Dresda, 1976. Immaginate di essere adolescenti e innamorati nella Germania orientale, con il mondo adulto intorno a voi ingrigito e abbrutito dal controllo – le generazioni dei più anziani addirittura nostalgiche del nazismo –, e immaginatevi a scuola intenti a giurare fedeltà alla patria socialista mentre i vostri amici e le vostre amiche, ben forgiati dalla propaganda di regime, vi spiegano che “il futuro del capitalismo è una catastrofe”. Ecco, in questo contesto il vostro amore è sparito: inghiottito nel nulla dopo una nottata con amici nei boschi e la severissima polizia vi accusa di favoreggiamento di fuga dalla Repubblica Democratica.
Il nostro bisogno di evasione, che attraversa ciclicamente tutte le età della vita – evasione dal quotidiano, da tutto ciò e da chi non ci soddisfa più –, è sempre impastato di segreti e bugie, silenzi e tradimenti: la storia d’amore di Karin Köhler e Paul Forster, raccontata dalla tedesca Charlotte Gneuss (1992) in questo I confidenti (Gittersee, 2023), non fa eccezione. Karin e Paul si amano anzi, si sono amati: a lei di lui restano solo sbiaditi ricordi, mutevoli, sempre più evanescenti, qualche segreto condiviso e certamente molte bugie.
Qui i topoi classici dell’adolescenza – la crescita, la scoperta, le trasformazioni del corpo e il rapporto con gli adulti – sono schiacciati da una cappa pesantissima (ben raffigurata dal cielo perennemente bianco): la voglia di fuga (frustrata) aleggia mestamente un po’ su tutti i personaggi (“qui non ce la faceva più” dice qualcuno a proposito di Paul) e, a ben vedere, su tutta la geografia di una nazione paralizzata che sottotraccia ribolle di desideri. Amore, amicizia, sesso, allontanamento, abbandono e la voglia di raggiungere altezze che permettano di rifiatare ben disegnano una realtà claustrofobica e repressiva.
E tuttavia, il potere sa avvicinarsi mellifluo, circuisce e seduce: non ha bisogno della sola repressione per mantenere controllo e ordine. Gneuss raffigura perfettamente il modo in cui il potere ci fa desiderare di fare cose che non avremmo mai voluto fare, sa lusingare certe nostre qualità nascoste o sottovalutate affinché siano messe al servizio di cause ignobili. E spesso lo fa – come nella peggiore tradizione dei regimi totalitari – dando l’impressione di saper leggere nel pensiero. Il potere ci fa amare ciò che ci controlla e ci opprime in un gioco ben oliato con il piacere. Karin e Paul, Rühle, Maria e Wickwaltz e tutta la ricca galleria di personaggi che popola questo romanzo delicato e appassionante mostrano come costruiamo le nostre relazioni su confidenze e complicità che ci fanno condividere con gli altri cose anche inaudite: perché custodiamo, certo, i nostri segreti più reconditi ma più di tutto siamo custodi di segreti altrui la cui destinazione finale non è mai certa anche se forse è la stessa dove finisce la verità polverizzata.
Con questa traduzione la casa editrice Iperborea ci regala un altro tassello di Nord Europa sorprendente, dove il clangore severo del regime della DDR è presente ma quasi sordo e la vera cifra è una malinconica tenerezza a tinte tenui, dalla quale baluginano come lampi improvvisi la scoperta di un’emotività anche carnale di giovani corpi che si cercano, si fondono, si mancano. Anche grazie a un uso originale del discorso indiretto libero che mescola in un continuum voci e fatti, Gneuss racconta un micro-universo nel quale la scomparsa di una persona è, allo stesso tempo, l’interruzione del futuro ma anche la metafora di un eclatante balzo in avanti: la ricerca di un oltre terrificante e affascinante, un salto nel buio al di là di una routine che scegliamo di abitare per paura del cambiamento.