Lo scontro israelo-palestinese va avanti da decenni e coinvolge buona parte del Medio Oriente. Una guerra senza esclusione di colpi, drammatica e crudele, con l’Europa e il resto del mondo che sono i primi colpevoli di uno sterminio che non sembra mai giungere a conclusione. E se gli occidentali, americani in primis, chiudono gli occhi di fronte alle atrocità commesse dagli israeliani definendo terroristi solo chi lotta per il diritto ad abitare la propria terra, Cinzia Leone, scrittrice, giornalista e disegnatrice, indaga i tipi di amore che possono nascere all’interno di conflitti così spietati. Lo fa fin dall’inizio, scegliendo come titolo un passaggio del Romeo e Giulietta di Shakespeare, un inno all’amore immortale in un ambiente dove la morte è all’ordine del giorno. All’autrice non interessa analizzare il conflitto in sé: la terra dove si svolge la vicenda, Israele e Palestina, sono il perfetto contraltare per raccontare quanto i sentimenti affettivi possano, almeno in parte, lenire ferite che forse non si chiuderanno mai e certamente non guariranno.
Nell’attentato kamikaze all’interno di un bar del centro di Tel Aviv muore Arièl, un ragazzo italiano trasferitosi in Israele e arruolatosi nell’esercito. I genitori, Micol e Daniel, che si sono separati tempo addietro, vengono raggiunti dalla notizia in Italia. Sono entrambi ebrei non praticanti, nonostante la madre di Micol, Stella, si sia trasferita da anni in Israele, donna di carattere e sionista convinta che ha fatto parte dei servizi segreti del paese. Quando arrivano vengono travolti dalla notizia che i resti del figlio, che era vicino al kamikaze per tentare di fermarlo, oltre che ridotti a un ammasso indefinito si sono mescolati con quelli dell’attentatore. La ricomposizione del corpo sarà lunga e penosa, ma deve essere eseguita come le leggi ebraiche impongono. Partono i primi dissapori tra Micol e Daniel: quest’ultimo imputa a Stella la colpa della morte del figlio per averlo avvicinato, fin da piccolo, all’ebraismo ortodosso e averlo attirato in Israele. E anche se Micol la pensa allo stesso modo, gli rimprovera di non essere stato un genitore presente – accusa che rivolge anche a sé stessa – e di non aver diritto di accusare la madre. Il risentimento dei due tocca l’apice quando incontrano Stella, che nonostante il dolore non sembra addossarsi alcuna responsabilità per la tragedia, affermando che Arièl era felice in quel luogo che lei ha sempre sognato dovesse diventare il paradiso in terra. Visitano l’appartamento dove viveva Arièl e da qui, a poco a poco, si dipanano scoperte che lasceranno Micol interdetta. Arièl aveva un compagno, e lei mai si era accorta di avere un figlio gay. Tariq è un palestinese, scappato dal suo paese per sfuggire ai soprusi che vengono perpetrati verso gli omosessuali. Quando Micol lo incontra capisce che il ragazzo è la chiave per scoprire i segreti e la vita di un figlio che non conosceva, per cui sente di aver fatto poco. Questo rapporto sarà fondamentale per creare altre relazioni che mai Micol avrebbe pensato di vivere, e anche per questo decide di non fare ritorno in Italia. Jibil, la madre di Tariq, Sharon, un’amica del figlio, l’incontro con la madre di una vittima dell’attentato e la convivenza con Stella le faranno inquadrare la tragedia in maniera inaspettata.
Un romanzo denso, ricco di colpi di scena – l’arrivo di nuovi personaggi che scardinano le false certezze a cui si era aggrappata Micol –, i sensi di colpa che attraversano i personaggi per motivi diversi, la durezza e la fermezza della madre che si sciolgono di fronte a delle verità che mai confessate rendono la narrazione fluida, un ritmo che non accusa mai pause o cambi repentini. Una storia complicata e completa, ogni personaggio ha la sua ragione d’essere nella dinamica della storia, ma narrata in maniera semplice, quella semplicità di cui sono capaci solo le penne più raffinate e colte. Cinzia Leone ci racconta, con estrema lucidità, l’amore ai tempi della guerra. Che non è mai un esercizio semplice.