Il corpo in un libro, non memoria del suo funzionamento ma i differenti modi in cui si muove, e resta, nel dolore. Chelsea Hodson, scrittrice e artista di Sedona in Arizona, collaboratrice di Marina Abramović, raccoglie racconti come fossero saggi d’esperienza in cui l’innocenza deve andarsene in fretta: questo perché in questi torbidi tempi le macchine umane funzionano malissimo. La presunzione maschile con la sua violenza storica è ai minimi termini e con le spalle al muro, la monocromia sessuale finalmente si sta dissolvendo. Un’avanguardia si posiziona, oggi, in svariati campi. La complessità non è un programma, viaggia su onde di varia natura: le pagine più distese e i frammenti di Stanotte sono un’altra sono oggetti letterari non paragonabili agli ambigui sistemi del passato.
Ambiguità, vincoli, teorie avvocatesche, sono termini che non bisogna più aspettarsi in opere come questa, e dobbiamo stare attenti al cammino percorso lungo le porzioni d’asfalto delle diverse città. Così San Diego è diversa da Los Angeles, Phoenix e New York sono luoghi in cui definirsi innamorati ha a che fare con i segreti più intimi e più “scritti”. Hodson dunque ha movimenti amorosi precisi, ma molto più esclusivi della maggior parte delle persone. Il corpo è corpo sempre e ovunque, anche se picchiato in una notte gelida di Brooklyn: trauma non burocratizzato, ma parte del polifonico essere donna (copyright Gaia Manzini) che l’autrice riporta indietro dalle situazioni. E lancia a noi, ormai incapaci di raccontare l’essenza del reale. Attentissima agli altri, ma più di tutto desidera – per piangere davvero – sedersi di fronte a Marina Abramović durante la sua performance al MoMA.
Storia e brutalità sono capitoli fondamentali dell’esperienza, Hodson vede categorie ereditarie nelle serrature degli appartamenti ancor prima di oltrepassare le porte, e vuole conoscere la cattiveria (vera) maschile. Per questo spinge la “sua” Chelsea verso gli estranei, “le uniche persone perfette”. Perché la conoscenza passa attraverso di esse e il segreto altrui è il proprio segreto, così come ogni posto del pianeta è il posto di tutti.
Tonight I’m Someone Else dunque è mondo: lì ogni designazione generica diventa precisa e vivida qualità donata alle cose e alle persone meno degne. Talmente tanti i risvolti umani, e i particolari delle cose, che probabilmente occorre allontanarsi dalla Terra per verificarlo. Hodson è radicale, proprio nelle prime pagine racconta certe attività marziane dei lander americani. Come assistente alle pubbliche relazioni della NASA scrive le didascalie alle immagini giunte a terra, un apprendistato che le consente il dominio dello sguardo, e fluidità comportamentale di rara potenza. Serve a sé e a noi, in un cosmo dov’è faticoso scansare la vulnerabilità. I moderni occhi verbosi hanno bisogno di questi sentimenti descritti con vividezza esistenziale (non distrarsi dall’ammirevole traduzione di Sara Verdecchia), fronteggiando la crudeltà sempre al centro di un’intenzione tanto vitale quanto artistica. Abramović, enorme figura sacra, consente il racconto totale delle donne. Nel pieno del mondo apre il velo su lotta e resa: contemporaneamente attive in Hodson e in chi non compiace Freud e non smette di volgere la testa – ben più fiducioso e fiduciosa di Rimbaud – verso il “nuovo amore”.