Vampiri marxiani. Metafore che mordono

Karl Marx contro i vampiri

Marx voleva scrivere per i lavoratori e in effetti nei fumosi pub londinesi non si sottrasse mai al confronto [Luca Cangianti, Red Lion: “Il centro sociale di Karl Marx”, Carmilla on line]. Quando voleva, sapeva esser chiaro e convincente. Tuttavia trasmettere la sua opera a studenti universitari alle prime armi, oggi non deve essere un’impresa semplice, specialmente se fosse rappresentativa un’indagine di Edgar J. Manton e Donald E. English. Secondo questo studio, infatti, meno della metà degli intervistati è capace di riconoscere nel filosofo tedesco il “padre” del comunismo [Manton, Edgar J. and English, Donald E.; Economic Heritage: Adam Smith vs. Karl Marx; College Student Journal, v42 n2 pp. 375-380 Jun 2008].

A fronte di questo problema pedagogico Jason J. Morissette sostiene che la metafora del vampirismo applicata al pensiero marxiano offre grandi vantaggi perché sarebbe facilmente riconoscibile grazie alla vasta diffusione di romanzi, film e serie televisive che declinano in vario modo la figura del vampiro [Jason J. Morissette, Marxferatu: The Vampire Metaphor as a Tool for Teaching Marx’s Critique of Capitalism, PS: Political Science & Politics, 46(3), 637-642]. A detta di questo autore, così potrebbero essere agevolmente spiegate: la lotta di classe come antagonismo tra vivi e non morti; l’alienazione e lo sfruttamento come dissanguamento dei lavoratori da parte del capitale; la falsa coscienza come presentarsi ingannevole della realtà, come ipnotismo del capitale ai danni della coscienza di classe proletaria.

La biblioteca di Marx traboccava di testi fantastici e la figura del vampiro era molto diffusa negli anni formativi del filosofo: Goethe aveva pubblicato la poesia “La sposa di Corinto” nel 1797, [Fambrini – Vampiri tedeschi] John William Polidori, il medico di Byron, aveva dato alle stampe Il vampiro [Silvia Arzola, “Da Polidori a Varney”, Pulp] nel 1819 ed E.T.A. Hoffmann  Vampirismus [Fambrini – Vampiri tedeschi]  due anni più tardi. Infine Varney, il vampiro [Silvia Arzola, “Da Polidori a Varney”, Pulp] vide la luce per la prima volta nel 1847, ma ebbe un tale successo da generare molte imitazioni, fino a essere ristampato in fascicoli economici nel 1853.

Verso la metà dell’Ottocento il rapporto tra vampirismo e voracità capitalista [Michielin] era molto diffusa nella cultura popolare: Varney accumulava ricchezze, così come farà Dracula. La metafora del vampiro fu quindi utilizzata nei circoli della sinistra hegeliana, frequentati inizialmente da Marx, e poi dalla pubblicistica socialista. Da questo punto di vista non stupisce quindi che il filosofo tedesco menzioni il vampiro in molti testi storici e politici quali Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850 (1850), Il diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte (1852) e poi nell’Indirizzo inaugurale dell’Associazione internazionale degli operai (1864). Tuttavia nei Grundrisse il ruolo della metafora acquisisce uno status teorico più profondo. In questi quaderni di lavoro il filosofo afferma che “Nel capitale viene posta la perennità del valore… caducità che passa – processo – vita. Ma questa capacità il capitale l’ottiene soltanto succhiando di continuo l’anima del lavoro vivo, come un vampiro”. Qui la metafora capitale/vampiro diventa a tutti gli effetti costitutiva della teoria del plusvalore e dello sfruttamento mediante la dialettica tra il lavoro vivo, costituito dagli esseri umani lavoratori, e quello morto, cristallizzato nei mezzi di produzione, cioè nel capitale: “Il lavoro vivo si presenta come puro mezzo per valorizzare il lavoro materializzato, morto, per permearlo con un’anima vivificante e perdervi la propria”.

Ecco perché si può insegnare il pensiero marxiano con sessioni di binge-watching di True Blood e The Strain! Come ha notato su Jacobin anche Mark Steven il nesso tra capitalismo e horror vampirico non è meramente decorativo [Mark Steven, Reading Marx on Halloween, Jacobin]. Ma c’è qualcosa di ancora più generale che va messo in evidenza. Secondo alcune correnti di pensiero epistemologico la conoscenza scientifica procede creando strutture che modellano e indirizzano la stessa osservazione. Tali costrutti prendono a prestito concetti desunti dal linguaggio corrente, dall’esperienza pratica, dall’arte e dalla tecnologia. Spesso si tratta proprio di metafore e analogie che si comportano come modelli esplicativi: la rappresentazione di un circuito elettrico a mo’ di sistema idrodinamico; le molecole di un gas come palle da biliardo in movimento casuale; oppure nel nostro caso la legge del valore e del plusvalore come vampirismo. Grazie a tali dispositivi gli scienziati orientano le loro future ricerche, stabiliscono correlazioni e azzardano previsioni. Le metafore costituiscono una delle porte attraverso le quali l’esperienza pratica fa ingresso nella costruzione teorica e allo stesso tempo possono essere veicolo di comunicazione pedagogica e politica, in un’aula universitaria o nel corrispettivo contemporaneo di quello che per Marx erano i fumosi pub londinesi.