Otto reportage di viaggi spericolati tra paesaggi estremi, o estremamente delicati, che vorremmo non finissero mai. Già collaboratore di Grantland, uno dei più conosciuti siti di sport e pop del web, e altre prestigiose testate, Brian Phillips cavalca i continenti in lungo e in largo, e ricostruisce vicende di cultura popolare facendone brillante letteratura. Regolarmente incontra civette: sono muse, sogni, o promesse sovrannaturali.
In alcune avventure domina il disprezzo del metodo, laddove l’ignoranza della tecnica può diventare mortale. Come il viaggio in Alaska, per seguire da vicino l’Iditarod, la gara dei cani da slitta che percorrono circa 1.600 km. “Odio la neve, non ho mai praticato sport invernali […] I cani, poi, nemmeno mi piacciono […] Ho chiamato un pilota.” “Hai mai volato su un aereo ultra leggero?” “Ho… ehm… guardato dei film in cui la gente ci vola”.
Mentre per nove deliranti giorni centinaia di cani eccitati e musher fuori di testa si sfidano senza pietà, Phillips sorvola l’Alaska con un fuscello volante che si arena nel ghiaccio, sperando che qualcuno se ne accorga. “Il sollievo è l’esperienza più elettrizzante che esista, pensateci”.
Giappone. È la volta dei lottatori di Sumo, il cui corpo prorompente è inversamente proporzionale alla regale inespressività del volto. Anche il Sumo è pervaso da Ukiyoe, fascino fluttuante dell’incompletezza. “Potresti scoprire, per esempio, che avevi dato troppo peso alle aspettative sbagliate. Che il vero finale sta nella maniera in cui la storia volta le spalle a sé stessa. Che l’apparente omissione nasconde in realtà qualcosa di definitivo, l’improvviso riordinarsi delle cose”. Le stranezze dei sumōtori si innestano con la storia di Mishima e della sua teatrale morte.
Da bravo prestigiatore Phillips si addentra nell’area 51, in Nevada, la zona segretissimamente protetta perché considerata patria dei dischi volanti ed esperimenti inconfessabili, e ci suggerisce una scaturigine subconscia del fenomeno degli avvistamenti, il genocidio perpetrato ai danni dei nativi resta sospeso e come camuffato in ogni angolo della regione. “Tutte quelle storie, quelle anime, dove vanno a finire?”. Si nasconde un vertiginoso senso di colpa, la coscienza s’inabissa ed esplode. “Forse, ho pensato, ciò che succede è che tornano come sogni, come incubi, figure surreali di punizione e mutamento”.
Verrà il lupetto grigio è dedicato al mago del cinema di animazione russo, Jurij Norštejn. I capolavori compiuti – Il riccio della nebbia, Il racconto dei racconti fanno risaltare l’assenza de Il cappotto di Nikolaj V. Gogol, a cui lavora da decenni, ritenendosi sempre insoddisfatto. La sua vicenda umana e artistica, ai limiti del disadattamento, si scontra con una smisurata capacità fiabesca, con cui spiazza sia il bambino che l’adulto.
Si parte per l’India, sulle tracce della mangiatrice di uomini. “Ecco come arriva una tigre: prima non c’è niente, poi c’è una tigre. Fuori da una delle uscite di Bandhavgarh, la fitta giungla che si trova nell’India centrale, c’è un’insegna sbiadita dal sole. Mostra una tigre, e accanto alla Tigre è scritto: FORSE NON MI AVETE VISTO, MA NON SIATE DELUSI: IO HO VISTO VOI”.
Al Buio: la fantascienza nella città di provincia è un capitolo affettuoso, in cui l’autore rievoca la sua educazione sentimentale in fatto di immaginari tratti dal cinema e delle serie tv. Da X files, che conferma e sollecita la paranoia diffusa e il sospetto nei confronti dei poteri centrali, fino alla saga “solidale” di Harry Potter. Mondi dentro mondi che si vestono da intrattenimento, ma portano biancheria da trappola
Regina e futura regina, ovvero ritratti dei reali britannici, da esporre nella galleria di Buckingham Palace. Elisabetta, nominata una sola volta, si dettaglia gradualmente attraverso luoghi, oggetti e persone: “la sua città, la sua borsetta, il suo stendardo, le sue mises, il suo erede, i suoi castelli, suo marito, sua nuora, che è morta”.
Infine la storia tormentata di una dinastia, i Marland, che abitavano nella stessa città del nonno di Phillips. Ascesa e declino di Mary, signora di molte metamorfosi, con la statua che candidamente la immortala, fatta da lei a pezzi e ricostruita contro la sua volontà, dopo la morte. Un racconto biografico alla maniera di Emmanuel Carrère, con inesorabili colpi di destino. Che le civette svolazzino sulla penna di questo magnifico scrittore.