Blade Runner, il sogno dell’androide in tre atti

Blade Runner e il romanzo di Dick da cui è stato tratto presentano molte differenze ma anche alcuni punti in comune che permettono di analizzare meglio il percorso che il film di Ridley Scott sviluppa autonomamente in una "classica" sceneggiatura hollywoodiana. Blade Runner, il sogno dell'androide in tre atti è stato un intervento nell'ambito del convegno DICK'S DAYS, tenutosi a Torino allo Spazio Osservatorio nel 2002.

Quale rapporto intercorre tra un testo letterario e il film che ne viene tratto? Una domanda più che lecita, sia che venga posta istintivamente dallo spettatore che attende nel film la riproposizione delle emozioni e dei temi che il testo letterario gli aveva offerto, sia che coinvolga direttamente le competenze del critico, alla ricerca di più profondi rapporti creativi tra letteratura e cinema. Nella science fiction, genere tradizionalmente povero di capolavori, solo poche coppie romanzo-film si prestano a questa analisi. In particolare Stanislaw Lem e Andreij Tarkowskij con Solaris, Anthony Burgess con Stanley Kubrick per Arancia meccanica e Philip K. Dick e Ridley Scott per la riduzione de Il cacciatore di androidi in Blade Runner. Altrove, nel cinema non di genere, si trovano numerosi esempi di riscritture, alcune molto problematiche, come Cuore di tenebra di Joseph Conrad che ha costituito la base per Apocalipse Now, il film di Francis F. Coppola[1]. Altrimenti, laddove non è il testo teatrale a fungere da ispirazione, come nelle tragedie sheakespeariane realizzate da Orson Welles, o nei lavori tratti dalle opere di Tennessee Williams, il rapporto tra romanzo e film è molto labile; dall’opera letteraria si trae l’idea, il conflitto, se non soltanto l’ambientazione o le caratteristiche di un personaggio. L’intera opera di Alfred Hitchcock ne è un esempio fruttuoso; la scelta dei soggetti è sovente costituita da opere letterariamente piatte, in cui però covava sotterranea una potenzialità formidabile che il genio era capace di intravedere. A questa casistica sfugge certamente il racconto di Cornell Woolrich da cui è stato tratto il film La finestra sul cortile. Il testo letterario scritto sulla sceneggiatura, a posteriori e per celebrare il successo commerciale della pellicola, invece, risalta per mediocrità. Incapace di intraprendere un percorso letterario autonomo, la novellization offre al lettore solitamente il peggio. 

Se Il cacciatore di androidi spicca per diversità da Blade Runner, è pur vero che un rapporto tra i due testi esiste e anche fecondo. Inoltre, se, assieme ai contributi canonicamente riconosciuti quali libri e film, riteniamo che abbiano diritto di contribuire alla costruzione del senso anche la corrispondenza [2], allora possiamo affiancare una lettera inviata da Dick a Bertram Berman[3], scritta nel 21 maggio 1968. In questo scritto, Dick propone una propria versione cinematografica del romanzo Il cacciatore di androidi. 

Dalla lettura di questa corrispondenza risulta immediatamente evidente che Dick non conosceva i principi della sceneggiatura cinematografica, specialmente di quella sviluppatasi nel suo paese, e universalmente conosciuta come sceneggiatura all’americana. Una sceneggiatura che seguisse i criteri enunciati da Dick nella sua lettera non avrebbe la benché minima possibilità di trovare un produttore disposto a investire un capitale per la realizzazione. Ben diverso è stato il lavoro compiuto da Hampton Fancher e David Peoples per la stesura di Blade Runner. 

Scopo di questo scritto sarà di analizzare il contrasto tra le idee di Dick e la consolidata scuola americana di sceneggiatura, relativamente a Il cacciatore di androidi, e di operare una disamina dei criteri usati dagli sceneggiatori di Blade Runner quando hanno lavorato sul romanzo per redigerne la riduzione cinematografica. 

