Non deve stupire se in un paese come il nostro, caratterizzato da una plurisecolare tradizione culturale cristiano-cattolica, l’Apologia pro vita sua di John Henry Newman sia divenuto, nel tempo, un long seller. L’Apologia, infatti, giunge oggi alla terza edizione, per i tipi di Jaca Book, a poco più di cinquant’anni dalla prima pubblicazione, realizzata da Vallecchi nel 1970, con la traduzione della poetessa Margherita Guidacci e dal sacerdote e studioso Giovanni Velocci, e con un apparato testuale ulteriormente consolidato dalla snella ma appassionata introduzione di Luca Orbetello.
Non deve stupire, soprattutto, se si considera l’alta qualità letteraria e filosofica del testo, per il quale l’ascrizione al genere autobiografico è intrinsecamente legata alla querelle filosofico-religiosa, iniziata nel 1864, tra Newman e Charles Kingsley. Quest’ultimo aveva accusato Newman, all’interno della più tradizionale polemica letteraria (Kingsley scrive queste parole all’interno della recensione di un libro, History of England, del seguace di Carlyle, James Anthony Froude) di non “ritenere la verità una virtù”, coerentemente con l’atteggiamento mantenuto, in linea più generale, dal clero cattolico, certamente inviso all’anglicano Kingsley.
Newman non si limita a rispondere all’accusa infamante di Kingsley con una difesa personale o, per altri versi, con una difesa della Chiesa cattolica romana, ma fonde entrambi i propositi in un’opera che acquisisce dimensioni notevoli, mostrando una caratura letteraria e filosofica paragonabile a quella del suo più famoso e certo predecessore, Agostino con le sue Confessioni. Cor ad cor loquitur, del resto, è la citazione agostiniana scelta come motto cardinalizio da Newman; sempre nell’Apologia vita sua, poi, questa conversazione interiore prende la forma della famosa polarizzazione myself and my Creator, ossia il commercio tra gli unici due enti, secondo Newman, caratterizzati da un’essenza luminosa e auto-evidente all’interno della coscienza e conoscenza di ogni singolo uomo.
Quella di Newman è, dunque, un’autobiografia che nasce da una polemica e continua all’interno di un solco intimamente dialogico; tuttavia, non è questo che sembra ancora intessere una conversazione con il lettore di oggi. Né lo è, se non per articolo di fede, la rivalutazione newmaniana in senso al pensiero cattolico, promossa, tra l’altro, dalle più alte sfere, con l’inserimento delle opere del cardinale britannico tra i livres de chevet da parte di Benedetto XIV e con la canonizzazione di Newman operata dal suo successore, Francesco I, nel 2019.
A dare un’immagine ancora viva delle opere di Newman può essere soltanto un’operazione editoriale come quella avviata da Jaca Book con la pubblicazione dell’opera omnia di Newman, della quale l’Apologia pro vita sua rappresenta il quarto volume. In altre parole, è nel ripercorrere il cammino biografico, intellettuale e spirituale di un importante teologo dell’Ottocento, nel passare attraverso l’Oxford Movement (di grande importanza nella cultura britannica del secondo Ottocento, con un’influenza determinante sulla produzione di autori come Gerald Manley Hopkins e Christina Rossetti), precedentemente promosso da Newman come possibile mediazione tra cattolicesimo e anglicanesimo e affatto ripudiato (come si legge tra le righe della presentazione di questo volume) nell’ultima parte della sua vita, che occorre inserire la lettura dell’Apologia pro vita sua. Senza farne, a propria volta, apologia.