Patria raccoglie una serie di pensieri e istantanee di Graziella Mapelli, una bambina di Trezzano sull’Adda che alterna e confronta le sue percezioni tra sfera pubblica e sfera privata in un’epoca, quella del Fascismo, in cui la penetrazione della dittatura si fa profonda e tenta di connettersi direttamente alle menti di tanti bambini italiani.
L’autore è Bruna Martini, la nipote di Graziella, fumettista divisa tra l’Italia e l’Inghilterra, dove ha lavorato nel campo delle immagini trattando temi sociali, dell’immigrazione, della condizione delle donne. Lo sfondo è quello della graphic novel che alterna strisce a fumetti, disegni a una pagina, reperti e documenti dell’epoca fascista, dove l’elemento ordinatore è quello della vita quotidiana della piccola Graziella, la primogenita di una famiglia numerosa, come auspicava il regime fascista.
La prima lettura lascia la piacevole sensazione di una storia delicata, di una purezza bambina in cui le contraddizioni sono appena accennate e richiedono, per essere apprezzate, lo sguardo storico del lettore, il giudizio politico a posteriori sulla dittatura italiana. Martini seleziona i diversi livelli di coinvolgimento della piccola Graziella, che vive in una famiglia amorevole dove sviluppa rapidamente i propri affetti, ma che nella scuola è direttamente coinvolta nella creazione della sua identità collettiva pianificata dal fascismo. Ogni aspetto della vita sociale, delle attività sportive e culturali, dell’apprendimento, è declinato all’interno del progetto di una dimensione collettiva del Fascismo che non chiede una formale adesione, una rispettosa obbedienza, ma intende creare un sistema di assoluta e fanatica condivisione ideologica. Il termine “ideologico” in questo caso è da intendersi all’interno di una visione totalizzante in cui niente è al di fuori del Fascismo, ogni privato è negato, ma le forme della socializzazione devono essere preordinate e sinceramente applicate, vissute. In questo senso svolge un ruolo fondamentale l’educazione fascista rivolta ai bambini, in assoluta consonanza con l’esperienza nazional-socialista in Germania, in quanto rivolta a individui non ancora segnati da esperienze diverse da quelle previste dal Regime. Così ogni buffonata e ogni orrore sono insegnati e ripetuti nelle scuole affinché, diventati adulti, i giovani del littorio non vivano alcuna contraddizione nella pratica della politica violenta e razzista del Fascismo.
Non sfugge all’autrice che la stessa dimensione impositiva e acritica che sua zia, allora bambina, subiva attraverso la scuola non era poi così differente a quella rivolta ad adolescenti e adulti, tutti immersi in una totalizzante realtà in cui non esisteva alcuna alternativa. Ricordiamo che zia Graziella, nata nel 1932, inizierà le scuole elementari all’apice del consenso nazionale al Fascismo, dopo l’infamia della Guerra di Spagna e la retorica dell’avventura coloniale, nel delirio della promulgazione delle leggi razziali e dell’invenzione della razza ariana italiana. Un dramma che non sta vivendo solo Graziella, ma con lui l’intera generazione di cui fa parte.
Ma, a una seconda lettura, Patria consente di intuire nella mente in evoluzione di Graziella quei “vizi di forma” (da intendersi proprio nella definizione che ne dà Primo Levi e che rimane oggi la più efficace osservazione filosofica della catastrofe etica del Fascismo) che consentiranno di guardare la guerra, la distruzione, le torture e le morti con occhi diversi da quelli che il Regime di era illuso avere programmato. “Le sconfitte militari e la grande povertà spinsero i Partigiani a lottare per la libertà”, così è scritto in una delle ultime pagine del libro, una delle artisticamente più belle, che alterna disegni, fotografie e ritagli in un’atmosfera grigia, bianca e blu, dedicata al XXI anno dell’era fascista, che poi è quel 1943 dilaniato da eroismo e vigliaccheria, opportunismo, violenza e sacrificio. I vizi di forma sono impersonati dal leggero scetticismo in un amico immaginario, una creatura fantastica che accompagna Graziella lungo tutta la sua infanzia e che si offre come contraltare agli slogan della propaganda, che sussurra un dubbio leggero. Questa bella immagine è la metafora di un’Italia diversa da quella pianificata dalla scuola fascista e che si è scrollata di dosso appena ha potuto la cappa del “credere, obbedire, combattere”, proprio a partire dal credere all’unica voce di Benito Mussolini e del suo apparato. Un libro da leggere perché, come è scritto in ultima pagina, “c’è sempre un’alternativa agli errori del passato”.