Nel 2008 fu pubblicato per l’editore Medusa di Milano, uno dei testi di saggistica più atipici e interessanti mai dedicati alla letteratura vampirica: Il vampiro innominato. L’autore, Renato Giovannoli, allievo di Umberto Eco, era già noto per numerosi testi critici di grande originalità e pregnanza: ricordiamo fra i tanti La scienza della fantascienza (Bompiani 1982, 2015), Elementare, Wittgenstein! Filosofia del romanzo poliziesco (Medusa, 2007), Jolly Roger, Le bandiere dei pirati (Medusa, 2011), Come costruire la biblioteca di Babele (Medusa, 2015), e i tre volumi di La bibbia di Bob Dylan (Àncora, 2017, 2018). Partendo dall’omeomorfismo delle strutture narrative dei Promessi sposi e del Dracula, Giovannoli aveva identificato un preciso percorso manzoniano che attraverso espedienti recuperati dalla tradizione del romanzo nero [Silvia Arzola, “Da Polidori a Varney”, Pulp], come quello del falso manoscritto ritrovato, ripreso da Il castello di Otranto di Horace Walpole o di personaggi come i religiosi dannati, gli Ambrosio e Matilda de Il monaco di Matthew Gregory Lewis, o il monaco Schedoni de L’italiano, o il confessionale dei penitenti neri della Ann Radcliffe, conduceva all’“Anonimo” seicentesco riscritto dal casuista ottocentesco e alla Geltrude del Fermo e Lucia, in seguito Gertrude de I promessi sposi.
La necessità di Alessandro Manzoni di “depurare il romanzo dal romanzesco, liberarlo dal fantastico per ricondurlo alla realtà”, proprio degoticizzandolo, riducendo le parti perturbanti e scandalose, trasforma un romanzo nero, di genere – Fermo e Lucia – in un romanzo mainstream – I promessi sposi – in cui la reticenza e l’ellisse – “La sventurata rispose (…) se in vece di cercar lontano, si fosse scavato vicino” – sostituiscono i dettagli truculenti e gli aspetti sensazionalistici.
È cruciale nell’eredità letteraria del capolavoro manzoniano il passaggio attraverso Edgar Allan Poe, lo scrittore che inventa la letteratura moderna: crea i generi principali (mystery e science-fiction), rinnova e stravolge il Gotico (“non della Germania ma dell’anima”), definisce lo stream of consciousness in prima persona di una personalità deviante (senza di lui niente Fëdor Dostoevskij e forse nemmeno James Joyce), e inaugura la poesia simbolista.
Non tutti sanno che Poe lesse in traduzione inglese I promessi sposi nell’edizione ventisettana e lo recensì entusiasticamente sul Southern Literary Messenger nel 1835: il tema parallelo del dominio e del contagio – come lo definisce ancora Giovannoli – che Manzoni aveva attinto dalla tradizione del romanzo nero settecentesco, passa così, attraverso Poe – in racconti come “Re peste”, “La maschera della morte rossa”, od “Ombra” – a Sheridan Le Fanu [Pezzini – Scotti] e a Stoker e si secolarizza infine nei pulp dei tardi anni Venti, trasformando il gotico in noir. Il soprannaturale e il metafisico diventano metropolitane derive psichiche, sociali ed esistenziali, il vampiro si reincarna nella vamp e la belle dame sans merci si trasforma nella dark lady dell’hard-boiled e del film noir. Il tema gotico del dominio e del contagio si adatta ai momenti storici e ai luoghi più diversi, ma resta immutato nella sua essenza attraverso la molteplicità delle sue declinazioni: la peste e il despota Don Rodrigo; la Morte rossa e il Principe Prospero; Dracula e il morbo vampirico; Nosferatu e l’incombere totalitario del Führerprinzip; il Continental OP di Dashiell Hammett e la Poisonville criminale di Piombo e sangue (Guanda, 2002); la Los Angeles degenerata in cui si muove Philip Marlowe; l’inferno in terra capitalistico di Jim Thompson; i serial-killer borghesi di Derek Raymond; gli assassini mercenari di Jean-Patrick Manchette; e così via. Il Gotico si è sempre articolato attraverso una dialettica fra realismo e allucinazione: l’horror e il noir si pongono così, se non esattamente come polarità opposte all’uno e all’altro estremo, come segmenti contigui e simmetrici di una stessa traiettoria. Nel terzo capitolo del saggio Giovannoli traccia poi un calendario comparato sovrapponendo quello liturgico – dislocato fra maggio e novembre – che scandisce I promessi sposi e il suo satanico rovesciamento, che segna invece l’altrettanto precisa liturgia anticristica del Dracula di Stoker.
