Un anno vissuto pericolosamente è stato pubblicato per la prima volta nel 1978 e solo ora, grazie all’impegno della casa editrice di Fidenza nella ricerca di ottimi autori sconosciuti in Italia (Dubus e Baxter sono solo due esempi), insieme a titoli non ancora tradotti, possiamo leggere un’opera che è una pietra miliare del romanzo di cronaca. Proprio per questo appena quattro anni dopo, nel 1982, Peter Weir, regista australiano, lo ha portato sullo schermo con un cast di primordine: Mel Gibson, Sigourney Weaver e Linda Hunt, quest’ultima vincitrice del premio Oscar per la migliore attrice non protagonista, prima donna a ricevere il premio interpretando un personaggio maschile. Avevo visto il film parecchi anni fa, e la lettura del romanzo mi ha spinto a rivederlo: a distanza di quarant’anni la pellicola risulta ancora attuale, gli attori offrono interpretazioni straordinarie e l’intreccio colpisce come un pugno nello stomaco offrendo uno sguardo profondo e intenso su una realtà distante da noi. Certo Weir non è un regista qualunque, Picnic at Hanging Rock, Witness e The Truman Show parlano per lui. La sua tecnica e la sua maestria lo hanno consacrato come uno dei cineasti più originali della cinematografia mondiale. Il paragone tra romanzo e film, in genere, pende sempre a favore del primo, ma nonostante la pellicola non segua precisamente l’intreccio del testo – il romanzo è lungo quasi 350 pagine –, ne riesce a cogliere i punti fondamentali.
Siamo in Indonesia, è il 1965 e la situazione politica è esplosiva. Il paese è governato da Sukarno, un presidente sempre meno popolare, che tiene più alle donne che al benessere dei sudditi. Giacarta è la capitale e la città dove risiedono i cronisti stranieri, malvisti dalla gente del posto e dal governo. Il cronista Guy Hamilton arriva nell’isola e non trova il collega che avrebbe dovuto sostituire e che gli avrebbe dovuto passare i contatti necessari per svolgere al meglio il proprio lavoro. I giornalisti stranieri risiedono nell’unico hotel dove è presente l’aria condizionata: nel caldo opprimente della città si muovono donne che si prostituiscono per sopravvivere, gli abitanti cercano di sbarcare il lunario vendendo oggetti inutili mentre le campagne sono abitate da contadini che coltivano il terreno che produce a malapena il cibo per sopravvivere. Il PKI, partito comunista indonesiano, si sta organizzando per rovesciare il regime del presidente, avendo buona parte della popolazione a favore della rivoluzione, stanca dei soprusi e della miseria.
Senza riferimenti e con poca esperienza – è il suo primo incarico all’estero – Guy riceve l’aiuto di un personaggio ambiguo e oscuro, Billy Kwan, fotoreporter nano di padre cinese e madre australiana, che riesce a fargli intervistare Audit, il capo del partito comunista. Questo scoop rende gelosi i colleghi, ma da quel momento il sodalizio tra Guy e Billy diviene indissolubile. Per mezzo di Billy conosce Jill, segretaria dell’ambasciata britannica a Giacarta. Nonostante la diffidenza iniziale della donna, tra i due nasce una relazione amorosa molto intensa. Lei gli confessa di avere avuto notizia dai servizi segreti britannici dell’arrivo da Hong Kong di un carico di armi per il partito comunista che è appoggiato dalla Cina, e che se il colpo di stato andasse in porto per gli occidentali sarebbe pericolosissimo rimanere a Giacarta. Lo invita a scappare con lei, qualche giorno dopo, con un aereo messo a disposizione dei membri dell’ambasciata britannica. Ma lui la tradisce e svela la notizia, è una ghiotta occasione per uno scoop giornalistico senza precedenti. La situazione precipita, i due si allontanano, Kwan lo accusa di aver tradito Jill e Guy rimane solo nel succedersi degli eventi.
Guy scopre che il suo più stretto collaboratore è un membro del partito comunista, gli mettono alle calcagna una spia russa, una donna affascinante, per carpirgli notizie che non ha, rischia di morire più volte e alla fine il colpo di stato viene soffocato sanguinosamente dai militari. La storia non finisce qui, ma svelare altro comprometterebbe la lettura di un romanzo forte e crudo, che apre una finestra sull’Indonesia della seconda metà del secolo scorso, sottolineando il grado di povertà e di dispotismo a cui era sottomessa. Christopher Koch, scrittore australiano, ci incanta con dialoghi brucianti, uno stile essenziale e diretto, uno sguardo disincantato, a volte crudele su una realtà imbarbarita da potere e ingiustizie, uno stato di cose che esiste ancora oggi in parecchie parti del mondo.