Dopo la guerra civile, in Spagna ci sono personaggi – soprattutto femminili – che passano per campagne e città, lasciando indelebili tracce, indelebili loro stessi nell’epoca, nelle traversie, portando con sé ferite profonde, lasciti non certo memorabili, ma anche incrollabile volontà nel separarsi da indigenze e violenze. Andrea, ragazza di limpidi diciotto anni in mezzo a strade e case polverose, giunge a Barcellona col fermo scopo di frequentare l’università ma si ritrova nel magma di una famiglia che non riconosce, ombrosa e strana, estranea almeno quanto il contesto in cui tutti quanti vivono.
Nada è un destino, suggerito già dal vocabolo, di chiaro significato. Un destino che qualcuno, una volta conosciuta la nuova arrivata, vorrebbe spingere altrove: Ena, compagna studentessa, sarà artefice di svolte nelle strane leggi che l’amica Andrea fatica a modificare. Ma le forze disposte in campo vengono ogni volta assorbite dal labirinto oscuro di quella casa in cui Andrea si ritrova, e teatro di personaggi dalle gesta per lei incomprensibili, refrattarie a sguardi che portano in sé i ricordi dell’infanzia. La ragazza indossa, improvvisamente e suo malgrado, le vesti di un angelo piombato su territorio ostile e occupato da reduci oltraggiati dalla guerra civile, nel loro intimo carichi di sentimenti capovolti. Settimane e mesi passano così fino al compimento di un anno: confusione e morte giungono a un orizzonte di salvezza da attraversare grazie alla custodia della compagna Ena. Madrid infine sarà luogo di liberazione, dopo che Carmen Laforet ci ha fatto varcare il buio – insieme ad Andrea – per circa 300 pagine dove sangue e allucinazioni vorrebbero la caduta di protagonisti – e di lettori – che infine non capitolano.
Quando nel 1945, a ventitré anni, Laforet fece uscire questo suo romanzo, il successo fu immediato. Nell’esausto panorama letterario spagnolo l’opera vinse un importante premio nonostante le previsioni annunciassero un altro nome ben conosciuto. Nada divenne il simbolo generazionale di una rinascita, e la sua giovane autrice esempio da imitare per una larga schiera di scrittori in esilio e in patria. La chica rara (così definita da chi applaudiva il suo successo) si trovò a lottare da lì in poi contro la pressione degli editori e la personale lotta con la sua scrittura, sempre in cerca di perfezione formale. Elvira Lindo, nella partecipe introduzione, considera quanto Laforet sia stata donna scrittrice “imperdonabile” (alla maniera di Cristina Campo), non figlia del suo tempo e nomade per sfuggire ai mondi consueti per vederne altri. La sua inattualità merita quella rilettura che oggi può competerle, e non limitata unicamente a Nada: questa nuova edizione potrebbe presagire ulteriori uscite andando a esplorare il vasto mondo dei suoi racconti e articoli giornalistici.