Entrambi i romanzi terminano con un happy ending – effettivo in un caso, apparente nell’altro – in cui il bene trionfa e l’eroina partorisce una degna prole; ma – suggerisce Giovannoli in accordo col critico inglese Leonard Wolf, – in Stoker il figlio di Mina potrebbe essere progenie non di Jonathan Harker ma di Dracula stesso, che l’ha “contaminata” avendo intrattenuto con lei rapporti la cui natura intima non è mai stata chiarita. Il significato esotericamente satanista del romanzo, nascosto sotto un cattolicesimo di facciata, è il messaggio stokeriano implicitamente passato nella mitologia vampirica, anche e soprattutto cinematografica, successiva: l’epidemia non può essere fermata, il contagio continua.
Nei capitoli seguenti del suo straordinario saggio, Giovannoli va a snidare altri vampiri innominati, vampiri taciuti, quasi invisibili ma presenti. Il primo si trova nell’Ulisse di Joyce, altro irlandese come Stoker, ed è evocato da Stephen Dedalus nel breve poema che scarabocchia su un frammento strappato dalla lettera che Deasy l’ha incaricato di consegnare alla redazione del Evening Telegraph:
On swift sail flaming
From storm and south
He comes, pale vampire
Mouth to my mouth.
Tradotto da Gianni Celati per l’edizione Einaudi con queste parole:
Dalla vela veloce infiammata,
Uscito dove il fulmine scocca,
Il pallido vampiro in una vampata
Pone la bocca sulla mia bocca.
L’evocazione del Cantico dei cantici in chiave vampirica rimanda al fantasma della madre che gli apparirà nell’incubo del quindicesimo episodio, corrispondente a Circe nell’Odissea, per la quale Dedalus userà i termini ghoul e corpsechewer, e alla Gerty MacDowell del tredicesimo episodio, associata a un volo di pipistrello che le svolazza intorno mentre flirta con un prete da cui è andata a confessarsi. Il vampiro femmina joyciano fa pensare, ancor più che a Dracula, all’influsso dell’opera di un altro irlandese: Joseph Sheridan Le Fanu e la sua Carmilla.
E forse la vera patria dei vampiri non è la Transilvania ma l’Irlanda. Altre ascendenze draculiane Giovannoli troverà ne Il Castello di Franz Kafka, la cui prima parte riecheggia parodisticamente l’esordio dell’avventura di Jonathan Harker diretto a Castel Dracula (Kafka potrebbe aver letto la traduzione tedesca eseguita da Heinz Widtmann nel 1908 e visto il Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau, uscito nel 1922, stesso anno della stesura de Il castello); gli incontri erotici di K. con Frieda assuonano quello di Jonathan con le tre mogli vampire di Dracula. Il conte Westwest però, a differenza del conte Dracula, non si mostrerà mai. L’ultimo vampiro innominato è niente meno che il Peter Pan di James Matthew Barrie, un non-nato simmetrico al non-morto, puer aeternus e demone psicopompo, Pan come il dio Pan, orfano e aborto, abbandonato dalla madre ninfa per il suo sgradevole aspetto caprino: un rapitore di bambini come Lilith, come le striges e le lamiae e come Dracula stesso che rapisce neonati per sfamare le mogli vampire. Mai il vampirismo ci aveva condotti così lontano…