I silenzi, a volte, riescono a essere rumorosi in un modo tutto loro – sono ingombranti, occupano tutto lo spazio che riescono a percepire attorno a chi, questi silenzi, li abita. Succede anche che i silenzi si estendano nel tempo e nella Storia, fino a cancellare la presenza di intere vite e di intere comunità. Basterebbe una parola a risvegliare coscienze lungamente narcotizzate ed esistenze annebbiate – una parola per rompere storie di silenzio.
È quello che accade nel romanzo di Caroline Bongrand, scrittrice e sceneggiatrice francese. Valentine ha un figlio, Milo, che dalla nascita è muto senza essere sordo – condizione inspiegabile tanto per i medici quanto per i suoi genitori. In particolar modo per il padre, che non riesce ad abbracciare completamente questo punto interrogativo. Basta una parola per rompere storie di silenzio ed è ciò che accade alla vita di Valentine. Milo comincia a vivere episodi di totale estraneazione da sé e dalla realtà dove, immerso in un altro luogo e in un altro tempo, pronuncia parole in una lingua straniera parlata in Grecia, da una ristretta comunità di ebrei – il ladino, o giudeo-spagnolo. Questo episodio prende inizialmente le sembianze di un’allucinazione per Valentine, che si ritroverà a inseguire fantasmi di una matriarca persa nel silenzio generazionale e di un sacrificio fatto per amore e protezione.
Ci catapultiamo con Valentine in una realtà storica a lungo tenuta taciuta – il destino degli ebrei di Salonicco, luogo di incrocio di popoli e civiltà fin da secoli remoti, che durante la Seconda Guerra Mondiale furono deportati in massa con il tacito consenso della città. In quella comunità ebraica Valentine riporta alla luce una bisnonna, Anna Perla Modiano – l’origine della sua famiglia, un tassello della sua storia rilegato nel buio di coscienze torbide. Valentine si ritrova circondata da fili una volta invisibili, la potenza dei legami le si dipana davanti, attraversando decenni e sacrifici, fino ad arrivare al mutismo di Milo e a una bambina, Seva, il cui sacrificio è il motivo per cui lei è lì. Sembra impossibile, irrazionale. Eppure, forse, questi fili non potevano rimanere a lungo tanto invisibili. Bongrand parla molto di anime nella concezione culturale ebraica – anime che vegliano sui discendenti per rimediare a qualcosa commesso nella vita precedente, anime che convivono in noi per adempiere a qualcosa.
Il viaggio di Valentine è anche un viaggio interiore alla ricerca di un modo per abbattere quel muro di silenzio che si era costruita attorno. Ricomponendo il puzzle della sua discendenza, Valentine si scontra con quelle anime che fanno parte del suo sangue, di storie famigliari taciute. In fondo basta una parola per rompere una storia di silenzio e Valentine non si limita a parlare, ma scava a fondo, urlando con il cuore che ricomincia il suo naturale pulsare di vita.