La sceneggiatura americana[4] segue regole molto precise, afferenti a una tradizione consolidata, supportate dall’opera di professionisti e divulgate agli aspiranti sceneggiatori attraverso corsi e seminari estremamente diffusi e seguiti. Questa caratteristica della scrittura per il cinema di oltreoceano non deve necessariamente essere vista come un vincolo atto a ridurre lo sviluppo creativo della storia o la libertà dello sceneggiatore, o un metodo meccanico, quasi computerizzato, che capace di produrre solo storie tutte uguali tra loro. Si tratta invece della codifica di un metodo drammatico preciso quanto lo erano le unità di tempo, luogo e azione di Aristotele o le modifiche apportate da Shakespeare. I grandi capolavori del cinema americano, anche quelli politicamente controcorrente o esteticamente trasgressivi, sono strutturati secondo questi schemi. 

La canonica sceneggiatura di scuola americana è organizzata in tre atti, cioè in tre unità drammatiche distinte, destinate ad assolvere un particolare scopo all’interno del complesso della narrazione. Il primo atto (impostazione) adempie l’obbligo di identificare il protagonista, il suo carattere, l’ambiente in cui solitamente si muove, le sue potenzialità. Questa fase conoscitiva si conclude con l’enunciazione del problema drammatico principale (primo colpo di scena), che avvia l’inizio del secondo atto (confronto). Qui il protagonista, ormai definito compiutamente nelle sue possibilità fisiche e morali, affronta il problema specifico della storia in questione (si confronta, appunto), cioè si attiene allo sviluppo della trama, attraverso colpi di scena e ambiguità, verso la creazione di una scena culmine (secondo colpo di scena) in cui la storia volge necessariamente al termine, ma ha di fronte a sé una serie di alternative non scontate (suspence) e tutte conclusive. Siamo all’inizio del terzo atto (risoluzione), la storia sta per finire e si intraprende un ben definito percorso narrativo che porta all’epilogo. Ovviamente la raffigurazione psicologica del protagonista deve mutare in seguito agli avvenimenti presenti nella storia, che devono essere tutti significativi, cioè svolgere una funzione narrativa non eliminabile senza provocare una riduzione di senso, ma rimanendo coerente con i presupposti del primo atto.

Questo non significa scontatezza, piuttosto che una lettura a ritroso degli avvenimenti consente una ricostruzione razionale dei comportamenti e delle interazioni in base a necessità inizialmente sconosciute. Sostanzialmente devono poter coesistere più interpretazioni degli avvenimenti, in quanto il comportamento ambiguo dei personaggi può supportarle, ed eventualmente far propendere per un’interpretazione piuttosto che un’altra, per poi risolverle a favore della teoria più interessante, attraverso nuovi fatti e nuove necessità. Si tratta di una concezione narrativa molto pragmatica, tesa a ottenere dalla storia il massimo di drammaticità con il numero minimo di elementi, senza distrazioni o ridondanze. Uno sviluppo di questo tipo si attiene al criterio di economicità narrativa, ovvero devono essere proposte situazioni necessarie e sufficienti a giustificare l’evoluzione drammatica, ma deve essere mantenuta l’unità del complesso drammatico della vicenda. 

Il cinema europeo non rispetta rigorosamente queste suddivisioni, né le assolve tutte nei tempi stabiliti, ma, senza imporre primati culturali privi di interesse, si può affermare che negli Stati Uniti si è giunti spesso a un equilibrio tra necessità artistiche e risposta del pubblico[5]. Un cinema di questo genere è capace di esistere sia nell’ambito delle richieste più esplicitamente di evasione, sia nella presentazione di quesiti estetici e culturali molto complessi. Blade Runner si trova in questa posizione pur essendo un film di fantascienza, ovvero di uno dei generi della cultura popolare, e in esso coesistono la tradizione avventurosa e poliziesca dell’hard boiled assieme a profonde riflessione sull’epoca postmoderna e sui modi di produzione[6]. 

“A movie moves and a book talks, and that’s the difference. A book has to do with words and a movie has to do with events[7], così affermava Dick nel 1982, a proposito delle differenze tra romanzo e sceneggiatura riguardo proprio a Do Androids Dream of Electric Sheep? e Blade Runner, dopo aver assistito a un montaggio provvisorio. Nel 1968, invece, concependo la riduzione cinematografica, vedeva necessarie solo poche modifiche strutturali alla trama del romanzo. Infatti notava che “The initial question: who is the viewpoint charater? It must be either the bounty hunter Rick Deckard or Jack Isidore?”[8]. Adducendo la necessità di due punti di vista, Dick propone, nella realtà dei fatti, un doppio protagonista: Rick Deckard e Jack Isidore, appunto. 

