Chiara Colombini. Partigiani brava gente

Chiara Colombini, Anche i partigiani però...Laterza, pp. 192, euro 14,00 stampa, euro 9,99 epub

Anche i partigiani però…  di Chiara Colombini è un libro utile e coraggioso. Utile per molti e diversi lettori: per insegnanti che, stanchi di avere tra le mani libri di testo simili a Bignami, trovano nel lavoro della storica complessità, giudizi, questioni che ridanno senso allo studio della storia come esercizio di analisi e riflessione. Utile agli studenti che riscoprono il metodo della storia, la passione di partire dal presente per comprendere, attraverso il passato, di che pasta sia fatto l’oggi e quale sia l’ideologia che lo ispira, utile agli appassionati della materia, che in un libro di poco meno di 200 pagine, scritto in maniera semplice, obiettiva e appassionata, trovano una chiave interpretativa dei 20 mesi di lotta partigiana, delle diverse letture della Resistenza degli ultimi decenni e degli stereotipi con cui si cerca di minimizzare, edulcorare e falsificare le ragioni di quella lotta.

Non a caso oggi la parola Resistenza è stata sostituita nel lessico comune dalla più innocua “Resilienza”. A differenza del significato di Resistenza, che indica una soggettività che si oppone al contesto storico, Resilienza esprime la capacità di adattarsi senza soccombere, di sopportare con qualche aggiustamento la situazione in cui si vive. Segno dei tempi.

Libro coraggioso perché pone al centro dell’analisi la Resistenza armata dei partigiani, tralasciando quelle altre forme di Resistenza – civile e disarmata – che sono state studiate e discusse in questi ultimi anni. La scelta di Colombini richiede coraggio, perché oggi la violenza è da tutti esecrata, almeno a parole, e sta diventando nel discorso pubblico un atteggiamento morale, più che una categoria storica, che non distingue più tra aggrediti e aggressori. La violenza non contestualizzata diventa un male sociale senza motivazioni comprensibili ed è una delle radici dell’attuale equiparazione tra fascismo, nazismo e comunismo, letti come regimi esclusivamente violenti e repressivi, senza analisi sulle diverse ideologie e pratiche politiche che li contraddistinsero.

Trionfa il cosiddetto “paradigma vittimario”, unico punto di vista largamente accettato. Grande dignità hanno coloro che furono vittime delle tragedie della storia, gli sconfitti, i vinti, mentre coloro che si ribellarono con ogni mezzo a regimi ritenuti intollerabili sono messi sullo sfondo della narrazione pubblica e guardati con sospetto.

Come osserva l’autrice una della cause della disaffezione al riconoscimento della Resistenza come momento fondante della Repubblica è dovuta alla scomparsa dei partiti che l’avevano organizzata. Seppure già nel secondo dopoguerra DC e PCI avessero diverse visioni dei 20 mesi di lotta, comunque riconoscevano la Resistenza come fondamento della repubblica. Oggi i partiti non rivendicano quelle origini e, poiché manca una radice condivisa della storia repubblicana, si affermano letture parziali, suggestioni, episodi fuori contesto che riprendono i luoghi comuni già diffusi nell’immediato secondo dopoguerra. Emerge non solo la lettura neo-fascista di quegli anni, con la retorica dei bravi ragazzi di Salò, ma soprattutto il fastidio, espresso da Salvini con chiarezza quando parla dell’inutilità di celebrare “neri, rossi, gialli” che trova le sue origini in intellettuali come Guglielmo Giannini e il suo Uomo Qualunque e Leo Longanesi. Essi teorizzavano il loro essere “apoti”, cioè la loro insofferenza verso coloro che ricordavano la lotta di liberazione e rivendicavano invece l’urgenza di “andare avanti”, liberandosi dai gravami del passato e soprattutto dall’esigenza di fare i conti con quanto era accaduto e sulle responsabilità della vasta area grigia del paese.

Senza più filtri politici i luoghi comuni si sono diffusi e sono stati portati a galla da intellettuali e mass media. Colombini li nomina e li discute tutti. Parla del numero dei partigiani, della loro composizione – molto variegata politicamente e socialmente, che comprendeva disertori, renitenti alla leva, donne – del ruolo dei GAP e della proporzione tra violenza esercitata dai nazisti, con la strategia della terra bruciata e della rappresaglia, e quella dei partigiani, dell’atteggiamento degli Alleati verso il movimento di Liberazione, della violenza che si trascinò nel secondo dopoguerra come lungo strascico della lotta di classe. Fu il PCI che nel dopoguerra cercò di incanalare la spinta radicale dei partigiani nell’alveo della democrazia parlamentare di cui era protagonista. Non fu un percorso né semplice, né breve, perché già nel 1946 fu fondato il Movimento Sociale Italiano, che si rifaceva al fascismo della RSI, e iniziarono nel 1948 i processi ai partigiani per le azioni commesse durante il periodo bellico. Fatti che non fecero che accrescere diffidenze e delusioni in coloro che avevano combattuto. Certo errori furono commessi, perché si imparò sul campo e perché come disse un partigiano di Genova, ci fu la presenza, nel caos della fine del conflitto, di “partigiani del 26 aprile”, personaggi che, approfittando del disordine post bellico, compirono azioni violente e ruberie fuori da ogni contesto politico. Ma l’attenzione dei partigiani all’aspetto morale della lotta, al rispetto della proprietà dei contadini, allo stile di vita dei combattenti emergono da molti studi di storia locale che mettono in evidenza le dure punizioni cui furono sottoposti i partigiani trovati a rubare anche poche patate. L’autrice mette in evidenza che la memoria di quei 20 mesi è ancora una memoria divisa. Le comunità che soffrirono per la rappresaglia nazista conservano dei ricordi diversi da quelle che sostennero, e furono tante, la lotta partigiana. Anche da queste differenti percezioni nascono le diverse letture e giudizi sulla Resistenza, che non rappresentano un problema quando si cerchi di inserirle nella complessità di quegli anni.

Mi pare che l’operazione portata avanti da Carlo Greppi e dal suo gruppo di storici, di cui fa parte Chiara Colombini, Eric Gobetti, Francesco Filippi e altri, con il sostegno della casa editrice Laterza con la collana Fact Checking, sia un’operazione opportuna e utile. Attraverso libri essenziali ma approfonditi gli storici offrono strumenti di resistenza storico-culturale a chi sente profondo disagio verso un revisionismo storico sempre più martellante e che purtroppo proviene ormai non solo da destra.