Carolyn Wells / Il delinquente ama i libri?

Carolyn Wells, Delitto in libreria, tr. di Fiorenza Conte, Giometti & Antonello, pp. 253, euro 28,00 stampa

La storia del romanzo poliziesco – “giallo” che dir si voglia e con tutte le diramazioni e gli attributi del caso – non manca mai di traslocare da un decennio all’altro, da un secolo all’altro visto che non occorre essere filologi, storici della letteratura (sì, della letteratura), aficionados, o ultras per rendersene conto. Battere le vie delimitate dalle bancarelle, o più modernamente (sic) i siti del web con annessi editori grandi, medi, piccoli, famosi o sconosciuti, di qualità o mediocri, significa darsi un compito al limite del realizzabile. Ma chi li frequenta sono uomini di passione, habitué di stazioni di varia nazionalità e cultura, tutta gente che in certi giorni si ritrovano ad amare libracci mal tenuti, o volumi accarezzati, quasi intonsi, come reliquie venute dallo spazio. Spazio psichico degli autori, s’intende. E chi se n’importa se già nell’Ottocento delitti e rovine – bibliofile o sentimentali – occupavano gran parte delle pagine di opere che nessuno oserebbe mai denigrare definitivamente, al netto di gusti, inimicizie e odi? Le tragedie (e le farse) vengono da lontano, e Eschilo ne sapeva qualcosa se persino Agata Christie se ne servì in abbondanza. Di assassini e assassinati, in presenza d’indagini o meno, shakespiriane o meno, sono piene le biblioteche e le librerie mercantili o private. E le cantine umide di coloro che proprio non riescono a separarsi da certi tascabili spiegazzati e ingialliti – questi stanno lontani dai traslochi come dalla peste.

I delinquenti di cui alcuni narratori raccontano le gesta sembrano non disdegnare carte, plichi più o meno misteriosi, documenti scomparsi e riapparsi, testamenti e volumi d’antica fattura o moderna, seguendo evidentemente le visioni (etiliche o cocainiche) di autori che sanno maneggiare gli intrighi più “neri” quando iniettano nelle loro pagine materiale caotico e pulviscolare. La carta, si sa, è gran produttrice di polveri. E inquietudini. La tradizione non è estranea al romanzo che Giometti & Antonello presentano in quest’ultimo lasso di tempo estivo, autrice quella Carolyn Wells che negli anni Quaranta fu portata da Mondadori alla conoscenza dei lettori italiani. Murder in the Bookshop, ora nella traduzione di Fiorenza Conte, riemerge dai fondi del genere “giallo” quando sotto quest’etichetta si esponevano romanzi diventati “classici” nel corso del tempo, definendo una volta per tutte il lettore di storie sensazionali, che con pazienza è stato in grado di darsi dignità come “risolvitore di rebus”, andando oltre in certi casi anche all’intenzione degli autori.

Delitto in libreria ci trasporta in un luogo in cui tomi polverosi si trovano a condividere lo spazio (chiuso, buio, asfittico) con il sangue degli uccisi mescolato a antichi manoscritti e pose maniacali di mercanti di libri e bibliofili disposti a vendersi madri, mogli e amanti pur di giungere al possesso di rarità, autentiche o fasulle che siano. L’importante è far credere l’artefatto, o il manipolatorio, come ben presto ci presentano le pagine di questo romanzo. Dove Flaming Stone, detective, amato dalla sua autrice al punto da dedicargli decine di storie. Murder in the Bookshop, allestito fra le due guerre, e obbediente all’humus british in voga, viene pubblicato a Philadelphia e Londra nel 1936, e poi a New York, presentandolo come primo bibliomistery del Novecento. Vero o meno, viene a galla come l’interesse morboso per i libri, e ciò che a questi ruota intorno, sia pericoloso – e nefasto. Qui non ci addentriamo nei luoghi e nei tempi dell’azione, basti sapere che c’è l’uccisione di un ricco e la sparizione di un prezioso volume autografato. Tutte cose che diverranno tradizionali fra i giallisti seriali, con importanti varianti a cui non bastano le citazioni. Il male, infine, ha aromi diversi quando s’incrocia a ambigui maneggi mercantili.

Una nota editoriale ci spiega che questo libro era in lavorazione quando l’editore Gino Giometti lasciava il mondo: da lui fortemente voluto, Delitto in libreria ora si presenta come omaggio dovuto e come “giocosa dichiarazione d’amore per l’oggetto-libro”.