“Sylvie ormai era morta e non provava dolore. Le avevano detto addio.”
Tre amiche settantenni – Jude, Wendy e Adele – si trovano insieme per il weekend di Natale nella casa sul mare di una quarta amica, Sylvie, morta qualche mese prima.
Siamo in Australia, l’atmosfera natalizia è segnata da passeggiate sulla spiaggia, sole, qualche temporale estivo. L’intento non è quello di passare qualche giorno di vacanza, rilassandosi guardando l’oceano e ricordando l’amica morta, ma di ripulire la casa di Sylvie. E proprio l’assenza di quest’ultima mette in evidenza i contrasti e le idiosincrasie che sono sul fondo di un’amicizia lunga più di quarant’anni. Sylvie era l’anima, il cuore pulsante di questa legame, e ora che è venuta a mancare sembra che tutto possa cadere a pezzi per queste tre donne, tra di loro molto diverse e che si trovano a dover fare i conti anche con un’altra verità ineluttabile: la vita scorre via velocemente e l’energia della gioventù lascia il posto ai mali della vecchiaia.
“Da quando Sylvie non c’era più, era come se Adele, Wendy e Jude fossero mal assortite. Prima erano in quattro, c’era una simmetria. Quando andavano in vacanza prenotavano due doppie. A tavola c’erano quattro posti, due per lato. Ora invece si era creato un vuoto terribile, innaturale.”
Jude è la più severa e concreta, abituata dal suo lavoro come responsabile di sala nei ristoranti, ad affrontare problemi e cercare soluzioni nel risolverli. Una donna solida, ma, come per tutti, anche Jude ha le sue debolezze, che per lei sono rappresentate dall’amante sposato con il quale vive una relazione clandestina da decenni.
Wendy, un tempo brillante intellettuale e scrittrice, che ancora gode di una certa fama nell’ambiente accademico e di pubblico, dimostra una fragilità maggiore rispetto alle altre; è diventata una vecchia signora trasandata, la testa fra le nuvole che le provoca qualche problema. E poi c’è Adele, l’attrice, famosa in gioventù per il suo bellissimo corpo, di cui rimane ancora una visibile traccia, frivola e all’apparenza senza pensieri, ma che si trova in una situazione difficile, dopo aver sperperato allegramente i guadagni della carriera, ora è senza lavoro da anni, buttata fuori di casa dalla convivente e priva di mezzi finanziari.
Al centro di questa breve convivenza c’è, però, Finn, il cane che, anni prima, Sylvie ha regalato a Wendy per aiutarla ad affrontare la morte del marito. Finn è il personaggio centrale di questa bellissima storia: è un cane vecchissimo, sordo, quasi cieco e che si muove con fatica, incapace di trattenere i bisogni e che spesso si lascia andare a ululati spaventosi, odiato da Jude per essere una presenza ingombrante, imprevedibile e ingestibile. E forse è proprio questo il motivo per cui Jude non sopporta la sua vista, perché Finn è un simbolo, quello della vecchiaia vista nel suo aspetto più crudo, con le sue debolezze, il decadimento fisico e mentale, l’impossibilità di lavorare, amare, essere ancora considerate persone in tutto e per tutto, e non solo “anziane”.
“Ma ormai Adele aveva più di settant’anni, disse la voce dubbiosa nella testa di Wendy. Nessuno ti vuole più quando sei vecchia. Devi farti trovare pronta. Devi affrontare la peggior versione possibile del futuro, devi prepararti. Anticipare, adattarsi, accettare.”
Non solo, nei suoi pochi momenti di lucidità, lo sguardo di Finn assume una profondità tale da dare l’impressione, alle tre donne, di osservare negli occhi del cane lo sguardo di Sylvie, come se il suo spirito si fosse impossessato del corpo dell’animale per poter comunicare ancora con loro. Ed è proprio in questi momenti che Jude, Wendy e Adele realizzano quanto forte e importante, seppur difficile, possa essere l’amicizia che le lega da una vita.
“Il cane si voltò ma Jude non riuscì a guardarlo negli occhi. Le stava succedendo qualcosa di incomprensibile.”
Charlotte Wood, scrittrice australiana molto popolare in patria e vincitrice di numerosi premi, tanto da essere considerata una delle personalità più influenti del suo paese, ha scritto sei romanzi e due saggi. Il weekend è uscito in patria nel 2019 ed è il primo libro di questa scrittrice originale e un po’ provocatoria, come è stata definita dalla critica australiana, tradotto in Italia.
Il weekend è un romanzo profondo e divertente allo stesso tempo, meravigliosamente bello per l’empatia che trasmette al lettore e per l’intensità del suo stile narrativo, per le descrizioni del paesaggio, per la grande ironia e il realismo con cui la Wood riesce a trattare temi non facili da rendere senza incappare in cliché stereotipati, come la vecchiaia e il suo decadimento, il rimpianto e le delusioni della vita, l’amicizia al femminile, la morte delle persone amate e la capacità di darsi sempre una seconda possibilità.
“A volte si sentiva come sul punto di scoprire qualcosa di molto importante – sull’esistenza, sul tempo oltre la giovinezza e l’amore, su quel lungo cammino misterioso che era la vita di una persona – ma non era ancora riuscita a comprenderla del tutto.”
Questo non è un romanzo solo per “settantenni”, che potrebbero identificarsi meglio nelle tre magnifiche protagoniste, è un romanzo per tutte le età, perché non è mai troppo presto per capire quanto sia importante non sprecare il tempo che ci è dato – e che in gioventù sembra infinito – e amare la vita sempre, in ogni momento e fino al suo ultimo istante.