In un futuro che è già da tempo il nostro presente e in una metropoli distopica che è già la Milano – post Expo, post pandemica, post tutto – che conosciamo, Candido è un rider che pedala giulivo convinto come è di vivere nel “mondo migliore possibile”. Come nel romanzo filosofico di Voltaire (che qui, per inciso, da il nome a un social tipo Grande Fratello, onnipresente su smartphone come su maxischermo) la sua convinzione sembra resistere senza fare una piega a qualsiasi smentita fornitagli dal destino/Capitale sotto forma di supersfruttamento, licenziamento via SMS, fermo e arresto con supercazzola, prestigioso stage gratuito, etc.
“Candido” secondo romanzo di Guido Maria Brera, dopo “I Diavoli”, edito da “La nave di Teseo”, la casa editrice che ha contribuito a fondare, ci mette di fronte, anche questa volta, a un’operazione narrativa sofisticata e multilivello, a cominciare dall’esperimento di scrittura collettiva a cui ha dato vita, assieme al collettivo “I Diavoli”. Per lanciarla pare sia stato anche organizzato lo sciopero di Amazon e del delivery. Ok, non esageriamo, si scherza, ma è vero che già il soggetto e la storia da soli dovrebbero segnalare la chiara scelta di campo e di tempi di questo libro, in nitida sintonia con il corso degli eventi. Di questo ed altro parliamo con il suo autore.
PULP: Dai raider ai rider: con Candido abbandoniamo il mondo di Dominic Morgan, della finanza, del misterioso Tredicesimo Piano, per il livello stradale dei riders e delle periferie, in una Milano città stato sempre più classista e distopica, controllata dall’Algoritmo e dall’onnipotente social network cittadino. Come è maturato questo cambio di prospettiva?
GMB: L’idea viene da lontano, da una riflessione sull’origine di quella che abbiamo chiamato “tecnofinanza”, ovvero l’incrocio tra la grande quantità di denaro prodotta attraverso le politiche monetarie espansive, i trilioni stampati coi Quantitative easing, e lo sviluppo tecnologico che ha trovato nella printing machine, nei tassi a zero, nella possibilità di indebitarsi per crescere, una condizione ideale di proliferazione. In questo senso, la tecnofinanza è un “organismo geneticamente modificato”, capace perfino di azzerare il tempo: ad esempio, di sopportare perdite per periodi anche lunghi che pochi soggetti di mercato avrebbero potuto sostenere. Fin dagli anni Novanta le forze democratiche e socialdemocratiche hanno letto in modo apologetico il salto di paradigma tecnologico, prima, e l’avvento delle platform companies, dell’economia delle app e del cosiddetto “capitalismo della sorveglianza”, dopo. Candido è il tentativo di ribaltare questa visione acritica e ottimistica, di mostrare in un avvenire distopico – che poi è il “futuro tra cinque minuti” se pensiamo ad esempio a quello che già accade in Cina col sistema dei crediti sociali – il lato perverso, oscuro, iniquo dell’algoritmo. Rispetto alla prospettiva di Dominic Morgan e di quell’élite di monaci-guerrieri custodi della supremazia dell’Occidente che abbiamo chiamato “I diavoli”, le storie narrate nel Candido sono un controcampo: dal Tredicesimo piano di un grattacielo a Midtown Manhattan con vista sul mondo al livello della strada, laddove si misurano gli effetti dei nuovi processi di accumulazione e i dispositivi di controllo dispiegano la loro pervasività. È bene ricordare, però, che il Tredicesimo piano non è una loggia o una cupola, non vuole assecondare la paranoia complottista. Piuttosto gioca con gli spauracchi delle narrazioni populiste. Il Tredicesimo piano è un’ipotetica camera di compensazione di interessi, uno spazio in cui i difensori del way of life a stelle e strisce definiscono indirizzi generali e analizzano tendenze. Soprattutto: si assumono l’onere di supplire al vuoto lasciato dalla ritirata della politica davanti alle grandi sfide del nostro tempo.
PULP: Candido è dedicato a Nanni Balestrini, poeta, scrittore e intellettuale scomparso due anni fa. E’ una dedica che forse offre una chiave di codice in più, se non altro per la scelta di stare dalla parte degli Invisibili, dei Furiosi, degli Esclusi. Esiste anche un collegamento nelle scelte linguistiche e narrative presenti del romanzo?
