I piccoli libri blu Sellerio non deludono mai e, anzi, sorprendono con voci conosciute in altre scritture che si rivelano narratori/narratrici capaci di tenere il lettore incollato alla pagina. E non solo per la trama, soprattutto per la stesura del testo per il suo essere flusso, senza richiamare Joyce; essere cinematografico ma aderente alla pagina; essere intimo ma universale; inventato ma più che verosimile, reale proprio.
Chiara Valerio sceglie di non usare lo stacco grafico per i dialoghi che sono incastonati nel racconto come semplice continuità linguistica. Il lettore ha (può avere) quindi un primissimo senso di straniamento e caos nelle primissime pagine, scoprirà presto che seguendo la corrente delle parole sarà naturale capire quando la protagonista sta raccontando il suo pensiero, quando descrive, quando sta riportando un ricordo e quando invece sta parlando con qualcuno nel tempo presente della narrazione. Questo modo di scrivere ricorda Emilio Salgari, personalmente a me ha ricordato Bernardine Evaristo e nello specifico proprio Ragazza, donna, altro. Vi ho trovato delle tangenze specifiche: protagonista e comprimari sono donne, con storie e ruoli e impatto sociale molto diversi; se in Evaristo il romanzo è corale e ogni capitolo ha narratrice differente, in Valerio sono le storie a essere coro della vicenda.
E dunque di che parla il libro? Della vita e di come la affrontiamo o la guardiamo, o la esponiamo. Il pretesto è una morte, un’apparente disgrazia che arriva in un giorno qualunque di un paesino qualunque nel quale vivono e si relazionano tutti i personaggi di cui sono pieni tutti i paesini qualunque: la farmacista, il becchino, i vecchietti al bar, un barista con un passato, la maestra, il parroco. Eppure quel fatto lascia tutti sbigottiti per due motivi: il come e il chi. Il come muove la protagonista a voler capire chi realmente era la defunta. Non si tratta di un giallo, ma di un intreccio di storie e situazioni. Tutto è teso a porre il lettore davanti a una domanda: conosciamo veramente chi frequentiamo? Chi accogliamo nelle nostre vite? E in fondo in fondo, conosciamo realmente i nostri istinti e le pulsioni che ci muovono? Ebbene Valerio riesce a comporre un mosaico con un prima e un dopo il trasferimento di due donne che vivono insieme ma non sono imparentate, a Scauri. Scauri, come spiega l’autrice nella nota a chiusura del libro, esiste e anche tutte le attività citate “esistono o sono esistite”; molti dei nomi e alcune vicende attingono direttamente da fatti e conoscenze più o meno vicine a lei e quel luogo le appartiene. Dicevo, due donne che apparentemente hanno poco in comune: una, Vittoria, trovata morta nella vasca di casa, colta e riservata e già matura; l’altra, Mara, giovane e acerba, spigolosa e ingenua. Due donne che si sono incontrate e che l’una per l’altra hanno rappresentato una salvezza. Scrivo “una” poiché nel libro Valerio ci presenta tanti modi per vivere e sopravvivere agli eventi della vita.
La vita “prima” si palesa prepotente nella forma di una macchina di rappresentanza e un uomo vestito con eleganza: non solo il legale di un ragazzo di città venuto al mare per una ragazza macchiandosi del reato di aggressione ai danni di un concorrente, ma anche il vedovo di Vittoria. A quel punto la protagonista, Lea (avvocato), si chiede se lei avesse mai conosciuto Vittoria, quella donna capace da sola di essere considerata punto di riferimento per tutta la comunità, quella donna che conosceva le erbe e che era stata in grado di salvare mamma e bambino assistendo la puerpera durante il parto, la stessa donna che amava i cocktail particolari (per lei il bar del paese faceva arrivare la crème de cassis per prepararle il Kir royal, rapidamente diventata una delle bevande più richieste) e che non chiudeva mai il cancello e la porta di casa perché tutti potessero entrare, che si profumava con oli essenziali e che nuotava per lunghissime distanze, talvolta nuda, e che alla fine era morta annegata nella sua vasca da bagno con le mattonelle nere. “Di Vittoria, insomma nonostante l’allegria, nonostante la confidenza che tutti sentivamo con lei, sapevamo ciò che vedevamo”, scrive e riprende in più punti Valerio. Un gioco di specchi dove il tutti e l’io si perdono l’uno dentro l’altro, “Tutti sapevamo tutto di tutti. Tutti ci accontentavamo di ciò che avevamo davanti agli occhi. Tutti attribuivamo un certo valore alla forma”. E tutti, descriverà più avanti, parlavano con tutti di tante cose non sempre le stesse, eppure ciascuno a suo modo taceva varie cose, vari passati, varie verità. Non fa sconti Valerio, neanche quando racconta che con i soldi si possono salvare vite (fedine penali pulite per i ragazzi) e pulirsi la coscienza; oppure rompere con il passato e decidere di essere una persona nuova.
Tra le pieghe del libro anche e soprattutto i grandi temi dei giorni nostri: l’emancipazione – autonomia forse è più corretto – femminile; la dignità della morte (quanto quella della vita); l’enorme peso della memoria. E proprio alla memoria l’autrice dedica due passi cruciali che a mio avviso spiegano ancora di più il titolo “la memoria di un paese è diffusa. La memoria del paese ha mille nodi. La memoria di un paese assomiglia alle piante. La memoria di un paese ha radici che si scambiano informazioni”. Più avanti, citando Carla Fracci che spiegava come i piedi dei ballerini conservino la memoria di tutti gli esercizi fatti, provati e riprovati, del sudore e del sacrificio scrive: “Mi chiedevo (…) dove fosse quel luogo oscuro e nodoso, nascosto, deformato dall’esercizio e dall’equilibrio, che però garantiva la leggerezza, la grazia, o la loro apparenza”. Apparenza che si plasma anche attraverso la voce di chi quel fuori lo osserva e ne discute: quante donne è stata Vittoria, nei discorsi, nei rapporti, nelle partite a briscola o nelle camminate sul lungomare? Un viaggio, quello di Lea, alla ricerca di una storia personale che porta con sé tante altre storie, tante altre vite, intrapreso solo per “sincera curiosità”.