L’impazienza umana ha generato la matematica. Chiara Valerio lo afferma da qualche anno, e di più lo fa in questo nuovo libretto, agile e vivace come fosse stato coltivato nel mondo ben poco euclideo (forse per niente), ma perfettamente a fuoco, di Alice. Il tempo degli uomini però è segnato, e segna le loro vite, anche quando non se ne accorgono. Mi viene in mente che sottili varchi esistono fra Wonderland e la napoletanità di Renato Caccioppoli (ricordato nella prima pagina del saggio), matematico pressoché indimenticabile interpretato dal meraviglioso Carlo Cecchi nel film di Mario Martone. Sono passati molti anni ma Morte di un matematico napoletano resiste alle strane mode odierne, così come resiste l’antelucana degli attuali élaborateurs, la macchina di Turing.
La matematica di cui parla Valerio è quella che vorrebbe si insegnasse, dentro il tempo e lo spazio e dunque ben assestata nella storia. Ma in Italia subiamo tuttora le riforme del sistema scolastico d’epoca lontana, e dunque le vocazioni si tengono discoste da calcoli considerati inutili. In matematica la ricerca degli errori è fondamentale, e se gli errori “non si raccontano non esistono”. Poi, per l’autrice, siamo tutti vittime della superstizione. Gli elenchi, a cui ci abituano fin da bambini, sono il tempo, il prima e il dopo in aritmetica. Ah l’immaginazione quanto è potente, e come ci appare lucidissima e cristallina in ogni pagina di questo libro. Leggendo ci si trova davanti sempre più spesso alla verità, e all’interscambiabilità come base di studio. La disciplina della matematica è necessaria all’interpretazione del mondo. I ragionamenti fioriscono nelle civiltà libere, nell’antica Grecia e alla fine del Medioevo, così enuncia Valerio nel suo pamphlet usando la base del ragionamento stesso. Per questo lì dentro ogni deduzione brilla e ha il potere di aggiungere un senso alle nostre vite di poveracci ormai incapaci di risolvere problemi elementari.
“Per studiare matematica bisogna solo studiare”: sorprende come tale semplice verità si sia confusa durante l’emergenza Covid-19, e il diritto all’istruzione da noi sia stato sorpassato dal diritto alla salute. Qui Valerio ha le idee alquanto chiare, non esenti dal bene della polemica: se il tempo viene tolto dal presente, per forza maggiore, “svolgere un esercizio di matematica è un gesto di protesta nei confronti del presente”. Nel 2020 quasi tutte le percezioni sono cambiate, più di tutte quella del tempo. Studiare? Passare da una parentela all’altra, pagina dopo pagina, attiva il gusto verso le discipline analitiche (che comprendono anche il mito e quel che concerne qualunque cosa contempli il π) e l’idea che gli esseri umani, soprattutto da Blade Runner in poi (il film) dovrebbero fare attenzione alle macchine somiglianti a Sean Young (ai distratti: informarsi in rete). Creatura desiderata, attenzione, anche fosse un mucchio di silicio. Così sottolineava amabilmente Valerio in un suo precedente libro.
La matematica è politica però contiene una varietà di connessioni in più, sarà dovuto alla pandemia e a quanto ha fatto scattare nelle circonvoluzioni cerebrali (e pure sui ballatoi condominiali) di chi non solo guarda alla matematica come esercizio totale di democrazia ma accetta regole comuni molto più semplici. L’autrice è determinata: i politici non possono aver studiato la matematica perché non agiscono come “funzioni di un sistema più ampio del loro ego”. Non essendo consci delle relazioni fra le cose, guardano alla cosa singola. E come vada a finire, lo si legge nel racconto tragico dei mesi scorsi. Una delle frasi forti del libro è: “la differenza che passa tra protezione e controllo è la stessa che discrimina democrazia e dittatura”. Si fa presto a pensare al padre Philip K. Dick, che del “precrimine” ha posto le basi. Democrazia, come il linguaggio della matematica, va coltivata e ricostituita ogni volta, e in quanto “bisognosa di tempo” è rivoluzionaria. Soprattutto in epoca di tweet e di Covid. Se il tempo lungo dello studio ha condotto Valerio a disporre queste speculazioni con tanta forza chiarificatrice (una sorta di grotta di Lescaux personale fitta di nitidissimi graffiti), dobbiamo dirci che sì il virus non si combatte con i libri, ma la difesa della democrazia non ne può fare a meno, e che la prassi è probabilmente l’unico mezzo per trovare soluzioni. Contemplando il rischio di errori, che fa proseguire la ricerca. Conclusione? Nel pamphlet testé letto, una di certo esiste: possedere una “postura etica”, come nella ginnastica. Spalle dritte più a lungo, se la fai. Così come il cervello ha vantaggio se lo serviamo con la ginnastica posturale della matematica.