I nomi organizzano la storia, i nomi dati dagli uomini ai terreni che calpestano, esplorando o più spesso guerreggiando fra loro e la natura. Organizzano montagne e deserti, pianure e isole, lungo le coste appena scoperte su cui uomini e donne s’intrecciano in amori e battaglie. Da epoche antiche giungono nomi come Ladestanos o Augusta Insula, a definire l’identica isola dell’Adriatico là dove la Dalmazia si affaccia sul mare. All’interno, a un centinaio di chilometri: Mostar, per dare una visione geografica al territorio. Seicento chilometri a sud di Trieste, città di Christian, da dove lo scrittore ha iniziato a cantare amori e suoli amati con intensificazioni riflessive, tutte attitudini che fanno reagire la lingua con la storia, le storie.
È cosi che si rafforzano i segni sulla terra rispondenti allo sguardo del poeta, Sinicco chiede acqua e caffè, e poi li offre al lettore che non sapendo aspetta di conoscere. Ci fossero ancora dèi domestici sulle tratte da lui percorse, perfino Einstein ne dimostrerebbe l’esistenza. Però il mondo visto dal basso per Sinicco comprende immigrati e sigarette incendiarie, un’America estesa che insiste e di cui tutti c’imbeviamo scordandoci troppo presto dei Balcani e degli inciampi lungo il crinale della bellezza. Che qui ha l’odore delle ragazze amate, della “birra della tradizione” e di tutto quello che i turisti mai capiranno. Il poeta triestino, che arriva da uno spazio di grandi appartenenze, ci spiega con la bella faccia delle donne del posto come gli slavi abbiano facilità a “recuperare la metrica del parlato”. E capiamo subito come questa facilità sia inserita con grande dimestichezza in tutte le poesie del libro. Che sorprende, non meno di quanto possa ficcarsi nel profondo del cuore la Ballata di Marija, colma com’è di porpora e risuonante per le vie di Lastovo (Lagosta in croato).
Nei versi, in seguito, s’inoltrano i salmi contro i veleni dispensati dal mondo a certi popoli, a cittadini per cui i nomi croati fanno la differenza tra sventura estrema e bellezza della felicità delle cose. Questi salmi permangono come la salsedine che resta sui rami spezzati, sui melograni e sui muri della città marina, per poi spargersi sui piedi della ragazza danzante fra il bene e il male. La canzone di Daniela narra i pericoli dell’asfalto sterrato e di quelli che giungono dal cielo ma non come stelle cadenti. Lì alla luce della candela non si è mai soli, la ragazza lo sa e avverte. Ma l’incanto vince sempre, finché si ascolta il Rap di Martino: un asso di cuori è la tua bocca, per Catarina che sfavilla “sveglia e intraprendente”. Questa è la poesia nata dalla strada, in compagnia del triestino scritto di Sinicco.
E la strada è quello spazio sotto le galassie che fa utili le parole, e tesse una lingua che non viene mai meno al proprio respiro, né all’ascolto inesausto dell’epoca storica, delle epiche andate, e a uomini e donne distinti nel loro viaggio. E quando il viaggio si fa omerico, Sinicco mira a ciò che separa, e separando contrasta l’umanità. Qui baie e immagini sconfortate dalla cronaca cruenta entrano di colpo nei versi, mostrano il limite che può raggiungere la poesia e lo sguardo vorrebbe sfuggire alla morte pensabile ma lì improvvisa, sulla spiaggia e dentro il mare. Poiché gli uomini non cambiano, occorre imporsi una reazione al disordine, alla sofferenza, ma senza andare via, e in qualche modo inglobare guerre che fanno dimenticare le creature, far saltare lo spavento e tornare alla vista di quel faro marino che aspetta nuove genti. Poi la vita “ogni tanto si avvicina”, dai secoli sfiancati, e gli anni s’intonano ai figli: la poesia Il faro asseconda quanto Christian sa dell’esistenza con tutte le sue carnagioni e un dio sorprendente capace di proteggere gli addii. Il faro avverte, pericolo di caduta, e i gabbiani in alto sono anche loro una “genealogia della civiltà”: la distanza dell’orizzonte va compresa restando in vista degli amori. Eva e Nausicaa sono cuori marini nelle rispettive poesie.
Questo libro si conclude con l’invito – e anche la costrizione – al viaggio per sfolgoranti partenze giovanili su traghetti verso posti di vacanza, sapendo che da qualche parte ci sono muri in attesa di parole diverse e risolutive d’errori. E partenze di ben altro tono, segnate da perdite cancellate come segni dalla “risacca lentissima”. Sola andata da una terra inflessibile che sembra sempre sfuggire agli esuli del ritorno. Sinicco non può accontentarsi, spinge oltre la sua reazione alla perdita: ulteriori versi finali esortano a restare vicini al canto degli scomparsi. Sagome d’uomo dalle coste dell’isola, muovendosi con le onde, dichiarino “i nomi morti del Mediterraneo”.