La vita vera di ciascun essere umano comincia quando l’universo interiore s’infrange di fronte alle frastagliature della realtà, sembra suggerire Claire Etcherelli (1934-2023) nel suo romanzo, pubblicato in Francia nel 1967 e vincitore del Prix Femina. Diventato un film di Michel Drach presentato al festival di Cannes nel 1970, oggi è riportato in Italia da L’orma editore nella traduzione di Anna Scalpelli. Il titolo – un nome proprio e una congiunzione avversativa che lo lega al nucleo tematico della trama – inserisce l’esordio di Etcherelli nel solco delle storie filosofiche e di formazione ormai nel canone dei classici, in una chiave al femminile che affronta questioni ancora di attualità.
Élise, ventotto anni, abitante di una Bordeaux indigente e senza prospettive, aspetta il momento in cui arriverà la vera vita. Nel frattempo, trascorre il tempo in una quotidianità claustrofobica, si occupa della nonna e del fratello minore. Lei e Lucien hanno uno spirito irrequieto, insoddisfatto dei limiti imposti dalla loro povertà: il secondo ha uno spiraglio di quella vera vita tanto agognata nell’idealismo dell’amico Henri, nella passione per Anna, così prende la decisione di lasciare moglie, figlia e parenti per trasferirsi a Parigi e inseguire l’onda collettiva del cambiamento. Per Élise non esiste altra possibilità se non raggiungerlo.
È proprio nella Parigi popolare e proletaria che ha inizio la vita vera di Élise. Davanti a lei, il panorama desolante della solitudine, di un lavoro usurante. Unica donna in mezzo a immigrati senza nulla da perdere, abbandonati a sé stessi, la protagonista trascorre le giornate nella catena di montaggio di una fabbrica, nelle peggiori condizioni igieniche e di sicurezza – nessuno la conosce meglio di Etcherelli, operaia lei stessa. Siamo alla fine degli anni Cinquanta, la guerra in Algeria diventa una questione sempre più dibattuta nella società francese: se da una parte prendono spazio collettivi di opposizione al conflitto, a cui partecipa anche Lucien, dall’altra s’intensificano gli atti di violenza e razzismo nei confronti di coloro che vengono percepiti come estranei, fonte di pericolo per la sicurezza nazionale.
Élise si fa spettatrice di entrambe. Etcherelli racconta con una prosa ricca di dettagli, punteggiata da malinconia e desiderio, dal ritmo implacabile. La protagonista non soccombe al senso di alienazione derivante dalla logica del profitto grazie all’amore per Arezki, ma è proprio entrando nel mondo di quest’ultimo che scopre un altro modo di abitare ai margini. «Qualche volta, tra quelle caricature umane, tra quei corpi sofferenti, mutilati dalla miseria, nelle stanze buie e fredde, tra la biancheria sporca e quella messa ad asciugare, uno di quei rifiuti conservava, per caso o per miracolo, il lampo, la fiamma, la luce che lo faceva soffrire ancora di più. Lo spirito soffiava lì come altrove, l’intelligenza si sviluppava o moriva schiacciata». Perché Arezki, algerino, è di continuo vittima di soprusi e pregiudizi, e così lo è anche la loro relazione.
La scrittura di Etcherelli si muove tra passato e presente, una rievocazione in cui, a tratti, la voce di Élise si rivolge direttamente ai suoi cari e quindi a noi che leggiamo, per condividere la profondità del suo sentire. Nell’incipit si esorta a non pensare, a non ricordare ciò che si è perso, eppure la rassegnazione è squarciata dall’accoramento di certi paragrafi. Anche se la vita vera ha finito per sconquassare speranze e illusioni, battere in ritirata quando il destino ci piega con la sua durezza non significa aver perso, se si decide di non arrendersi: «Nascosto nel futuro, acquattato tra i ricordi, il dolore mi spia, attende il momento opportuno per attaccarmi. Ma io schiverò i suoi colpi, mi difenderò con coraggio. E sotto le ceneri, l’inesorabile speranza continuerà a resistere. Non so da che parte verrà il soffio che potrà ravvivarla. Non so dove mi porterà la sua fiamma. Ma la sento. La sento già, sotto questo mio sudario. Indistinta, informe, impalpabile, ma presente. Mi ritiro in me stessa, ma non è così che morirò».