Sovente Dick sceglie per i suoi romanzi punto di vista multiplo, due esempi tra tutti Noi marziani e L’occhio nel cielo. Questa è una caratteristica della narrativa di Dick, un espediente che gli ha permesso di rappresentare il contrasto tra le diverse visioni del mondo, tutte parziali e soggettive, la cui composizione complessiva è, forse, la descrizione più soddisfacente della realtà. Ne Il cacciatore di androidi la visione di Deckard è primaria ma non totalizzante, necessita di quella di Isidore. I due “protagonisti” interagiscono solo in un episodio, quanto Deckard si reca nel palazzo abbandonato per eliminare gli androidi, e Isidore, con l’ingenuità che lo contraddistingue, glieli consegna, punendoli per la loro crudeltà. Come lo stesso Dick nota, il problema morale del romanzo consiste nel confronto tra il punto di vista di Deckard e quello di Isidore, due differenti visioni del mondo. Deckard ama più gli animali degli androidi, soffre per la mancanza di un animale e in seguito è sconvolto per la morte della propria capra, ma è indifferente all’eliminazione degli androidi, persino di Pris, la copia di Rachel, l’androide con cui ha appena fatto l’amore. Ma l’indifferenza nei confronti degli androidi è, in realtà, una indifferenza nei confronti degli uomini. Infatti Deckard non è poi così sconvolto dall’apprendere che il test Voigt-Kampff può essere inefficace e che, molto probabilmente, sono stati “ritirati” per errore veri esseri umani con facoltà empatiche poco sviluppate. Al contempo gli androidi sono capaci di un assurdo sadismo nei confronti del ragno e dello stesso Isidore. 

Nel romanzo Jack Isidore è il fulcro del problema morale, è il punto di equilibrio tra gli esseri umani e gli androidi; Deckard, invece, è il fulcro dello sviluppo dell’azione, della meccanica avventurosa, o, più semplicemente, del plot. In un film una situazione del genere potrebbe condurre a un errore di sviluppo della trama. Nel breve tempo concesso allo spettatore per familiarizzare con il protagonista (15 minuti standard), un cambio brusco di prospettiva, come necessiterebbe l’ipotesi del duplice protagonista avanzata da Dick, creerebbe una deleteria confusione narrativa. Non c’è tempo nei venti-venticinque minuti dell’impostazione per presentare due personaggi e, in particolare, due personaggi talmente differenti, e che si incontreranno solo durante l’epilogo, e per pochi istanti. Nel cinema americano esiste più di un protagonista solo quando il gruppo si pone nei confronti del problema drammatico in maniera omogenea, cioè si confrontano con gli ostacoli, fisici e morali, della vicenda assieme. È il caso di film di successo come 48 ore, Il mucchio selvaggio o Thelma e Luise. 

In Blade Runner, Rick Deckard è il protagonista, e la storia si sviluppa nel suo tentativo di scoprire e ritirare i quattro replicanti. Analizziamo le fasi del film relativamente al paradigma della sceneggiatura standard. 

Durante il primo atto assistiamo alla presentazione del protagonista e del suo mondo. All’inizio una succinta ma efficace didascalia scorrevole ci informa della natura dei replicanti e delle loro caratteristiche, dell’identità dei loro costruttori, della possibilità di un loro rientro illegale sulla Terra e dell’esistenza e scopo delle unità speciali Blade Runner. Ma, soprattutto, ci informa di dove e quando si svolge l’azione: “Los Angeles November, 2019”. È una concessione alla parola scritta, l’unica; il resto dell’ambientazione ci viene presentato visivamente durante tutto il film. L’inizio è aggressivo, il replicante Leon subisce il test da Holden e, improvvisamente, lo uccide. Può sembrare un’ingenuità narrativa che Holden non abbia perquisito il sospetto replicante e si sia fatto fregare in quel modo, ma così, all’inizio del film, lo spettatore è ancora spaesato e la scena è molto forte. Questa incongruenza non viene registrata dallo spettatore, così la scena assolve pienamente due necessità molto importanti. Innanzi tutto tecnicamente “porta avanti la storia”[9], cioè definisce immediatamente il tono della narrazione, violento, estremo, di suspance, ci permette di familiarizzare con il test che assumerà in seguito tutta la sua importanza, identifica un personaggio come Leon, lo mostra allo spettatore in tutti i dettagli (la versione digitale nell’ufficio di Bryant non sarebbe sufficiente), così non lo si vede familiarizzare con Roy Batty automaticamente viene identificato come replicante.

