Franco Serantini. Che la memoria non vada smarrita: la lezione di Corrado Stajano

Corrado Stajano, Il sovversivo. Vita e morte dell’anarchico Serantini, Il Saggiatore, pp. 208, euro 21,00 stampa, euro 9,99 ebook

(Una intervista Giuseppe Costigliola a Corrado Stajano su Il sovversivo qui.)

“La sera del 5 maggio 1972 nulla servì a salvare dalla furia della polizia, fra la bottega del vinaio e quella del tappezziere, un giovane non alto, ricciuto, gli occhiali da miope, il viso serio e sofferto. Franco Serantini, di vent’anni, sardo, anarchico, figlio di nessuno nella vita come nella morte.”

Queste asciutte parole di Corrado Stajano compaiono nella quarta di copertina del suo Il sovversivo, l’acutissima indagine che ricostruisce l’assassinio di un giovane anarchico massacrato di botte dalla polizia durante una manifestazione indetta a Pisa alla vigilia delle elezioni parlamentari del maggio 1972, alla quale, per tragica ironia della sorte, neanche partecipava. Una storia ricostruita “vincendo ogni possibile tentazione romanzesca, sui documenti, sulle testimonianze dei protagonisti, su un coro di voci, dove anche i particolari più minuti sono veri, verificati”.

La prima edizione del libro apparve, lasciando un segno profondo, nel 1975, e il Saggiatore lodevolmente lo ripropone agli ignari lettori odierni, corredato della nuova prefazione dell’autore e impreziosito dai disegni dello scultore Costantino Nivola. La storia di quel ragazzo inerme ammazzato dalle “forze dell’ordine” lo colpì profondamente: Serantini, sardo come lui, aveva alle spalle una drammatica biografia costellata di abbandoni, di solitudine, di ingiustizie. Decise così di raccontarne con la sua arte la tragica vicenda, e riempì gli spazi bianchi del libro, i margini delle pagine, con dei disegni a china dai tratti appena accennati, straordinariamente evocativi, un bianco e nero che dona struggente poesia a una vicenda efferata, e che oggi possiamo apprezzare in questa nuova edizione.

Il libro espone al meglio le qualità che hanno reso celebre Stajano: un giornalismo d’inchiesta che fonde narrazione letteraria e testimonianza, partecipazione emotiva e scrupoloso rigore filologico, precise ricostruzioni d’ambiente, storiche e sociali, realizzate per mezzo di indagini condotte sui luoghi degli accadimenti e puntellate da colti riferimenti bibliografici, l’abilità nel rendere i primi piani, gli scorci più minuti, e i campi lunghi, le ampie inquadrature, un raccontare sempre teso alla verità dei fatti, reso con prosa incisiva ed elegante, con uno stile dalla chiarezza ammirevole.

L’autore ricompone la breve esistenza di Franco Serantini, nativo di Cagliari, abbandonato appena venuto al mondo al brefotrofio, e ne segue le tristi vicende, dall’affidamento a due coniugi siciliani, a un istituto religioso, al periodo passato nel riformatorio di Pisa in regime di semilibertà, malgrado fosse incensurato. A Pisa (di cui in un capitolo particolarmente interessante si ricostruiscono le lotte del Movimento studentesco in una delle università più agguerrite del periodo sessantottino, l’ambiente composito e ribollente della sinistra extraparlamentare), Serantini vive una fugace stagione di autoaffermazione e di libertà. Mosso da una “naturale volontà di giustizia umana e sociale”, avidamente in cerca di amicizia, di solidarietà, di calore umano, abbraccia il movimento anarchico, si getta con fervore nelle lotte sociali: per lui quella vitalissima città “rappresenta il trionfo della vita”. Una vita stroncata al suo gemmare da giovani della sua età, agenti del I Raggruppamento celere della polizia giunti da Roma, i quali si avventarono con furia selvaggia sul ragazzo indifeso, che “immobile e disarmato, aspetta che i poliziotti gli saltino addosso e lo feriscano a morte”.

