Grisélidis Réal / Camminare sulla linea

Grisélidis Réal, Il nero è un colore, tr. Yari Moro, Keller, pp. 277, euro 17,00 stampa

Grisélidis Réal fuggita dalla Svizzera e da una famiglia borghese particolarmente oppressiva, va in Germania con il suo amante laureando, nero e schizofrenico, fatto dimettere da una clinica psichiatrica, e i due figli sottratti ai servizi sociali. Siamo negli anni Cinquanta, la Germania è ancora piena di soldati statunitensi – primi clienti di Grisélidis Réal – che inizierà il suo lavoro di prostituta un po’ per necessità, un po’ per scelta, finendo anche in carcere per traffico di marijuana. Questo libro ne è lo straordinario resoconto.

Il nero è un colore di Grisélidis Réal è un libro di amore “razzista”. Non so come definirlo in altro modo vista la predilezione straordinaria che l’autrice prova per la “razza” nera e la “razza zingara”. Un amore espresso in una lingua ardente e iperrealista che diventa decisamente lirica quando descrive i corpi amatissimi dei suoi neri; per esempio quello di uno degli amanti:

“Dio nero dalla pelle brasata e calcinata, dal profumo di orchidea e zenzero, dal sesso come un lungo giglio nero. Ronald Rodwel dal viso di pantera, la fronte liscia come un’orchidea, le grosse labbra spaccate come una corteccia. L’iride violaceo dei tuoi occhi è un pozzo profondo, è la mia notte, il mio alcol, la mia droga”.

Per quanto riguarda la “razza zingara”, la Réal la riconosce come la sua vera famiglia. Vivrà infatti per lunghi periodi nei campi zingari, in miserabili roulotte vicine alla discarica dei rifiuti della città di Norimberga “seduta in mezzo a loro come una principessa, avvolta nel loro amore, nel calore del loro affetto meraviglioso”.

Alla Germania la Réal ricorda: “Con tutti i vostri gas, nelle fosse comuni, nei forni crematori, non siete riusciti a distruggere il cuore zingaro!”

L’altro grande tenero amore Réal lo riserva ai figli (ne avrà 4 da padri diversi).

“In Germania i miei bambini hanno avuto centinaia di padri magnificamente neri e affettuosi come poi non ne abbiamo più trovati”.

Il nero è un colore è un libro disturbante e proprio per questo interessante: non è per nulla un libro politicamente corretto sia che, nella grande faglia che divide le posizioni sul lavoro sessuale, ci si ponga da una parte o dall’altra della barricata, a favore o contro la prostituzione e il lavoro sessuale visti come libera scelta o come semplice sfruttamento. L’amore per i soldati neri, il furore sessuale che anima la Réal si accompagna, di fatto, a un accoglimento (a cui lei e le donne si sottraggono come possono ma mai messo davvero in questione) di comportamenti da parte dei suoi amanti o clienti che ci appaiono del tutto inaccettabili: la maggior parte, tedeschi o afroamericani che siano, sono infatti violentissimi. Malgrado le violenze in questo libro, Grisélidis divide il mondo dei suoi clienti sulla linea del colore: se il cliente è nero, le botte sono accettate e a volte addirittura giustificate nel caso degli amanti; se è tedesco il cliente è sempre e in ogni caso denigrato e repellente anche quelle poche volte in cui non è violento.

Eppure, nonostante le botte, la paura di morire per mano di un cliente o addirittura di un amante, ciò che muove Grisélidis è una voglia di libertà e un odio per l’ordine costituito e la società “piccolo borghese” che lascia davvero senza fiato e che la porterà nella vita a diventare una delle donne che hanno tirato fuori dall’ombra la prostituzione, una donna fondamentale nella storia dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso.

Nella postfazione a Il nero è un colore, trent’anni dopo i fatti narrati nel libro, la Réal scrive nella sua incomparabile lingua:

“A passi di lupa, di tigre e di uccello cammineremo sulla luna se sarà necessario, conquisteremo lo spazio che ci spetta, a noi che siamo il balsamo sulle sofferenze e l’acqua nel deserto, profumate, splendenti, offerte e ferite, dolci e violente, donne e maghe, principesse dei nostri sensi e del desiderio degli uomini.

A Parigi, nella cappella Saint-Bernard a Montparnasse, in quel principio di giugno del 1975, si sono riunite cinquecento donne, pallide, risolute; alcune, a forza di parlare, di gridare, non avevano più voce. I preti che le avevano accolte hanno coperto con un tessuto le statue della Vergine e dei santi. La quarta notte la polizia le ha buttate fuori a manganellate.

Non ci arrenderemo. La lotta continua, attraversa gli oceani, infiamma la carta, gli schermi, i muri. Non cammineremo mai più per le strade come bestie braccate, non ci violenteranno più, né in macchina né altrove.”

Una data e una lotta dirimenti cui seguirà dopo pochi anni in Italia la nascita del Comitato per i Diritti delle Prostitute, fondato a Pordenone nel 1982 da Pia Covre e Carla Corso, due donne che hanno avuto il coraggio di “camminare sulla linea” e di rivendicare apertamente il proprio stare e fare e il potere di decisione delle donne sul proprio corpo.

Grisélidis Réal morirà nel 2005 a 75 anni; è sepolta nel “cimitero dei re” a Ginevra fra l’austero Giovanni Calvino e il cieco Jorge Luis Borges, sotto una lapide in cui c’è scritto: “scrittrice, pittrice, prostituta”.

Dopo Il nero è un colore, Grisélidis Réal ha scritto molti altri libri e saggi in cui approfondisce e affina il suo discorso sulla prostituzione che definirà “un Art, un Humanisme et une Science”, senza dimenticare il lato sordido e tragico di questo lavoro come descritto magnificamente in questo suo primo testo.

La casa editrice Keller ha il merito di aver tradotto in italiano per la prima volta l’autrice; peccato non abbia pubblicato un’introduzione per contestualizzare la vita e le battaglie della Réal e di conseguenza questo libro d’amore come lo ha definito la Réal stessa, che così scrive: “Chi non ha mai veramente amato scagli questo libro nella spazzatura. Troverà più calore e agio tra i rifiuti che non fra le sue mani”.