Nell’immaginario comune, il breve astro di Carlo Michelstaedter (1887-1910) è racchiuso dentro un’opera soltanto: il saggio filosofico La Persuasione e la Rettorica, tesi di laurea mai discussa (causa la morte improvvisa dell’autore) e stampata postuma tre anni più tardi, per volere dell’amico Vladimiro Arangio-Ruiz. Il pensiero di questo giovane e geniale autore goriziano è riassumibile nella dicotomia insanabile tra i due termini, mutuati dal Gorgia platonico: “persuasione” è la verità del tragico finire del mondo, di una serena compiutezza in sé; “rettorica” è il suo contrario, la costruzione di cuscinetti di comfort su cui atterrare, una volta che lo schopenhaueriano velo di Maya è squarciato. I persuasi (Cristo, Socrate, Eraclito, Eschilo, Ibsen, Tolstoj, Beethoven, Petrarca, Leopardi) sono, allora, coloro che hanno portato a fondo e con coraggio la consistenza dell’“ultimo presente”, non scivolando mai nel divertissement né rivestendosi degli “ornamenti dell’oscurità”.
Ragazzo inquieto e a suo modo religioso, mistico, Carlo ha cercato in tutte le forme della sua scrittura di rappresentare con ostinazione tale dura Weltanschauung, rimanendo fedele a sé stesso senza sconti, fino alle conseguenze estreme del sistema filosofico messo in piedi. La pubblicazione dei versi di Michelstaedter nell’elegante veste di Interno Poesia riporta alla nostra attenzione la fibra possente di un amore incondizionato per la vita che si svela per mezzo di una donna, divenendo esperienza estatica dell’alterità e dell’oltranza. Scrive Luca Campana nell’introduzione: “Il programma implicito nelle liriche proposte in questa antologia, quelle composte tra il novembre del 1909 e il settembre del 1910, è espresso chiaramente in una poesia scritta da Michelstaedter in Istria, a Pirano, nell’agosto del 1908, Amico – mi circonda il vasto mare: in essa si delinea l’orizzonte senza confini di un paesaggio che è ‘comunione di cielo e di mare’, nel quale l’io immerge lo sguardo. Accanto a lui sta una ragazza, definita φιλοβαθεία, ‘amica della profondità’: è Argia Cassini, la giovane amata da Michelstaedter negli ultimi anni della sua vita. È un nome, Argia, che cela in sé il segno della trasfigurazione lirica: infatti in greco antico significa quiete (’Αργία). La ragazza è paragonata a un’alga: come l’alga vibra anche lei, creatura marina, figlia della profondità, sirena”.
Com’è fatta la poesia di Michelstaedter? Si estende in strofe meditative che toccano i mesi e le stagioni (Marzo, Aprile, Giugno), vibra di un tremore esistenziale (Nostalgia), gioca con le antinomie (Il canto delle crisalidi), incastona parole greche (φιλοβαθεία) e forgia veri e propri poemetti (I figli del mare, con Itti e Senia come protagonisti). Itti e Senia: pesce, “con una allusione al carattere soteriologico del pesce come figura Christi nella cultura protocristiana”, e straniera. L’agognato “tu” è quello, come detto, di Argia, Senia appunto (chissà se Montale scrivendo gli Xenia abbia tenuto a mente la lezione michelstaedteriana): patria marina, donna della persuasione, “Euridice sprofondata”, e anche cifra di un possesso perduto, di un’unità franta, laddove la domanda di senso resta sempre la stessa, ed è identica, immutata per la poesia di ogni tempo: “Guardo e chiedo la vita / la vita della mia forza selvaggia / perch’io plasmi il mio mondo e perché il sole / di me possa narrar l’ombra e le luci – / la vita che mi dia pace sicura / nella pienezza dell’essere”.