Inoltre anticipa qualcosa su Deckard e sul suo carattere. Infatti Deckard eredita la missione, ha lasciato il servizio per ragioni imprecisate, probabilmente morali, e la vicenda che segue ha per lui un senso di straordinarietà. Quando viene ripreso per la prima volta Deckard sta leggendo il giornale, la voce fuori campo informa lo spettatore e recita: “They don’t advertise for killers in a newspaper. That is my profession. Ex-cop, ex-blade runner, ex-killer”. E ancora, due scene dopo: “Sushi. That’s what my ex-wife called me. Cold fish”. LO spettatore viene informato che il protagonista è un duro, un ex killer, un individuo freddo, a corto di soldi, e, soprattutto, solo. Un uomo che cita la ex moglie sicuramente non l’ha rimpiazzata con una nuova. Questo è il indiscutibilmente il protagonista della storia, e lo spettatore sa cosa si possa aspettare da lui e da un tipo come Leon, due persone destinate a incontrarsi. Ma Deckard, nonostante sia descritto come un tipo poco raccomandabile non è rozzo come il resto dei personaggi che vivono tra la folla di Los Angeles; la voce fuori campo commenta: “Skin jobs are what Bryant called replicants”.Di fronte a Bryant, la sua voce fuori campo di Deckard sottolinea come “history books he’s the kinda cop used to call black man niggers”; più avanti si vedrà che in casa ha un pianoforte e che è capace di suonarlo. Insomma, lo spettatore non può che parteggiare per lui, per il protagonista. 

Nel romanzo la descrizione dell’ambiente è concentrata nel secondo capitolo, cioè dove viene presentato Isidore. Si tratta di un lungo discorso indiretto che si sovrappone alle rituali occupazioni di Isidore dopo il risveglio. Qualcosa di difficilmente riproducibile in termini di immagini. Nel film il personaggio di Isidore confluisce in J.F.Sebastian. Entrambi sono impacciati, deboli (uno è uno speciale, l’altro è affetto da invecchiamento precoce), vivono in luoghi isolati, sono ingenui e sensibili alle attenzioni strumentali delle donne. Ma Sebastian e Isidore svolgono funzioni differenti. Nel film il personaggio non è dotato di autonomia, tutte le sue scelte sono obbligate. Nel romanzo, invece, una scelta autonoma di Isidore determina il finale. In un film il protagonista deve essere attivo, deve essere coinvolto direttamente nelle scelte che determinano lo sviluppo della trama. Da qui la necessità di ridurre l’importanza di Isidore nel testo cinematografico. 

Piena autonomia viene invece attribuita ai replicanti, la loro storia si svolge parallela, quasi indifferente a quella di Deckard. Tra loro c’è solo un rapporto di morte, chi incontra Deckard viene ritirato e sempre al primo incontro. Il blade runner non conoscerà mai le motivazioni di Batty e degli altri, il dialogo risolutore avuto con Eldon Tyrell, il perché del loro comportamento. Solo attraverso la voce fuori campo, alla conclusione della scena che si svolge sul tetto, Deckard si esprimerà con frasi che danno una decisa impressione di tempo trascorso a riflettere sull’episodio, di acquisita maturità: “Maybe in those last moments he loved life more than he ever had before. Anybody’s life. My life.”. Deckard segue inconsapevolmente le loro tracce, al loro confronto è quasi bestiale, inferiore non solo come forza, ma soprattutto come approfondimento interiore. Al contempo i replicanti non sono a conoscenza del mutamento che è avvenuto in Deckard e, in particolare, della nascita del controverso rapporto amoroso con Rachel Tyrrel. 