GMB: Rispetto a un romanzo come I diavoli, nella stesura del Candido abbiamo deciso di praticare un approccio più sperimentale, di concederci alcune forzature e di riversare in queste pagine buona parte dei nostri riferimenti. Il modo con cui Balestrini ha raccontato l’universo operaio della grande fabbrica in Vogliamo tutto o il nuovo proletariato della seconda metà dei Seventies ne Gli invisibili insieme alle pratiche quotidiane di riappropriazione dello spazio metropolitano ha rappresentato un indubbio punto di partenza. Ma nel libro ci sono molti altri rimandi: per esempio, la figura di Martino – il libraio che aiuta Candido nel suo percorso di emancipazione – è calcata su quella di Primo Moroni, il bardo della libreria Calusca. Poi c’è un articolato tessuto di citazioni che compongono il nostro immaginario: da Walter Benjamin e Gilles Deleuze a Mark Fisher, dalla musica di John Coltrane e dei CSI ai film di Charlie Chaplin.
PULP: Il romanzo è stato scritto assieme al collettivo “I Diavoli”, un “laboratorio di narrazioni” sorto attorno al Blog omonimo e all’immaginario dei suoi libri. Ci può parlare di loro e di come funziona la vostra collaborazione creativa?
GMB: Il collettivo nasce dopo la pubblicazione de I diavoli (Rizzoli) come tentativo di espansione narrativa del romanzo sul web. Abbiamo continuato a far vivere alcuni personaggi del libro per restituire le nostre analisi su temi o eventi cruciali legati all’attualità. Da lì in poi ci siamo strutturati come uno spazio di riflessione e produzione di racconto in cui convergono saperi molteplici. Il collettivo è un laboratorio che pratica chiavi narrative diverse: dalla finzione letteraria alla fact fiction, dal reportage alla saggistica disinvolta e pop. L’obiettivo è sempre lo stesso: leggere tra le righe del presente per cogliere le tendenze che caratterizzeranno il futuro. Per questo ci misuriamo con i grandi nodi che caratterizzano la contemporaneità: dalla cybercultura ai dispositivi di controllo, dalle politiche monetarie all’automazione, dalle trasformazioni urbanistiche alla gig economy, dalle questioni ambientali al trading. Partiamo da momenti di confronto largo, sviluppiamo dibattiti ampi valorizzando la differenza dei punti di vista per approdare a sintesi avanzate. La scrittura collettiva, poi, non è mai stata un problema. Crediamo fortemente nella dimensione collettiva del raccontare e siamo abituati a rendere omogenea la scrittura attraverso un lungo lavoro di rielaborazione.
PULP: Candido mette nel mirino le disuguaglianze e la devastazione generate dal cosiddetto “capitalismo della sorveglianza” o delle piattaforme digitali o che dir si voglia. C’è secondo lei qualcuno – penso al libro di Anna Wiener ma anche a autrici come Shoshana Zuboff – che lo ha colto meglio di altri?
GMB: I ragionamenti che il Collettivo Ippolita ha condensato nel fondamentale testo Tecnologie del dominio sono stati senza dubbio un punto di partenza. La decostruzione dei miti del “cyber-utopismo” sviluppata da Evgeny Morozov rappresenta un riferimento ineludibile. Ne La valle oscura Anna Wiener coglie – tra le altre cose – gli effetti dell’impetuoso sviluppo tecnologico sul tessuto urbano. Basti pensare ai profondi cambiamenti che hanno travolto una città come San Francisco. L’immissione di grandi quote di capitali da parte delle società tecnologiche e di fondi a esse collegati hanno causato violenti processi di gentrification intervenendo sulla proprietà degli immobili e determinando l’espulsione di abitanti dalle tradizionali zone di insediamento. Il rapporto tra flussi di capitale, tecnologia e mutamenti dello spazio metropolitano sono un altro tema su cui ragioniamo da tempo. Le analisi di Shoshana Zuboff rappresentano una lezione fondamentale, anche se forse l’inattesa piega degli eventi ha superato – in peggio – lo scenario descritto nel Capitalismo della sorveglianza. La convergenza tra i metodi autoritari del capitalismo cinese e quelli del capitalismo delle piattaforme occidentali indica un intensificarsi dei meccanismi di sfruttamento e un rafforzamento dei dispositivi di controllo. Last but not least: in Italia va menzionato l’insostituibile lavoro di Benedetto Vecchi condensato nel libro Il capitalismo delle piattaforme.
