei “Ringraziamenti’ concludono Operazione austerità. Finiscono così: “Un’ultima parola su Gianfranco Mattei. Alla giovane età di ventisette anni egli era già professore di Chimica al Politecnico di Milano e collaborava con i suoi compagni del Gap…” (305).  “Gianfranco Mattei, chi era costui?” si chiede il lettore italiano.