Carlo Coccioli. Lo scrittore assente

Carlo Bo lo definì “uno scrittore alieno” mentre Pier Vittorio Tondelli, che gli dedicò un racconto nel suo Weekend postmoderno, lo nominò “lo scrittore assente”. Per parte sua Carlo Coccioli – morto vent’anni fa – ironicamente si definì “lo scrittore al macero”. La figura e l’opera di Carlo Coccioli sono state riconosciute internazionalmente più che in Italia. Un ritratto del  giornalista livornese Marco Ceccarini che lo conobbe nel 1994 e ne fu amico.

Lo scorso 5 agosto, un sabato, è caduto il ventesimo anniversario della scomparsa di Carlo Coccioli, uno dei maggiori scrittori italiani contemporanei, tra i pochi di caratura internazionale, il cui nome fu abbinato diverse volte, quando era in vita, al premio Nobel per la letteratura.

Medaglia d’argento al valor militare per aver organizzato una fuga dal carcere di Bologna, dove era stato recluso dai tedeschi che avevano catturato la sua squadra di partigiani sull’appennino tosco-emiliano, laureato in Lingue e letterature araba ed ebraica all’Istituto orientale di Napoli, Coccioli scriveva regolarmente in italiano, francese e spagnolo ed i suoi libri sono stati tradotti, spesso da lui stesso, in una ventina di lingue del mondo. Era un uomo di grande cultura ed intensa spiritualità. Nella sua vita ha attraversato, praticandole, quattro religioni: cattolica, ebraica, induista e buddista.
In Messico veniva considerato l’alternativa ad Octavio Paz. In Francia era stato definito il Gide italiano, con chiaro riferimento allo scrittore André Gide. In Portogallo ha avuto anche tre editori che contemporaneamente si contendevano le pubblicazioni dei suoi libri. Negli Stati Uniti gli venne affidata una cattedra di letteratura all’università del Texas.
Lontano discendente per parte di madre di Amedeo Modigliani, oggi Coccioli non è adeguatamente valorizzato, soprattutto in Italia, dove ha vissuto poco, avendo trascorso la gran parte della sua esistenza in Messico, ma dove ha sempre mantenuto una casa, prima a Firenze e poi a Livorno, città quest’ultima in cui prese la residenza negli anni Novanta.
Nato a Livorno il 15 maggio 1920, è scomparso a Città del Messico il 5 agosto 2003. È sepolto nel cimitero ebraico del villaggio messicano di Atlixco, nello stato di Puebla, ma aveva espresso il desiderio di essere seppellito nella cappella della famiglia Duranti, quella della madre, a Livorno.

Chi scrive, giornalista livornese, ha avuto modo di conoscere Coccioli poco dopo che, con il figlio adottivo Héctor Javier, aveva preso casa sugli scali delle Ancore, nel quartiere della Venezia. Si era agli inizi del 1994. Coccioli aveva acquistato quell’appartamento alla fine del 1993. L’occasione fu data da un’intervista. Fu in ogni caso il modo per conoscere il più grande scrittore nato a Livorno, autore tra l’altro di un bellissimo brano sulla città.
Il brano in questione era la prefazione alla voce “Livorno” dell’opera La Toscana paese per paese (Bonechi editore,1980). Mentre gli altri autori delle altre prefazioni centrarono i loro scritti sulla storia e sull’arte delle città da loro illustrate, lui puntò sull’emozionalità riuscendo a descrivere l’anima livornese in modo pressoché perfetto.
Nonostante sia conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, Coccioli in Italia non ha mai goduto di quella straordinaria popolarità di cui ha invece beneficiato altrove. Evidentemente c’è qualcosa che non funziona nel mondo culturale ed editoriale italiano, dal momento che “lo scrittore al macero”, come si autodefinì quando seppe che una casa editrice del Balpese aveva mandato al macero ben duemila copie di un suo libro nonostante non vi fossero problemi di vendita, è in realtà amato da molti lettori anche in Italia. Va reso merito al nipote, Marco Coccioli, di fare un grande lavoro per valorizzare non solo la memoria ma anche l’opera letteraria dello zio.

Il nome di Coccioli, negli anni Settanta, è stato accostato per ben tre volte al Nobel per la letteratura. Nel 1976 fu finalista al Campiello e vinse il premio Basilicata. Tra i premi ricevuti, inoltre, vi sono stati, solo per rimanere all’Italia, anche il premio Napoli e il Comisso.

Il critico letterario ed accademico Carlo Bo lo definì “uno scrittore alieno”, Curzio Malaparte definì i suoi dialoghi “taglienti, intensi, anche allucinanti”, mentre Pier Vittorio Tondelli, che gli dedicò un racconto nel suo Weekend postmoderno, lo nominò “lo scrittore assente”. In effetti la sua capacità di essere sulla scena letteraria italiana nonostante vivesse a migliaia e migliaia di chilometri di distanza era eccezionale.
Coccioli, nel privato, era una persona estremamente semplice che non ebbe problemi a dare al sottoscritto, giovane cronista, la sua disinteressata amicizia. Se con lui ti ponevi con “animo lindo”, come egli stesso diceva, era pronto a mettersi dalla parte di chi deve ancora imparare. Ma se ti ponevi in modo supponente o superbo, se eri altezzoso, o se per qualche motivo ti attribuiva anche a volte sbagliando un’intenzionalità negativa, ti gettava contro tutta la sua cultura, i suoi titoli, tutta la forza delle decine e decine di pubblicazioni tradotte in tutto il mondo.
La sua casa livornese, negli anni che vi abitò, fu un vero e proprio crocevia di intellettuali, uomini e donne di cultura. A casa sua chi scrive ebbe l’occasione di conoscere alcuni importanti esponenti della vita culturale toscana e livornese della metà degli anni Novanta. È stata, quella, un’esperienza che ha formato molto il sottoscritto sul piano personale e culturale.