PULP: “I Diavoli” ha seguito un sentiero decisamente “moderno” e multicanale: dopo il successo del romanzo, il saggio a quattro mani ( Tutto è in frantumi e danza,) la side story (La fine del tempo) , la serie tv con Sky, il blog con la factory dei nuovi scrittori, etc. Ci può parlare di questo approccio inteso, credo, anche come volano e fabbrica della narrazione?
GMB: Crediamo da tempo che la partita delle narrazioni si giochi sul terreno della più radicale crossmedialità. Il collettivo stesso nasce sul Web come espansione dell’universo del romanzo. Forme espressive differenti concorrono ad accrescere il potenziale delle storie approfondendo aspetti che nella precedente declinazione erano stati trascurati o tralasciati. Massimo Ruggero e Dominic Morgan interpretati nella fiction televisiva rispettivamente da Alessandro Borghi e Patrick Dempsey sono e – al tempo stesso – non sono i protagonisti del libro. Potremmo dire che lo sono in modo differente. Hanno gli stessi conflitti drammatici ed esprimono le medesime visioni di cui ho scritto nel romanzo, ma hanno backstory, ossessioni e ferite differenti. L’adattamento televisivo è stato un grande momento ricerca, ragionamento e ri-scrittura. Per esempio, nella serie abbiamo introdotto la linea di Subterranea, una centrale di hacker e whistleblower, che esprime un antagonismo assente nel libro, ma di cui ci siamo occupati sul sito. Ecco, la crossmedialità è un’occasione preziosa di circolazione e ri-combinazione di contenuti.
PULP: Un romanzo come “I Diavoli” è anche un “metodo di conoscenza”, collega i fili e li fa emergere dal tessuto del racconto sociale. Parlando della Grande Recessione del 2007, ci sono state narrazioni non letterarie (penso a un “filosofo pubblico” come Nassim Nicholas Taleb ma anche a economisti popolari come Nouriel Roubini, che l’avrebbero prevista) o la sua stessa, con il libro con Edoardo Nesi. Dove possiamo collocare oggi il confine tra fiction e “fatti”, Storia etc ? Come concorrono entambi nei suoi romanzi alla narrazione, intesa, se non erro, come “metodo di conoscenza” della realtà?
GMB: La fiction è uno strumento che consente di illuminare coni d’ombra della realtà e della Storia. È una delle tante strategie narrative possibili, una delle molte frecce nella faretra del narratore. Non è l’unica. Peraltro in Italia ha ormai preso piede la narrative non-fiction, che lavora sui materiali documentari e sulla referenza di realtà in modo diverso dal romanzo di finzione. Nel caso del libro I diavoli, ma forse ancora di più nel caso della serie Tv, la fiction è uno strumento per collegare eventi che altrimenti sarebbe impossibile collegare basandosi esclusivamente su un lavoro di inchiesta o sul vaglio delle fonti. La verità della finzione è la verosimiglianza, la verità probabilistica, non quella certa ed evidente. Non abbiamo le prove assolute e manifeste per dire che la guerra all’euro sia stata una grande strategia di distrazione di massa volta a celare la debolezza del dollaro e del debito USA in una determinata congiuntura. In un racconto di finzione, però, possiamo fornire una versione a nostro avviso probabile di come potrebbero essere andate le cose. La scelta della chiave narrativa dipende dalla materia della narrazione.
PULP: Nei suoi precedenti romanzi ha ricostruito la storia dell’ultimo ventennio, dalla crisi dei subprime all’attuale big easy monetario (“la fine del tempo”), anche mettendo in gioco la sua esperienza come ex finanziere e gestore di fondi. Come giudica il momento economico attuale post pandemia?
