2 marzo 2018
Roberto Bolaño, Lo spirito della fantascienza, tr. Ilide Carmignani, Adelphi, pp. 206, euro 18,00 stampa, euro 12,50 ebook
recensisce UMBERTO ROSSI
Premessa: non voglio dare a intendere di essere un profondo conoscitore dell’opera di Bolaño, Roberto, scrittore cileno (1953-2003). Qualcosetta invece di fantascienza ne so, abbastanza da affermare che il titolo è onesto: in qualche modo questo romanzo, scritto prima del vero esordio del suo autore (La pista degli elefanti, 1994), riesce a catturare lo spirito di quel genere. E Bolaño la fantascienza deve averla frequentata: non a caso sono tutti mostri sacri del genere i destinatari delle lettere spedite dall’aspirante scrittore Jan Schrella che inframmezzano questo romanzo destrutturato. Si va da Ursula K. Le Guin ad Alice Sheldon (alias James Tiptree Jr.), da Fritz Leiber a Robert Silverberg; e vi consiglio calorosamente di leggerli, come sicuramente aveva fatto Bolaño, perché sono scrittori straordinari – fidatevi del cileno se non vi fidate di me.
Quanto alle lettere, non sono solo le stramberie di un personaggio strampalato (che però, come si scopre a p. 162, è lo stesso Bolaño); denotano invece una vera conoscenza dell’opera di Sheldon, Leiber e compagnia. Quando per esempio Schrella/Bolaño scrive a Le Guin quella missiva straziante che trovate a p. 87, chiedendole “che cosa possiamo fare noi Athshiani quanto arriva la nostra ora?”, è evidente che l’autore di questo romanzo ha in mente la splendida novella del 1972 Il mondo della foresta (titolo assai più scialbo dell’originale, The Word for World is Forest), nel quale Le Guin trasporta il conflitto del Vietnam sul lontano pianeta Athshe dove i terrestri fanno la parte degli americani, e i pacifici alieni schiavizzati sono i vietnamiti, mutatis mutandis. Jan Schrella sembra chiedere alla scrittrice americana, “e noi sudamericani, che siamo i vostri Athshiani, e da prima dei vietnamiti, come possiamo difenderci?” È stata questa lettera a farmi sussultare, e a farmi veramente apprezzare Lo spirito della fantascienza; a farmi percepire l’intelligenza letteraria di Bolaño, della quale m’ero già fatto un’idea (ma parziale) leggendo La letteratura nazista in America (grande omaggio a Borges che capovolge Borges).
Il romanzo che esce ora per i tipi di Adelphi ha trame multiple: (a) la narrazione episodica della vita tra l’avanguardistico e il fricchettone di giovani scrittori latinoamericani in una sorprendente Città del Messico (DF essendo il Distretto Federale, l’area autonoma occupata dalla capitale messicana), con il comico proliferare di riviste letterarie dalla vita breve in cerca di lettori, tra una festicciola improvvisata, consumo di derivati della canapa e giri in motocicletta; (b) l’intervista di una giornalista scombinata al vincitore di un premio letterario che è e non è Jan (o il suo coinquilino, l’io narrante della storia ambientata nel DF); e poi (c) le lettere di Schrella, che comunque contribuiscono alla vicenda.
Recuperato postumo dai quaderni sui quali Bolaño aveva ordinatamente trascritto con una biro gli abbozzi della sua narrazione (peraltro ordinatamente organizzata con schemi e diagrammi, come si vede nell’appendice), Lo spirito della fantascienza è solo in parte un semiautobiografico romanzo d’artista nel quale l’allora giovane scrittore cileno racconta la sua vita forse sdoppiandosi (e chissà che quell’idea non glie l’abbia ispirata VALIS, il geniale romanzo di quel Philip Kindred Dick citato en passant a p. 106 in una lettera alla Le Guin…). C’è anche una storia d’amore, tanto più bella quanto più impreveduta; c’è anche una galleria di personaggi pittoreschi, tutti poeti o comunque letterati (e non riesco a togliermi dalla testa l’idea che qui ci siano echi del Whole Sick Crew che popola le pagine newyorchesi di V., opera prima di Thomas Pynchon); e c’è anche una moto Benelli, e non posso non commuovermi per questa apparizione di una defunta ma gloriosa industria italica.
Chiudo con un appunto agli amici di Adelphi. Encomiabile la scelta, bella la traduzione (hats off to Carmignani), impeccabile la veste tipografica (come si fa a dire male del font che usa Adelphi ormai da decenni?), tutto come al solito al top – però, scusate, non mi venite a dire che quella di Bolaño è, in questo caso, una scrittura «in acido». No, è evidentemente una scrittura sotto canapa, propulsa dalla combustione di generosi quantitativi di hashish di produzione sudamericana della migliore qualità. E infatti i giovani bohémien ne Lo spirito della fantascienza – citando Andrea Pazienza – “non pensano ad altro”, rollano e accendono senza pietà, come gli hippy di Pynchon in Vizio di forma. (E ancora una volta ricompare il convitato di pietra…)