Il primo atto si conclude quando Deckard accetta da Bryant l’incarico di ritirare i quattro “lavori in pelle”. Il primo colpo di scena consiste in questa decisione: l’ex blade runner riprende il lavoro che aveva abbandonato. Bryant dice: “I need your magic”. Ma la sua magia lo porterà solo a scovare e ritirare Zhora, poi, come in molti hard boiled, gli eventi precipiteranno e non ci sarà più tempo per la detection. Durante il secondo atto ci troviamo di fronte a quella che forse è la più interessante caratteristica della sceneggiatura, cioè il manifestarsi di tre linee narrative quasi completamente autonome. Il primo percorso (A) corrisponde alla caccia dei replicanti, il secondo (B) al rapporto tra Rick e Rachel e il terzo (C) che segue le vicende dei replicanti e del loro obiettivo di parlare a Eldon Tyrell. Le scalette delle tre linee narrative sono le seguenti (tra parentesi troviamo gli elementi di causa-effetto che conducono alla scena successiva): 

Linea A 

  • Leon uccide Holden (viene filmato mentre cita il proprio indirizzo) 
  • Graff contatta Rick, e Bryant gli affida l’incarico (visionano il filmato e viene a conoscenza dell’indirizzo di Leon) 
  • Rick perquisisce la stanza di Leon (trova la scaglia) 
  • Rick scopre chi ha comprato il serpente (Taffy) 
  • Nel locale di Taffy, Rick trova Zhora e, dopo l’inseguimento, la ritira (Leon lo vede mentre la uccide) 
  • Leon assale Rick, ma Rachel uccide il replicante (sospensione) 
  • Rick sente alla radio della morte di J.F.Sebastian e Eldon Tyrell (Leon lavorava alla Tyrell) 
  • Rick telefona a J.F.Sebastian e scopre il nascondiglio dei replicanti. 

Linea B 

  • Rachel incontra Rick (Tyrell ha confidato qualcosa a Rick durante l’assenza di Rachel) 
  • Rachel si reca nell’appartamento di Rick (cerca notizie, ma dimentica le foto) 
  • Rick telefona a Rachel (dietro a una delle foto di Rachel c’è il numero) 
  • Bryant dice a Rick che deve ritirare anche Rachel 
  • Rachel salva la vita a Rick uccidendo Leon 
  • Rachel e Rick fanno l’amore 
  • Rick trova Rachel nel suo appartamento e fuggono assieme 

Linea C

  • Batty e Leon cercano notizie da Chew (si parla di J.F. Sebastian)
  • Priss adesca J.F.Sebastian 
  • Batty convince Sebastian a portarlo da Eldon Tyrell 
  • Batty uccide Tyrell 

Queste tre linee tendono a esaurirsi entro la fine del secondo atto. Sostanzialmente il primo e il secondo colpo di scena sono relativi allo sviluppo della linea A. Solitamente all’interno del secondo atto sono inseriti altri tre momenti particolari, cioè il punto centrale e la prima e la seconda pinza. Si tratta di tre scene che assolvono alla funzione di dirigere la storia verso la direzione voluta in possibili biforcazioni narrative. Questi tre punti, in realtà colpi di scena di minore importanza drammatica, sono invece caratteristica della linea B, quella del rapporto Rick-Rachel. La prima pinza è nella scena in cui Rachel si reca da Rick per chiedergli informazioni su sé stessa, il punto centrale nel momento in cui Bryant comunica a Rick che anche Rachel deve essere ritirata e la seconda pinza nell’episodio nella scena in cui fanno l’amore. Si tratta quasi di un’unità in tre atti dentro i tre atti ufficiali. 

Dick, nel romanzo, proponeva un forte contrasto morale dentro il personaggio di Deckard, non faceva di lui un duro, piuttosto un individuo indifeso. Questo aspetto è evidente nel rapporto tra Deckard e Phil Resch, la cui figura è stata eliminata da Blade Runner. Il confronto con questo persanaggio troppo cinico e crudele è la molla che innesca in Deckard una serie di dubbi e di riflessioni che lo porteranno a fare l’amore con Rachel Rosen, e a compiere coscientemente un grave reato; a circa metà del romanzo, Rick si chiede addirittura: “Do you think androids have souls?”. Nel film, la figura di Resch sembra essere sostituita da Gaff e Bryant, ma è un distacco che non nasce nella trama, è presistente. Il cambiamento di Deckard consiste forse nella sua capacità di amare quando non lo credeva più possibile. 