GMB: Da più di un anno ripetiamo che «Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema». La pandemia è stata il detonatore che ha fatto esplodere le contraddizioni degli assetti globali e ha radicalizzato la polarizzazione sociale. Bisogna arrestare la corsa folle di una globalizzazione senza freni e senza regole. Ambiente e sanità sono le scommesse cruciali su cui si gioca il nostro futuro. La transizione ecologica sarà la grande battaglia del terzo millennio. Non dovrebbe nemmeno più esserci una distinzione tra green ed economia. Tutti i processi economici dovranno essere impattati e rivisitati dai criteri della sostenibilità ecologica, mentre la pandemia insegna che siamo tutti sotto lo stesso cielo e che serve una coperta sanitaria globale che unisca almeno l’Europa.
PULP: In un talk show televisivo ha spiegato come i vaccini a mRNA di Moderna e BionTech arrivano anche da decenni di ricerca di base pubblica. Ma appena ha finito gli ospiti in studio hanno ripreso a parlare di Draghi, Conte, Renzi e Salvini. Quanto sono adeguati – oggi, in Italia – i media mainstream a raccontarci quello che realmente succede?
GMB: Credo che il problema non sia una valutazione dei media mainstream. Demonizzare i mezzi di comunicazione non mi appassiona. Uno dei vecchi slogan del media activism ai tempi del movimento alter-globalista recitava: “Don’t hate the media, become the media”, “Non odiare i media, diventa i media”. L’avversione paranoica per i media mainstream, accusati di una precisa strategia di disinformazione permanente, a cui contrappore lo spazio orizzontale della rete telematica, genera narrazioni tossiche. L’organizzazione e la circolazione del “falso” è un processo trasversale che può riguardare tanto i mezzi di comunicazione “ufficiali” quanto gli spazi informali del Web. Credo che il problema sia assumersi in prima persona la responsabilità di raccontare quello che non viene raccontato. Il sottotitolo del romanzo I diavoli era “La finanza raccontata dalla sua scatola nera”. L’idea era di mostrare i dispositivi e i meccanismi di un mondo invisibile agli sguardi dei più. Ecco, credo che questo sia lo sforzo che dovrebbero perseguire i narratori: informare raccontando.
PULP: Negli anni zero un banchiere, oggi scomparso, Franco Lattanzi, con lo pseudonimo di Sbancor, ha provato a collegare i fili tra finanza, politica, guerra, etc riuscendo a rialzare anche il livello della controinformazione del tempo. Può essere considerato un precursore per quello che lei e i Diavoli state facendo?
GMB: Per alcuni membri del collettivo, Sbancor non è stato solo un prezioso punto di riferimento per l’analisi delle fasi economiche e dello scenario internazionale, è stato anche un compagno di strada e un amico. Diario di guerra è un libro importante che confuta le retoriche della guerra umanitaria e la pulsione bellicista dei democratici americani e delle socialdemocrazie europee che bombardarono Belgrado ai tempi del conflitto con la Serbia. E American Nightmare è un viaggio – davvero da incubo – nei recessi del cosiddetto comparto militare-industriale. Sbancor aveva una straordinaria capacità di interpretare fenomeni complessi e cogliere tendenze. Nell’agosto del 2001 prevedeva una fase recessiva a lungo termine e – soprattutto – l’inizio di un conflitto nell’area asiatico-turanica come uscita “warferistica” dalla congiuntura negativa. Scriveva che la polveriera non era il Medioriente, bensì un punto imprecisato dell’area che comprende Iran, Afghanistan, Tagikistan, Khirghisistan, Azerbaijan, Uzsbekistan, Pakistan, laddove si snodano tante pipe lines: le vie della droga e del commercio di esseri umani, per esempio. Pochi mesi dopo gli Stati Uniti attaccheranno il regime talebano di Kabul come risposta all’undici settembre. Sbancor giocava con l’archetipo narrativo dell’uomo che agisce nei recessi più nascosti del sistema per svelare strategie segrete. L’immaginario dei Diavoli, invece, non prevede una figura come quella dell’inside man, bensì mette in scena direttamente le contraddizioni, i limiti, i tormenti degli uomini che manipolano la realtà ed esercitano il dominio per difendere un modo di vivere ritenuto il minore dei mali, l’ultimo argine al caos.