Stai andando in taxi in aeroporto e il tassista ti chiede, cortesemente, se hai un percorso che preferisci. Secondo Cass R. Sunstein la maggioranza di noi sarebbe leggermente irritata dalla richiesta perché, nell’ordine: a) pensa sia il lavoro del tassista scegliere il percorso migliore, b) esiste Google Maps, c) stava pensando ai fatti suoi. L’autore ne deduce che, posta ogni giorno davanti a una scelta che esorbita dalle sue immediate competenze, la gente in genere preferisce essere sollevata dall’incombenza di doversi informare e decidere. Ad esempio, quando deve scegliere una polizza assicurativa obbligatoria e il modulo da compilare gli risparmia la fatica proponendogli una comoda polizza di default. Chi scrive ne deduce anche che Sunstein raramente ha preso un taxi a Fiumicino e ha quasi sempre viaggiato in nota spese.
Cass R. Sunstein, già tecnico di gabinetto nel primo governo Obama (2008), è un influente docente americano di diritto amministrativo e costituzionale ma soprattutto un convinto comportamentista. Su ciò che chiama “l’architettura delle scelte” e, in particolare, sull’approccio che definisce “paternalismo libertario” ha costruito la sua fortuna, sfornando decine di libri e centinaia di articoli negli ultimi anni. Gli esempi in apertura rimandano direttamente a un concetto chiave del Sunstein-pensiero, riproposto a tamburo battente anche in questo libro: il nudge. Il nudge è, fondamentalmente, uno scivolo, un “aiutino” con cui il sistema semplificando la complessità favorisce l’individuo ad agire nel suo proprio interesse. Un tema non da poco perché il sistema, grazie a smartphone e a piattaforme digitali, si trova oggi nella posizione di conoscere predittivamente sempre meglio il comportamento e le preferenze del singolo: un tema enorme – quello dei big data e, in collegato, dei “crediti sociali” – qui genericamente richiamato nell’introduzione ma poi sostanzialmente non sviluppato nella trattazione.
È importante osservare che, almeno in teoria, Sunstein non contrappone agli interessi particolari del singolo quelli più generali della società, del pianeta, della specie umana, etc. Al contrario, il protagonista della storia resta più o meno sempre l’homo economicus, il soggetto descritto di John Stuart Mills all’alba del liberalismo economico, l’unico davvero titolato a decidere cosa sia meglio per sé stesso. Il problema, secondo Sunstein, è che, come dimostrato da autori come Daniel Kahneman e altri padri del Behavioral Economics a cui fa riferimento, il singolo spesso decide in modo irrazionale, affidandosi a euristiche e pregiudizi cognitivi, o anche per semplice mancanza di tempo o di interesse percepito. Il nudge – l’aiutino a fin di bene, il valore di default proposto al momento giusto – offrirebbe un modo per ovviare a questo fastidioso fenomeno preservando la libertà di scelta, e infatti può sempre essere rigettato dall’interessato (in alternativa alla polizza proposta posso, ad esempio, documentarmi e scegliere tra 18 compagnie assicurative).
Come ogni scorciatoia, naturalmente, il nudge può funzionare o meno, come può persino favorire un atteggiamento di rifiuto a priori (reattanza) del comportamento suggerito, percepito come manipolazione del consenso, ma del resto la filosofia del “paternalismo libertario” non esclude, in caso di fallimento, strumenti più drastici (divieti, sanzioni etc) o più responsabilizzanti (migliore informazione, etc). In certi casi il legislatore può anche scegliere di intervenire indirettamente, imponendo ad esempio a chi eroga un servizio di tutelare l’utente finale richiedendo il consenso informato: obbligo che il provider, a sua volta, potrebbe, come spesso succede, provare ad aggirare con un “contro-nudge” più o meno ingannevole, facendo leva sulla nostra avversione al rischio o altri bias dell’utente.
In generale, Sunstein è un fervente sostenitore dell’approccio pragmatico, che intende valutare un provvedimento esclusivamente in base ai suoi risultati e che diffida delle norme espressive di un impianto valoriale, in quanto potenzialmente controproducenti e divisive. Diffida, insomma, della “politica”, non solo politicante. Ad essa antepone la tecnica amministrativa e un mix di soluzioni minimaliste e cost effective che nell’America centrista di Obama potevano suonare attraenti sia per i conservatori che per i liberali.
Come avviene il cambiamento raccoglie una trentina di articoli e di saggi recenti, con una selezione abbastanza ridondata e insistita dei temi cari all’autore a cui, per inciso, difetta completamente l’appeal divulgativo di Kahneman o, anche, la perizia narrativa di un Taleb (per restare tra i pensatori comportamentisti alla moda). Il titolo stesso risulta piuttosto fuorviante, e la promessa iniziale di illuminare almeno la meccanica di fenomeni sociali, come il trumpismo o il #metoo, resta, appunto, una promessa e basta. Eppure è un libro a suo modo esemplare del canone “tecnocratico” tuttora vigente nell’impronta amministrativa che né la pandemia né la crisi del neoliberismo sembrano per ora aver scalfito, soprattutto da questa parte dell’Atlantico.
Come osserva The New Republic, in una stroncatura senza appello del volume, “a leggere How Change Happens sembra di essere ancora al 2008: i mercati sono efficienti, la torta cresce per tutti, e gli esperti possono essere ritenuti in grado di risolvere qualsiasi minore criticità emerga dal contratto sociale”. Uno scenario ben diverso dall’America del 2021 per come può apparire oggi, ridimensionata dal declino imperiale, spaccata dalla paraclasi del privilegio e devastata dalla pandemia.