I critici affermano che Coccioli ha avuto il merito di introdurre nei propri romanzi il tema dell’omosessualità in una modalità poetica di conciliazione con la fede. Ciò è vero. È stato, in questo senso, un precursore. Però va anche ricordato che, in tempi assai diversi da oggi, ha pagato duramente questa sua scelta. Non bisogna infatti dimenticare che, a causa dello scalpore che suscitò fin da subito con i suoi romanzi, agli inizi degli anni Cinquanta dovette abbandonare l’Europa per trasferirsi in America e in particolare in Messico, dopo che sul finire degli anni Quaranta aveva abbandonato l’Italia per la Francia.

Oggi, a vent’anni dalla scomparsa, è giunto il momento di riscoprire Carlo Coccioli per valorizzare il personaggio oltre che l’indiscussa originalità della sua opera letteraria. La cultura e la società italiana ed europea devono molto a quest’uomo parco ed ironico i cui romanzi sono stati spesso pervasi dalla sua esperienza religiosa in sovente mutazione. Il suo percorso di vita è stato anche e soprattutto un percorso spirituale. Non solo ha avuto il coraggio di parlare in modo esplicito dell’omosessualità, ma è stato anche uno dei primissimi a trattare il tema dell’alcolismo ed è stato un antesignano dell’animalismo. Era un grande cinofilo e si è battuto strenuamente contro la vivisezione animale.
Il senso del rispetto e la capacità di parlare di tutto senza pregiudizi sono forse gli aspetti che maggiormente hanno contraddistinto la sua persona. Nonostante la differenza di età, nonostante la diversa formazione politica e il differente orientamento sessuale, il sottoscritto ne fu sincero amico. Tanto che, quando tornò in Messico, volle che ad accompagnare lui e Xavier all’aeroporto di Pisa fosse proprio chi scrive.

Livorno gli ha intitolato una strada nei pressi degli scali Novi Lena dove era nato e gli ha conferito la Livornina d’Oro alla memoria. Una sala della biblioteca comunale Labronica è intitolata a lui. Tuttavia sarebbe importante che si avverasse quello che era un suo intimo desiderio, confidato a pochi amici, ossia avere una “targa piccina piccina”, come diceva lui stesso, al Famedio di Montenero. Coccioli rimase molto colpito, visitandolo, dal fatto che a Livorno, sul colle che sovrasta la città, esista un Famedio, come a Parigi e Milano, dove sono ricordati, con lapide, i livornesi illustri. Il Rotary Club Livorno ha già stanziato la cifra necessaria e ha fatto richiesta al Comune di Livorno, che a quanto risulta avrebbe espresso parere favorevole. Non appena le ultime questioni burocratiche saranno risolte, secondo quanto è stato riferito al Rotary, la targa potrà essere apposta.

Coccioli con Livorno è stato generoso. Quando risiedeva in città regalò tutte le sue opere letterarie al Comune. Ma soprattutto, come detto, nel testamento ha fatto dono alla città del suo inestimabile fondo culturale contenente manoscritti, carteggi, lettere private e missive pubbliche, perfino beni materiali. Si tratta di un lascito di inestimabile valore che arricchirebbe il patrimonio della città. Occorrerebbe però che tutto questo materiale, finalmente, fosse condotto da Città del Messico a Livorno.

Questa la bibliografia essenziale per chi vuole approfondire la conoscenza delle opere di Carlo Coccioli che ora sono in via di ripubblicazione nella collana “Piccolo Karma” della casa editrice Lindau:

  • Il cielo e la terra, 1950;
  • Fabrizio Lupo, 1952;
  • L’erede di Montezuma, 1964;
  • Documento 127, 1970;
  • Uomini in fuga, 1972;
  • Davide, 1976;
  • Requiem per un cane, 1977;
  • Piccolo Karma, 1987;
  • Budda, 1990;
  • Tutta la verità, 1995;
  • San Benjamin Perro, 1998.

Queste alcune pubblicazioni sulle opere o sulla figura di Carlo Coccioli:

  • Guido Sommavilla, Peripezie dell’epica contemporanea, Jaca Book, Milano, 1983;
  • Luca Orsenigo, L’ossessione dell’assoluto, l’epifania del sacro nella letteratura italiana contemporanea, Tirrenia Stampatori, Torino, 1990;
  • Francesco Gnerre, L’eroe negato, omosessualità e letteratura nel Novecento italiano, Baldini & Castoldi, Milano, 2000;
  • Neria De Giovanni, Le frontiere dell’uomo, Carlo Coccioli dall’Italia al Messico, Nemapress, Alghero, 2008;
  • Paola Ricci, Carlo Coccioli e la strega fatata, Bandecchi & Vivaldi, Pontedera, 2019.
  • Alessandro Raveggi, Grande Karma, vite di Carlo Coccioli, Bompiani, 2020;
  • Marco Ceccarini, Paola Ricci, Ricordi diversi, e-book, Articolo 21, Livorno, 2020.