Con la consueta raffinatezza tipografica Cliquot aggiunge un altro volume – in edizione speciale su carta pregiata fuori collana e in numero limitato di copie – alla bibliografia recuperata di un autore fino a pochi anni fa confinato nell’oblio ed oggi, grazie alle sofisticate riedizioni della intraprendente casa editrice romana, ormai assurto al ristretto ma significativo Gotha dei narratori fantastici, gotici, weird – che dir si voglia – di lingua italiana. Dopo il romanzo Gomòria. Racconto magico (ed. orig. 1921, Cliquot, 2018) e la raccolta di racconti I topi del cimitero (ed. orig. 1924, con gli inediti della raccolta Crudeltà, 1927, Cliquot, 2019), anche queste Leggende friulane, pubblicate originariamente nel 1924, confermano Carlo Hakim De’ Medici come uno scrittore ancora pienamente leggibile e fascinoso. Nato a Parigi nel 1887, figlio di un ricco banchiere, e vissuto oscuramente quasi sempre in provincia, a Gradisca d’Isonzo, vicino a Gorizia, De’ Medici, oltre a essersi nutrito di estetismo decadente – tradusse in italiano per Corbaccio nel 1929 il romanzo più sulfureo di J. K. Huysmans, Là-bas – sembra lui stesso un personaggio uscito da quelle pagine, forse meno Andrea Sperelli di D’Annunzio e più Totò Merùmeni di Gozzano. Misterioso, schivo, appassionato di occultismo, magia, ars goetia, e probabile autore di introvabili trattati su quelle astruse materie, i dati biografici su di lui sono vaghi e lacunosi: i collaboratori di Cliquot, in questo caso veri detective letterari (in particolare Furio Gaudiano, concittadino di De’ Medici), hanno solo recentemente individuato luogo e data di morte – Como, 1 ottobre 1956 – e un’unica foto, che però si riservano di divulgare in futuro (il che ci fa pensare che pubblicheranno altri testi dello scrittore e che la sua esigua carriera letteraria non finisca qui).
De’ Medici era, oltre che narratore, anche un pregevole illustratore e tutti i suoi volumi, compreso quest’ultimo, sono costellati di preziose immagini dal gusto in equilibrio tra il simbolista e il liberty, un ulteriore motivo di affezione per questo eccentrico misconosciuto che sostanzia l’interesse e quasi il culto nei suoi confronti da parte di Cliquot, da sempre profondamente concentrata sugli aspetti visuali e grafici della letteratura. In queste Leggende friulane, De’ Medici non si attribuisce le illustrazioni ma preferisce celarsi sotto lo pseudonimo/anagramma Cleo Miradic. Se il romanzo Gòmoria era una rilettura faustiana di À rebours di Huysmans, se I topi del cimitero guardava ai racconti crudeli di Barbey d’Aurevilly e di Villiers de L’Isle-Adam, queste Leggende friulane invece si inseriscono perfettamente nell’ambito del gusto neogotico e del revival medievaleggiante – in letteratura come in architettura e nelle arti figurative – tipico dell’epoca, avvicinandosi a una sorta di dark fantasy raffinato e morboso.
L’ambientazione geografica nel Friuli orientale, tra Gorizia, Gradisca e fino a Cividale; l’epoca storica, un Medioevo immaginoso in cui personaggi realmente esistiti, anche di epoche non esattamente coincidenti, e immaginari interagiscono; il rimando, assai libero, al folklore locale tutto questo fa pensare ai novellieri e alle croniche tardo-trecentesche. È ovviamente un’apparenza e nessuna delle leggende è autentica, ad esclusione, ma solo in parte, de La Dama bianca che prende spunto, di fatto quasi solo nel titolo, dal nome del fantasma che si dice infesti il castello di Gorizia. Più che il folklore friulano De’ Medici ha come riferimento il medievalismo romantico sulla scia di Walter Scott e del Metzengerstein di Poe: temi e figure più che classici, amori infelici e cruenti, damigelle murate vive da mariti gelosi, cavalieri crociati che lasciano il cuore in pegno in senso non metaforico, matrimoni combinati fra famiglie aristocratiche con patti non mantenuti e conseguenti conflitti, rose incantate, eremiti che scommettono la testa col diavolo per edificare cattedrali in una notte, vendette sanguinose, metamorfosi di fanciulle minacciate di stupro in statue di marmo, e così via secondo un codice noto per non dire abusato. Ma non sono le storie a fare di De’ Medici un autore così particolare, quanto lo stile in perfetta linea con la prosa para-dannunziana del periodo e con un tocco in più di dandistica dissolutezza e perturbante inclinazione al guizzo macabro e perverso.
Ci auguriamo dopo queste tre opere così diverse eppure così compatte nella forma e nella visione del mondo – ed è in fondo questa coerenza il tocco che rende tale un autore – di leggere presto altri capricci neri di De’ Medici, riesumati dall’infaticabile Cliquot, fossero pure i fantomatici grimori che pare abbia scritto, sicuramente maledetti almeno quanto il famigerato Necronomicon dell’arabo pazzo Abdul Alhazred.