Queste pagine, da cui si leva un dolore struggente, il dolore di chi piange non soltanto l’omicidio di un innocente, ma quello di tutto uno stato di diritto, sono intessute da una documentazione ricca e puntuale: perizie, verbali d’interrogatorio, stralci di sentenze, articoli di giornale, volantini, discorsi pubblici, circolari, relazioni, testimonianze, dalla quale prende forma una lucidissima analisi del contesto umano, politico, socio-culturale degli eventi narrati. In una fattuale, puntigliosa ricostruzione, si raccontano le ore che dall’arresto portarono alla morte di Serantini, la lunga sequenza di errori, di omissioni, di negligenze, talvolta veicolata con un sapiente uso del dialogo, che ne potenzia l’impatto emotivo.

Ma l’odissea di Franco Serantini, questo “ragazzo spogliato di tutto”, non si chiude con la sua morte. Perché qui si narra la storia di una doppia morte: quella di un giovane di vent’anni brutalmente ucciso dalla polizia, e quella vergata col sangue dalle istituzioni di uno Stato che non fa giustizia, che anzi la giustizia tenta di occultare in ogni modo, con “i suoi continui e impudenti tentativi di mascherare e di insabbiare le responsabilità e di chiudere un caso cha ha assunto un valore di simbolo del rapporto fra cittadino e stato di diritto, fra autoritarismo e libertà”. Insomma, uno Stato che rifiuta di processare se stesso, come già era avvenuto, e troppo spesso in seguito avverrà. I vertici della struttura carceraria cercarono infatti di seppellire in tutta fretta quel corpo martoriato per occultare le prove di un agire criminoso. E qui comincia una sorta di libro nel libro, con la ricostruzione del procedimento giudiziario che seguì la morte del ragazzo, delle perizie, delle deposizioni, del clamoroso scontro intestino che contrappose il Procuratore generale presso la corte d’appello di Firenze, “personaggio da vetrata medioevale”, e il coscienzioso magistrato di Pisa che indagò sulla morte di Serantini: una narrazione che nelle sue avvincenti movenze drammatiche ha quasi il sapore d’un legal thriller, e che porta in luce uno degli obbiettivi dell’indagine, “quello di capire meglio i meccanismi del potere”, denunciarne gli abusi e i soprusi. Ampio spazio è poi dato alla profonda eco che quella fine violenta ebbe nella parte sana della nazione, la battaglia politica che si scatenò contro le forze di polizia, il ministro degli Interni e il governo. Particolarmente toccante è la cronaca dei commoventi funerali di Serantini, che ebbero luogo in una città “partecipe, dolente”, a cui accorse tutta la società civile e democratica, “l’unico dono che Serantini abbia avuto dagli uomini”.

Insomma, siamo di fronte a un libro appassionante, che conserva intatta la sua grande forza morale e rimane di drammatica attualità. Un testo che, lungi dal configurarsi come mera cronaca di un caso personale, ricostruisce in divenire la complessa realtà di un paese dilaniato, uno studio illuminante per chi voglia provare a districare il garbuglio degli anni Settanta, la trama venefica dei revisionismi, delle riletture ideologizzate, delle storture operate subdolamente nel corpo martoriato della Storia. Una narrazione che, partendo dalla biografia di un ragazzo, seguendone la crescita di una coscienza civile, insieme col nascere e il costruirsi di una cultura popolare, di una lotta di classe, si amplia, travalica le mura della città in cui gli atroci fatti ebbero luogo, per affrontare i principi costitutivi di uno stato di diritto, coinvolgere i conflitti fra persona umana e istituzioni, indagare la natura del potere, con la lancinante consapevolezza che “giustizia non è stata fatta”.

Dunque, la vicenda di Franco Serantini è diventata Storia: di una città, di un paese in trasformazione violenta, di noi tutti. E la Storia non va giammai dimenticata, pena il ripiombare nella barbarie che sempre minaccia questo nostro disastrato paese: “Era come un destino segnato, il suo, una vita e una morte che sembrano inventate, uscite dalle pagine di un romanzo dell’Ottocento. E invece è una storia d’orrida realtà, che mai dovremmo dimenticare”.