Chi Ta-wei / I confini del genere e del capitalismo digitale

Chi Ta-wei, Membrana, tr. Alessandra Pezza, add editore, pp. 156, euro 20,00 stampa, euro 9,99 epub

Romanzo fantascientifico dello scrittore taiwanese Chi Ta-wei, pubblicato in origine nel 1995, Membrana senza dubbio incarna, come è stato notato altrove, angosce e sorprese di una società che usciva dalla quarantennale legge marziale imposta dal famigerato Chiang Kai-shek (e abolita da suo figlio e successore Chiang Ching-kuo un anno prima di morire) e si ritrovava alle prese con un trauma non semplice da metabolizzare, stretta tra il tentativo di neutralizzarlo politicamente e la voglia di rompere i rigidi schemi sociali imposti dal regime. Se il rapporto fra la memoria nazionale e la memoria confusa e confondibile della protagonista Momo è una delle chiavi di lettura del romanzo, ben altre se ne aggiungono per un romanzo che affronta in profondità questioni più contemporanee che mai, come il rapporto sintetico e simbiotico dell’essere umano con il bionico, l’artificiale, il tecnologico.

È temporale solo il primo dei confini tracciati dalla storia. Il secondo è spaziale. La trama si svolge in un futuro distopico dove l’umanità è riparata in città sottomarine per sfuggire ai letali raggi ultravioletti del sole che rendono pressoché impossibile la vita sulle terre emerse (uno scenario da fiction climatica alla Qualcosa, là fuori di Bruno Arpaia), lasciate infatti alle guerre per procura combattute da androidi per conto dei vari governi al fine di accaparrarsi le risorse volte a garantire la sopravvivenza del genere umano. Alla distopia della catastrofe ambientale e bellica – peraltro ancora più attuale oggi rispetto a quando il romanzo fu pubblicato – si somma però a una tecnologia che penetra i corpi e li condiziona. È proprio qui che i confini si fanno più sfumati: nella città sommersa di T (è una vera e propria strategia della narrativa sinofona nascondere in bella vista ciò a cui si sta facendo realmente riferimento) l’essere umano si fonde alla macchina, coscienze e organi vitali vengono trapiantati in androidi semi-senzienti per necessità o vanità, producendo qualcosa di nuovo la cui identità è altrettanto rimescolata.

Per la protagonista Momo a fare da filtro tra questi confini c’è la membrana che dà il titolo al romanzo, “una specie di pellicola tra lei e tutto il resto”. La membrana è ciò che offusca i confini, anzitutto quelli del genere (facendo del romanzo un caposaldo della letteratura queer taiwanese), ma anche del passato e del presente, dell’io e dell’altro, dell’essere umano e della macchina, persino della realtà e dell’irrealtà: è questa unità di opposti (concetto taoista) a dettare il rapporto alienante di Momo con il mondo, tra il lavoro di estetista (la pelle adattata alla vita subacquea richiede molte più cure) e la sua introversione generata anche da un rapporto difficile con la madre, che rimanda anche alla dialettica – anch’essa radicata nel pensiero cinese tradizionale – “interno” (nei 内) / “esterno” (wai 外).

Da una parte la netta messa in discussione del binarismo di genere in ottica post-umanista suggerisce un quasi automatico accostamento al Manifesto cyborg di Donna Haraway (e probabilmente così è nelle intenzioni dell’autore, esperto di gender studies). D’altro canto però – e oltre le secche del post-modernismo – il modo in cui Momo si affaccia al mondo esterno affidandosi a quella che oggi definiremmo la “sorveglianza” (no spoiler, promesso) ci suggerisce di (ri)leggere Membrana anche alla luce degli sviluppi dell’intelligenza artificiale, del metaverso e delle tecnologie del controllo. Una riflessione sul capitalismo digitale molto urgente su entrambe le sponde di uno stretto – quello tra Taiwan e Cina continentale – sempre più in crisi. Si conferma il pregevole impegno di add a portare ai lettori italiani opere importanti delle letterature cinesi e sinofone, oltre ai nomi più noti, per ottenere diverse angolature sulle scottanti questioni del presente.