China Miéville è uno scrittore di confine che ha codificato il genere new weird con il ciclo di Perdido Street Station, ambientato nel cuore più oscuro della metropoli alcuni dei suoi romanzi più noti (le città sovrapposte de La città & la città (Fanucci, 2011) o la Londra anni Novanta di Un regno in ombra (Fanucci, 2009)), indossato i panni del saggista divulgativo, rivisitando la storia del movimento socialista (con il recente Ottobre. La storia della rivoluzione russa (Nutrimenti, 2017)). Sarebbe però un errore credere che Gli ultimi giorni della nuova Parigi, un’ucronia weird ambientata nella Francia occupata dai nazisti, sia un mixtape di temi noti o già segnalati o semplicemente voglia esserlo. Al contrario, il nuovo romanzo dell’autore di Norwick prende una direzione completamente inattesa, portando il concetto di pop sperimentale a livelli narrativi inediti .
In un 1950 alternativo, dove la guerra continua a oltranza, almeno oltre le linee della Francia occupata, nella lotta tra la Resistenza e i nazisti, un maquis surrealista, Thibaut, è il protagonista di una vicenda che non riesce a uscire intrappolata com’è tra le strade di una Parigi semidistrutta ma abitata dai fantasmi del suo passato artistico. Così, gli arrondissement diventano ben presto il campo di battaglia di creature instabili e mortali, dai poteri soprannaturali, che prendono alternativamente le parti del Bene e del Male, facendo strage di tutto ciò che incontrano sulla loro strada, in battaglie che solo il fotoreporter Sam sembra interessato a immortalare. Le creazioni del Simbolismo e l’intero bestiario surrealista – donne velocipede, ragni a dieci zampe, cucchiai pelosi, cadaveri squisiti (l’elenco completo delle opere citate è meticolosamente documentato da Miéville e si può consultare nelle corpose note in coda al libro), tornano infatti ad animarsi e, vomitate dall’inconscio della metropoli, si gettano nella mischia. I loro corpi, metà carne e metà macchina, prendono forma senza preavviso, da un collage di Max Ernst o d una citazione di Paul Eluard, per riversarsi nella nuova-vecchia Parigi sottratta alle leggi di causa ed effetto.
Le manifestazioni (manif), una pattuglia surrealista che combatte in stato di trance, come a voler applicare alla Resistenza i precetti della scrittura automatica, formano l’imprevedibile truppa di avanguardia che si schiera dalla parte dei partigiani. I Nazisti dal canto loro coprono il gap tecnologico con la magia nera, evocando demoni e incatenandoli contro la loro volontà ai panzer e alla macchina da guerra della Wehrmacht. Alla fine vede la luce anche qualche orripilante scampolo di “arte non degenerata”, affrontata da Thibaut e da Sam che per raggiungere i rispettivi obiettivi hanno dovuto allearsi mentre anche Mengele e l’Infausto Imbianchino scendono in campo e impazzano come mostri di fine livello per le strade di Parigi.
Nel prologo di questa ucronia, Jack Parsons, un satanista americano allievo di Aleister Crowley di passaggio a Marsiglia, è intenzionato ad annientare i nazi con un ordigno magico, ma quando la bomba esplode il mondo schizza, contro le sue previsioni, in una dimensione parallela per ritrovarsi tutti – nazisti, partigiani, spie, artisti bohemien – a interpretare una battaglia senza fine nella Parigi Surrealista.
Ne Gli ultimi giorni della nuova Parigi il “non umano” occupa lo spazio narrativo non solo attraverso le convulsioni di una città stregata dalla magia nera ma anche grazie all’apocalisse zombie di quanto è in genere considerato più squisitamente umano (l’arte!); l’umanità, del resto, qui non è nemmeno garantita dall’ambigua identità dei protagonisti. Quello che resta, e che merita di essere letto con attenzione, è la loro “fuga per la libertà”, una storia che Miéville ci racconta a un ritmo vertiginoso, mettendo in campo una scrittura e mezzi sempre più poderosi e consapevoli.