Il romanzo vive di un altro grande contrasto, quello religioso e gnoseologico. La lotta tra Mercer e Buster Friendly è un traslato della lotta tra Deckard e gli androidi. Quando Deckard applica il test a un individuo, non sa chi ha di fronte, chi si celi dentro un corpo che sembra perfettamente umano, chi sia artificiale se neppure sa di esserlo. Solo Mercer può realmente distinguere, ma anche Mercer sembra una truffa. È il dramma religioso moderno che vuole un bene e male sempre più coesistenti, indistinguibili, incoscienti. Se neppure un androide sa di essere un androide, o quando un uomo, come Resch, è disposto a morire perchè teme di non essere un uomo, come si può distinguere il bene dal male? Dick risponde che non si può. Mercer è un ubriacone, eppure fa miracol, ma, alla fine del romanzo, Iran, la moglie di Deckard, acquista per il falso rospo del marito le solite mosche artificiali. Deckard sarà ancora ingannato. 

Nel film tutta questa fenomenologia religiosa cambia. Se il mercerismo, con la sua empatia planetaria, sviluppa un’intenzione quasi cristiana di comunione e di redenzione tipica del Nuovo Testamento, Blade Runner, inteso nella linea narrativa C, è invece una raffigurazione esplicita dell’Antico Testamento mediato dall’interpretazione di Miller de Il Paradiso Perduto. Due miti biblici si intrecciano, quello della creazione dell’uomo, della tentazione operata dal serpente e della cacciata dall’Eden e quello della rivolta degli angeli. Senza entrare specificatamente in questi temi, rimanendo legati all’obiettivo di gettare ponti tra romanzo e film senza approfondire interpretazioni autonome, vale la pena di notare alcune caratteristiche. In particolare, si ripropone la concezione del mito della creazione presente nella Bibbia, cioè una creazione artificiale, assessuata, da parte di un creatore (maker maschile), a differenza di tutti quei miti in cui la creazione ha caratteristiche sessuali (madre-terra)[10]. Abbiamo quindi un Dio Eldon Tyrell; infatti, esplicitamente, Roy Batty si rivolge a lui dicendo “it’s not an easy thing to meet your Maker” o “nothing the God of bio-mechanics wouldn’t let you in heaven for”. Dalla creazione artificiale dell’uomo (che a sua volta crea anche la prima donna), alla creazione super-artificiale dei replicanti, con tanto di falso passato. Un Dio implacabile che attende le sue creature ribelli per porre fine alla propria funzione di creatore, Tyrell dice “Death. Well, I’m afraid that’s a little aut of my jurisdiction”. Nel romanzo di Dick, invece, il Dio miserabile Mercer è al livello di Isidore, comunque capace di riportare in vita animali, ma è un Dio buono, al livello dei più umili. 

Per il resto la storia degli androidi è già scritta nel momento in cui Roy Batty annuncia, entrando nel laboratorio di Chew: “Fiery the angels fell… deep thunder rolled around their shores, burning with the fires of Ork”[11], come è scritta la fine di Zhora, Salomè e il suo serpente, destinata a essere cacciata dall’Eden. 

NOTE

[1] Sulle peculiarità di Cuore di tenebra come fonte per una sceneggiatura si può vedere il fascicolo monografico di Cinema e Cinema (numero 24, luglio-settembre 1980), lo scritto di Leonardo Quaresima, “(Su Conrad, Marloy, Coppola). Il racconto, la voce” su Cinema e Cinema (numero 25/26, ottobre-dicembre 1980), oppure il saggio di Paolo Mereghetti, “Welles e Conrad”, apparso su Cinema e Cinema (numero 3, aprile-giugno 1975), relativo alla sceneggiatura di Orson Wells mai prodotta.

