Oggi, nel dibattito pubblico, ci si riferisce spesso al Medioevo come se questo rappresentasse il crogiolo in cui si mescolano i mali del mondo, la pietra d’angolo che serve a misurare il grado di chiusura di una mentalità. Così sulla stampa proliferano dichiarazioni altisonanti volte puntualmente ad attribuire ai cosiddetti “secoli oscuri” visioni e idee che poco o niente hanno a che fare con quel periodo storico, e che anzi rivelano la nostra scarsa conoscenza di quel mondo, dei suoi valori, delle sue zone di luce. Studiosi autorevoli sono da tempo impegnati in una nobile operazione divulgativa, che mira a scardinare pregiudizi e cliché, e invita invece a mantenere sempre un approccio rigorosamente aderente alle fonti.
Si inserisce senz’altro in questo solco il lavoro di Chiara Frugoni, che ha insegnato Storia medievale nelle Università di Pisa, Roma e Parigi, e che ha recentemente pubblicato questo notevole saggio dal significativo titolo Donne medievali. Sole, indomite, avventurose. Dall’ombra in cui sono costrette ad abitare le donne comuni, destinate in una società misogina alla sottomissione e all’abuso, emergono qui alcune figure straordinarie, con il loro formidabile destino di emancipazione, dignità e coraggio. L’autrice ne sceglie emblematicamente cinque e ne tratteggia il profilo, approfondendone storia e ruolo, confrontando le fonti a disposizione con spirito critico e ammirevole finezza. Il ricchissimo apparato iconografico che impreziosisce il volume con mappe, miniature, riproduzioni di affreschi, mosaici pavimentali e sarcofaghi, costituisce poi il naturale controcanto della parola.
Dal passato polveroso affiorano dunque, una alla volta, le cinque protagoniste dell’indagine di Frugoni, ciascuna con la propria dirompente personalità. Radegonda di Poitiers, regina e poi monaca, “preoccupata delle sorti del suo monastero e del regno, attiva pacificatrice di sovrani particolarmente violenti e brutali”, viene qui apprezzata per la sua capacità di incidere su un piano sociale, politico e culturale persino in un contesto soggetto a pesanti condizionamenti. È la volta, poi, di due donne dal portato di enorme potere e altrettanto grande infelicità: la celebre Matilde di Canossa, “ardita, strenuamente devota alla causa della Chiesa, alla quale sacrificò ogni altro interesse”, e la leggendaria papessa Giovanna (una donna, in realtà mai esistita, che occupa il soglio pontificio travestita da uomo e poi viene scoperta perché sorpresa dalle doglie del parto) nella cui tragica vicenda “si specchia il perdurante terrore della Chiesa, giunto fino ai nostri giorni, verso la donna che eserciti funzioni sacerdotali e abbia accesso al sacro”. Per le ultime due figure ritratte, è la scrittura a configurarsi come strumento di riscatto: da un lato, Christine de Pizan, vedova a venticinque anni, adopera il proprio talento per salvare sé stessa e la propria famiglia dalla povertà, distinguendosi peraltro “per la sua appassionata difesa delle donne offese e calunniate”; dall’altro lato, Margherita Datini, una donna comune, moglie di un ricco mercante, “impara a leggere e scrivere per seguire i traffici del marito lontano”.
Come ci svela il sottotitolo del libro, queste cinque donne non sono accomunate soltanto dal carattere indomito e avventuroso, ma anche da una sorte che porta il nome della solitudine. “L’incontro con un uomo per tutte e cinque non fu felice […]. Le loro qualità, il loro talento si schiusero in una vita di donne sole”, evidenzia nel prologo Frugoni, senza tentare di nascondere il prezzo altissimo che queste personalità eccezionali dovettero pagare per essere fedeli a se stesse e giungere alla compiuta realizzazione delle proprie ambizioni. “E oggi, il legame familiare quanto condiziona una donna nell’espressione piena dei suoi desideri e delle sue possibilità? La risposta ai lettori e soprattutto alle lettrici.” La questione lasciata aperta testimonia la valenza che le riflessioni sollevate nel saggio possono rivestire nel dibattito attuale: un’esortazione a non confinare il passato nei meandri reconditi della memoria, addebitando ingenuamente a esso le nostre ansie, ma anzi un invito a ravvivarne continuamente la fiamma, affinché ne sia illuminato il nostro cammino di donne e di uomini di questo tempo, soli, indomiti e avventurosi.