[2] Una situazione di questo tipo si presenta anche per gli storici della scienza, dove, assieme ai testi fondamentali quali articoli scientifici e libri, anche le lettere, i taccuini , i quaderni di laboratorio e le interviste sono entrati a far perte dell’insieme della base documentale ammessa. Tale ampliamento si deve sicuramente a Thomas Kuhn e alle sue ricerche sulla radiazione di corpo nero, alla monumentale pubblicazione de The Collected Papers of Albert Einstein, curata da John Stachel, e i primi numeri della rivista Historical Studies in the Physical Sciences, curata da J.L. Heilbron. Quindi, non ci si deve scandalizzare se anche per la critica e la storia della fantascienza si propone una base documentale più ampia.

[3] “PKD’s Blade Runner: 1968 Notes on how to Film Do Androids Dream of Electric Sheep?”, in PKDS Newsletter, numero 18, 1988 (tr. it., “Blade Runner secondo Philip K. Dick. Osservazioni sulla trasposizione cinematografica di Do Androids Dream of Electric Sheep?”, in Attenzione polizia (a cura di Antonio Caronia), Telemaco, Bologna, 1992

[4] La tecnica della sceneggiatura cinematografica è stata sviluppata in molti volumi. Ne citiamo solo due, tra i più utilizzati nel mondo. Di questi uno è stato tradotto in italiano, e verrà utilizzato per i riferimenti.
Syd Field, The Screewriter’s Workbook. A Workshop Approach, Dell Publishing, New York , 1984 (tr. it. La sceneggiatura. Il film sulla carta, Lupetti & Co., Milano, 1991).
Linda Seger, Making a Good Script Great, Dodd, Mead & Company, New York, 1987.

[5] Sarebbe molto interessante sviluppare un’indagine all’interno delle cinematografie nazionali. Certamente il cinema francese, con la sua straordinaria tradizione del noir, ha sviluppato una rigorosa cultura della trama, altrettanto può dirsi per il periodo del free cinema inglese. In Italia, invece,concluse e dimenticate le positive stagioni del neorealismo e della commedia, è stato proprio il cinema impegnato a colpire duramente lo spettatore con pellicole dai protagonisti insignificanti e trame in cui accadeva poco o nulla. In questo “cinema dell’insignificanza” persino pellicole mediocri come Mediterraneo possono essere celebrate come capolavori

[6] Si veda:
Domenico Gallo, “Il corpo anni Novanta del cyberpunk”, Alphaville numero 1, Telemaco, Bologna, 1992
Antonio Caronia & Domenico Gallo, Allucinazioni consensuali. Dal cyberpunk alla rivoluzione dei media, Baldini & Castoldi,  Milano (in attesa di pubblicazione).

[7] Gwen Lee & Doris E.Sauter, “Thinker of Antiquity”, Starlog numero 150, jan. 1990 pag. 24 (tr. it. “Parole e immagini. Intervista a Philip K. Dick”, in Attenzione polizia (a cura di A. Caronia), Telemaco, Bologna, 1992).

[8] “PKD’s Blade Runner: 1968 Notes on how to Film Do Androids Dream of Electric Sheep?”, op.cit., pag.1.

[9] Nel testo di Syd Field troviamo spesso termini di questo genere, tradotti come “trascina in un’altra direzione” oppure “tira in un’altra direzione”.

[10] Si veda Northrop Frye, The Great Code. The Bible and the Literature, 1981 (tr.it. Il grande codice. La bibbia e la letteratura, Einaudi, Torino, 1986, pag. 146).

[11] Questo dialogo è stato scritto rifacendosi direttamente ad America. A prophecy di William Blake: 

Fiery the Angels rose, and as they rose deep thunder roll’d
Around their shores, indignant burning with the fires of  Orc;
And Boston’s Angel cried aloud as they flew thro’ the dark night.

Con fierezza si alzarono gli Angeli, e mentre si alzavano un tuono profondo
Rotolò sulle spiagge, bruciando pieno di sdegno con i fuochi di Orc;
E l’angelo di Boston urlò mentre loro volavano nella notte buia.

da William Blake, “America”, 1793 (tr. it. “America”, in Libri profetici, Bompiani, Milano, 1986, traduzione di R. Sanesi, pagg. 108-109